Art.2 d.lgs. 74/2000: la Cassazione fa il punto della giurisprudenza sedimentata intorno al reato di dichiarazione fraudolenta mediante utilizzo di fatture per operazioni insistenti.
Si segnala ai lettori del blog la recente sentenza numero 1998.2020, depositata il 20 gennaio 2020, trasmessa dalla III Sezione Penale decidente all’Ufficio del Massimario per l’annotazione dei relativi principi giurisprudenziali, con la quale il Collegio del diritto fa il punto dei più recenti approdi giurisprudenziali di legittimità sedimentati intorno alla fattispecie descrivendo: natura del delitto tributario; elementi costitutivi della fattispecie; le diverse forme che può assumere la condotta fraudolenta rispetto ai documenti fiscali utilizzati in dichiarazione con la nota tripartizione tra inesistenza oggettiva, giuridica e soggettiva.
La contestazione penale ed i gradi di merito.
La Corte d’appello di Roma confermava la sentenza resa dal Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Roma che aveva condannato l’imputato (con il rito abbreviato) perché ritenuto colpevole del reato di utilizzazione di fatture per operazioni oggettivamente e soggettivamente inesistenti per un ammontare pari ad € 280.000,00 (esclusa IVA pari ad € 56.000) in relazione al periodo di imposta 2010.
Il giudizio di cassazione ed i principi di diritto
Contro la sentenza della Corte territoriale capitolina la difesa del giudicabile interponeva ricorso per cassazione articolando plurimi motivi di censura involgenti tutti i capi della sentenza, denunciando, in particolare, vizio di legge e di motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui aveva affermato la penale responsabilità del prevenuto ed in subordine, per quanto qui di interesse, ritenuto le operazioni oggettivamente inesistenti, anziché soggettivamente inesistenti, mancando in quest’ultimo caso la prova dell’indefettibile dolo di evasione.
La Suprema Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso dopo una completa ed articolata descrizione della fattispecie di seguito riportata nei passaggi di maggiore interesse per gli operatori di diritto:
(i) natura del reato e condotta materiale.
“Orbene, la fattispecie della dichiarazione fraudolenta, di cui all’art. 2 D.Igs. n.74/2000, si connota come quella più grave ontologicamente in quanto non solo l’agente dichiara il falso, ma supporta la propria condotta mediante un “impianto contabile”, o più genericamente documentale, diretto a sviare o ostacolare la successiva attività di accertamento dell’Amministrazione, avvalorando in modo artificioso l’inveritiera prospettazione di dati inseriti nella dichiarazione. Tale fattispecie criminosa si configura come un reato di pericolo e di mera condotta, il quale si perfeziona nel momento in cui la dichiarazione è presentata agli uffici finanziari e prescinde dal verificarsi dell’evento di danno. Ne consegue che, ai fini dell’individuazione della data di consumazione dell’illecito, non rileva l’effettività dell’evasione.
Il reato è integrato con la presentazione della dichiarazione (Cass., S.U., n.27/2000, n. 32348/2015), in quanto il legislatore mira a reprimere penalmente lesole condotte direttamente correlate alla lesione degli interessi fiscali, rinunciando invece a perseguire quelle di carattere meramente preparatorio o formale (fatti prodromici alla effettiva lesione del bene giuridico protetto). Elemento costitutivo essenziale è dunque l’indicazione in una delle dichiarazioni di elementi passivi fittizi, avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti. Dal momento che alla dichiarazione non vengono allegati documenti probatori, si chiarisce che si avvale della documentazione in questione chi li registra nelle scritture contabili obbligatorie o comunque li detiene al fine di prova nei confronti della Amministrazione.
La condotta si dice essere “bifasica”: l’autore, infatti, raccoglier o riceve la documentazione inveritiera e se ne avvale registrandola nelle scritture contabili obbligatorie o conservandola come prova da far valere contro l’Amministrazione nell’eventualità di un accertamento. Successivamente, presenta la dichiarazione dei redditi o ai fini IVA nella quale è recepita la falsa rappresentazione di cui la documentazione fittizia rappresenta il supporto. Soggetto responsabile è colui che sottoscrive la dichiarazione anche se lo stesso non ha partecipato alla fase antecedente di acquisizione e registrazione delle fatture relative ad operazioni inesistenti.
Sia la dottrina che la giurisprudenza sono concordi nel ritenere il delitto in argomento un reato “proprio”: perché possa dirsi configurato è richiesto che il suo autore si trovi in una particolare posizione soggettiva, giuridica o di fatto, recte sia titolare dell’obbligo di presentazione della dichiarazione dei redditi o ai fini IVA”.
(ii) I soggetti responsabili.
L’art. 1, lett. c), D.Igs. n. 74/2000 dispone chiaramente che per “dichiarazione” si intendono anche le dichiarazioni presentate in qualità di amministratore, liquidatore o rappresentante di società, enti o persone fisiche, così escludendo ogni possibilità di far valere queste posizioni di sostanziale intermediazione come situazioni di estraneità rispetto alle responsabilità che con le dichiarazioni sono assunte.
(iii) Inesistenza oggettiva e soggettiva.
“Tale reato sussiste sia nell’ipotesi di inesistenza oggettiva dell’operazione, cioè quando non sia stata posta mai in essere nella realtà, che di inesistenza soggettiva, quindi qualora l’operazione vi sia stata ma per quantitativi inferiori a quelli indicati in fattura, sia infine nell’ipotesi di sovrafatturazione qualitativa (ossia quanto la fattura attesti la cessione di beni e/o servizi aventi un prezzo maggiore di quelli forniti) in quanto oggetto di repressione penale è ogni tipo di divergenza tra la realtà commerciale e sua espressione documentale (Cass., Sez. III, 2 dicembre 2015, n. 51027)”.
(iv) L’elemento psicologico del reato.
“Sul piano dell’elemento psicologico è richiesto il dolo specifico. Qualora il contribuente affidi a terzi il compito di preparare e presentare la dichiarazione, è richiesto che il medesimo sia consapevole dell’artificiosità della dichiarazione, costruita su una documentazione atta a supportarne l’apparenza di verità. La dottrina ritiene che la condotta fraudolenta finalizzata a conseguire l’evasione non appare conciliabile con la accettazione del rischio, che connota il dolo eventuale.
Tuttavia, il dolo specifico richiesto per integrare il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, rappresentato dal perseguimento della finalità evasiva, si aggiunge alla volontà di realizzare l’evento tipico (la presentazione della dichiarazione), potendosi affermare la compatibilità della fattispecie con il dolo eventuale: l’accettazione del rischio può, ovviamente, concernere gli altri elementi costitutivi della fattispecie, quale ad esempio l’essersi avvalso di fatture per operazioni inesistenti. In dottrina è invece esclusa la possibilità che la finalità evasiva possa essere ricondotta nell’area del dolo eventuale, in considerazione della funzione di garanzia che tale elemento possiede nell’ambito dei reati tributari. Tuttavia all’opposta soluzione è giunta la recente giurisprudenza di questa Corte, ammettendosi la configurabilità del reato ove l’accettazione del rischio attenga alla possibilità di evadere le imposte dirette o IVA, mediante la presentazione della dichiarazione comprensiva di fatture per operazioni inesistenti. (Cass., Sez. III, 19 giugno 2018, n. 52411; Cass., Sez. III, 23.6.2015, n. 30492).
La dichiarazione inveritiera deve essere sorretta dalla piena conoscenza dell’insussistenza delle operazioni passive prese in considerazione per determinare il risultato finale esposto in essa, nonché dalla volontà di servirsene strumentalmente nel rappresentare quel falso risultato dichiarato come rispondente a una contabilità inappuntabile.
L’inesistenza delle operazioni deve essere stata non solo conosciuta ma soprattutto posta al servizio del risultato favorevole al quale l’agente mira mediante la dichiarazione fiscale. L’art. 1, lett. e), D.Igs. n.74 del 2000 precisa, inoltre, che nel caso di presentazione della dichiarazione ad opera di amministratori, liquidatori o rappresentanti di società o persone fisiche, il fine di evadere re imposte si intende riferito alla società, all’ente o alla persona fisica per conto della quale si agisce. Irrilevante è l’origine della fattura falsa: essa può essere stata emessa da un terzo ovvero autoprodotta dallo stesso soggetto che la utilizzerà successivamente in dichiarazione.
In passato si era ritenuto che questa seconda ipotesi non potesse configurare la fattispecie penale, ricorrendo la stessa solo in presenza di falsità ideologica e non anche materiale. Tale orientamento è stato superato dalla giurisprudenza che ha valorizzato l’importanza che assume ai fini della configurazione del reato la artificiosa creazione del costo, a prescindere dalla cooperazione di un terzo”.
(V) Significato e categorie della inesistenza: oggettiva, soggettiva e giuridica.
Per il significato di inesistenza deve aversi riguardo all’art. 1 lett. a) del D.Igs.74/2000.
La dottrina ha declinato il significato della locuzione in tre ipotesi applicative: inesistenza oggettiva, giuridica e soggettiva.
V.1. Inesistenza oggettiva.
“Con la prima, si fa riferimento al caso paradigmatico di una rappresentazione della realtà del tutto o in parte difforme da quella effettiva, ad es. qualora venga enunciata come oggetto della fattura una prestazione mai eseguita o eseguita solo parzialmente, senza nessun corrispettivo ovvero dietro un corrispettivo diverso da quello indicato (fuoriesce dall’ambito applicativo il caso di sotto-fatturazione in cui il corrispettivo viene indicato in misura inferiore.
In tal caso si realizza a favore del percettore un guadagno in nero, che nelle condizioni di cui all’art.4 D.Igs. 74/2000 può integrare una ipotesi di dichiarazione infedele).
Si considera anche una inesistenza da sovrafatturazione, per il caso di fatture o documenti nei quali i dati vengano gonfiati (c.d.inesistenza qualitativa), o sia stata posta in essere una cessione di beni e/o servizi per un prezzo maggiore di quello realmente praticato.
Ciò sul presupposto che la categoria dell’inesistenza si verifica ogniqualvolta vi sia una divergenza tra la realtà commerciale e la sua espressione documentale (Cass., Sez. III, 21 maggio2013, n. 28352).
Non vale ad escludere l’inesistenza della operazione il fatto che il corrispettivo venga pagato o che comunque figuri un flusso in uscita dalle casse del contribuente: il meccanismo tipico di formazione dei fondi neri passa proprio attraverso la contabilizzazione di fatture fittizie, accompagnata da pagamenti in favore di chi risulta come esecutore della prestazione ed emittente di fattura.
A questo primo passaggio di denaro fa seguito una triangolazione, secondo una o più tappe intermedie, che conduce il flusso finanziario alla destinazione finale, normalmente sotto il controllo del primo disponente.
Un caso significativo è quello del dividend washing (operazione valida sul piano giuridico ma inesistente su quello economico)”.
V.2. Inesistenza giuridica.
“La fattura, al pari di tutti gli elementi equipollenti, deve contenere una rappresentazione veritiera di tutti gli elementi in grado di incidere su aspetti fiscalmente rilevanti, sicché assume rilevanza anche l’inesistenza giuridica, la quale si verifica ogniqualvolta la divergenza tra realtà e rappresentazione riguardi la natura della prestazione documentata in fattura (è il caso in cui l’oggetto del negozio giuridico indicato sia diverso da quello effettivamente realizzato) con ciò determinandosi una alterazione del contenuto del documento contabile”.
V.3. Inesistenza soggettiva.
“Relativamente all’inesistenza soggettiva, essa si ha allorché la prestazione indicata nella fattura sia effettivamente eseguita ma da o a favore di un soggetto diverso da quello che risulta nel documento contabile.
Sul punto, la Corte di Giustizia UE (sentenze n. 78/2003, cause C78/02, C-79/02 e causa C-566/07) ha sottolineato che l’avvenuta fatturazione di un’operazione con applicazione dell’Iva mediante addebito alla controparte, non è elemento assorbente per stabilire che il tributo resti definitivamente dovuto, in quanto tale effetto discende dalla ricorrenza delle condizioni oggettive e soggettive per l’applicazione dell’imposta medesima, rispetto alle quali l’addebito, isolatamente considerato, non ha che una valenza indicativa del comportamento tenuto dal soggetto passivo.
In altri termini, l’imposta si applica sulle operazioni che oggettivamente e soggettivamente sono comprese nella sfera di applicazione del tributo.
Ne consegue che l’esposizione di dati fittizi anche solo soggettivamente implica la creazione delle premesse per un rimborso al quale non si ha diritto, e l’indicazione di un soggetto diverso da quello che ha effettuato la fornitura non è circostanza indifferente ai fini dell’Iva, dal momento che la qualità del venditore può incidere sulla misura dell’aliquota e, conseguentemente, sull’entità dell’imposta che l’acquirente può legittimamente detrarre.
Si precisa che, ai fini dell’integrazione della fattispecie criminosa in esame, ciò che rileva è l’indicazione di elementi passivi fittizi nella dichiarazione, avvalendosi di fatture per operazioni inesistenti, non rilevando il carattere soggettivo ovvero oggettivo dell’inesistenza.
Il reato previsto dall’art. 2 D.Igs. 74/2000, infatti, nel riferirsi all’uso di fatture o altri documenti concernenti operazioni inesistenti, non opera alcuna distinzione (Cass., Sez. III, 18 ottobre 2018, n. 4236; Cass., Sez. III, 2 marzo 2018, n.30874), né riconduce espressamente la rilevanza dell’inesistenza soggettiva esclusivamente alla dichiarazione fiscale ai fini IVA”.
By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA