Bancarotta e pene accessorie: la Cassazione rimette al Giudice dell’Esecuzione la rideterminazione della loro durata che va adeguata alla gravità del caso concreto.

Si segnala ai lettori del blog la sentenza 3290, depositata il 27.01.2020, emessa dalla V Sezione penale della Corte di Cassazione, con la quale il Collegio del diritto si è espresso su una questione attuale e dibattuta tra  gli operatori di diritto che si occupano di reati fallimentari, ossia la individuazione dello strumento processuale da utilizzare per la rideterminazione delle pene accessorie dopo il passaggio in giudicato della sentenza di condanna.

Invero, come noto, successivamente alla pronuncia della Corte costituzionale intervenuta con la sentenza  n.222/2018 e poi delle Sezioni Unite Penali  con la sentenza 28910/2019, è oramai pacifico il principio di diritto  cui deve uniformarsi il Giudice di merito che pronuncia la sentenza di condanna secondo il quale: «Le pene accessorie per le quali la legge indica un termine di durata non fissa, devono essere determinate in concreto dal giudice in base ai criteri di cui all’art. 133 cod. pen.»”.

Il problema si pone quindi per le sentenze di condanna passate in giudicato prima dell’intervento della Consulta per le quali era stata fatta applicazione del principio normativo allora vigente della durata in misura fissa della pena accessoria: ossia 10 anni (articolo 216, ultimo comma, del R.d. 267/1942).

In questi casi, secondo il principio espresso nella sentenza in commento, per ottenere una rideterminazione in senso maggiormente favorevole delle pene accessorie previste dalla norma incriminatrice (inabilitazione all’esercizio di una impresa commerciale e l’incapacità per la stessa durata ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa) – oramai non più determinate in misura fissa, in caso di condanna definitiva per bancarotta è sufficiente che la difesa del condannato presenti  istanza al Giudice dell’esecuzione che discrezionalmente dovrà fissare una nuova durata.

A tale principio di estrema utilità per le ricadute operative nella quotidiana pratica professionale, la sentenza in commento ne aggiunge un altro secondo il quale il Giudice dell’esecuzione  nel rimuovere il giudicato limitatamente alla durata delle pene accessorie già determinata in misura fissa dovrà stabilirne la misura facendo ricorso ai criteri di cui all’art. 133 cod. pen. parametrandola alla concreta gravità del fatto emersa nella fase di cognizione, dandone poi adeguata giustificazione nella parte motiva del provvedimento.

*****

Art. 216 legge fallimentare: la norma incriminatrice e le pene accessorie.

È punito con la reclusione da tre a dieci anni, se è dichiarato fallito, l’imprenditore, che:

1) ha distratto, occultato, dissimulato, distrutto o dissipato in tutto o in parte i suoi beni ovvero, allo scopo di recare pregiudizio ai creditori, ha esposto o riconosciuto passività inesistenti;

2) ha sottratto, distrutto o falsificato, in tutto o in parte, con lo scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizi ai creditori, i libri o le altre scritture contabili o li ha tenuti in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari.

La stessa pena si applica all’imprenditore, dichiarato fallito, che, durante la procedura fallimentare, commette alcuno dei fatti preveduti dal n. 1 del comma precedente ovvero sottrae, distrugge o falsifica i libri o le altre scritture contabili.

È punito con la reclusione da uno a cinque anni il fallito, che, prima o durante la procedura fallimentare, a scopo di favorire, a danno dei creditori, taluno di essi, esegue pagamenti o simula titoli di prelazione.

Salve le altre pene accessorie, di cui al capo III, titolo II, libro I del codice penale, la condanna per uno dei fatti previsti nel presente articolo importa per la durata di dieci anni l’inabilitazione all’esercizio di una impresa commerciale e l’incapacità per la stessa durata ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa (1) .

[1]  La Corte Costituzionale, con sentenza 5 dicembre 2018, n. 222 (in Gazz. Uff. 12 dicembre 2018, n. 49), ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del presente comma nella parte in cui dispone: «la condanna per uno dei fatti previsti dal presente articolo importa per la durata di dieci anni l’inabilitazione all’esercizio di una impresa commerciale e l’incapacita’ per la stessa durata ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa», anziche’: «la condanna per uno dei fatti previsti dal presente articolo importa l’inabilitazione all’esercizio di una impresa commerciale e l’incapacita’ ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa fino a dieci anni».

******

Quadro giurisprudenziale di riferimento.

Corte Costituzionale , 05/12/2018 , n. 222

È costituzionalmente illegittimo, per violazione degli artt. 3 e 27, commi 1 e 3, Cost. , l’ art. 216, ultimo comma, r.d. 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo e della liquidazione coatta amministrativa), nella parte in cui dispone: «la condanna per uno dei fatti previsti dal presente articolo importa per la durata di dieci anni l’inabilitazione all’esercizio di una impresa commerciale e l’incapacità per la stessa durata ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa», anziché: «la condanna per uno dei fatti previsti dal presente articolo importa l’inabilitazione all’esercizio di una impresa commerciale e l’incapacità ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa fino a dieci anni». (La Corte ha inoltre dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’ art. 223, ultimo comma, l. fall . sollevata in riferimento agli artt. 3, 4, 41, 27 e 117, comma  1, Cost. , quest’ultimo in relazione agli artt. 8 CEDU e 1 del Protocollo addizionale alla CEDU).

Cassazione penale sez. un., 28/02/2019, n.28910

La durata delle pene accessorie per le quali la legge stabilisce, in misura non fissa, un limite di durata minimo ed uno massimo, ovvero uno soltanto di essi, deve essere determinata in concreto dal giudice in base ai criteri di cui all’art. 133 c.p. e non rapportata, invece, alla durata della pena principale inflitta ex art. 37 c.p. (In applicazione del principio, la Corte ha annullato con rinvio la sentenza che aveva irrogato agli imputati le pene accessorie conseguenti al reato di bancarotta fraudolenta per il periodo fisso di dieci anni richiamando la sentenza della Corte costituzionale n. 222 del 2018).

By Claudio Ramelli@RIPRODUZIONE RISERVATA.