Responsabilità amministrativa degli enti ex D.lgs. 231/2001: i principali istituti corredati dalla giurisprudenza di legittimità aggiornata al mese di febbraio 2020.

Il d.lgs. n. 231/2001 ha introdotto nell’ordinamento giuridico italiano una specifica forma di responsabilità penale per aziende ed enti in genere, i quali possono essere chiamati a rispondere in sede penale per taluni reati commessi dai vertici amministrativi o dai dipendenti sottoposti al controllo di questi, nell’interesse dell’ente medesimo.

Questa specifica forma di responsabilità (un tertium genus rispetto a quella penale ed amministrativa), che investe gli operatori economici e che si aggiunge a quella personale, è finalizzata alla prevenzione del crimine di natura commerciale e finanziario nell’esercizio dell’attività di impresa, sul modello dei Compliance Company Programs di natura anglo-americana, poi estesa alla materia ambientali ed reati colposi di eventi commessi con violazione della disciplina sulla sicurezza del lavoro (d.lgs. 81/21008 e successive modificazioni).

Per fornire una guida operativa di primo orientamento agli operatori di diritto che intendono occuparsi della materia, segue l’analisi della normativa introdotta dal D.lgs. 231/2001, con particolare attenzione rivolta ai soggetti destinatari della disciplina, ai criteri oggettivi e soggettivi di imputazione della responsabilità degli enti, all’onere in capo all’ente di adottare ed attuare efficacemente modelli di organizzazione e gestione idonei a prevenire gli specifici rischi di reato legati all’attività dell’ente nonché ai singoli reati presupposto della responsabilità amministrativa della persona giuridica e le più significative questioni processuali legate al rito previsto dal D.lgs. 231/2001.

A corredo degli articoli di legge commentati si riportano le più significative pronunce della giurisprudenza di legittimità, aggiornate al mese di febbraio 2020.

Destinatari della disciplina ed esclusioni

 

Art. 1 – Soggetti

Il presente decreto legislativo disciplina la responsabilità degli enti per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato.

Le disposizioni in esso previste si applicano agli enti forniti di personalità giuridica e alle società e associazioni anche prive di personalità giuridica.

Non si applicano allo Stato, agli enti pubblici territoriali, agli altri enti pubblici non economici nonché agli enti che svolgono funzioni di rilievo costituzionale.

Il testo normativo si apre con l’indicazione dei soggetti destinatari della disciplina, ossia gli enti –  termine appositamente scelto dal legislatore per includervi tutti i soggetti collettivi, indifferentemente dotati o privi di personalità giuridica.

La ratio delle esclusioni di cui al comma 3 si rinviene nella necessità di non far gravare sulla collettività il peso delle sanzioni applicabili in caso di realizzazione di illeciti penalmente rilevanti da parte degli enti, nonché di non compromettere l’esercizio di funzioni di rilievo costituzionale.

Quanto alla posizione delle imprese individuali, tra i diversi orientamenti giurisprudenziali formatisi sul punto, risulta condivisibile quello che ritiene tali soggetti esonerati dalla responsabilità amministrativa degli enti, dal momento che, in caso contrario, si incorrerebbe in una violazione del divieto di bis in idem (poiché la persona fisica titolare dell’impresa, in tal modo, risponderebbe due volte per lo stesso fatto, la prima come autore del reato, la seconda come autore dell’illecito amministrativo dipendente da reato).

Giurisprudenza di legittimità di riferimento:

Cassazione penale sez. VI, 25/07/2017, n.49056

La disciplina del d.lgs. 231/2001 si applica anche alle società unipersonali

Le norme sulla responsabilità da reato degli enti si applicano anche alle società unipersonali, in quanto soggetto di diritto distinto dal soggetto che ne detiene le quote.

Cassazione penale sez. VI, 16/05/2012, n.30085

La responsabilità amministrativa degli enti non investe le imprese individuali

La normativa sulla responsabilità da reato degli enti prevista dal d.lg. 8 giugno 2001, n. 231 non si applica alle imprese individuali, in quanto si riferisce ai soli soggetti collettivi.

 

Cassazione penale sez. II, 26/10/2010, n.234

Ai fini dell’esonero da responsabilità amministrativa degli enti non è sufficiente la natura pubblicistica dell’ente, ma è anche necessario che l’ente non svolga attività economiche.

 

In materia societaria, una corretta lettura della disciplina concernente la responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica porta a ritenere che possano essere esonerati dall’applicazione del d.lgs. 231/2001 soltanto lo Stato, gli enti pubblici territoriali, gli enti che svolgono funzioni di rilievo costituzionale e gli altri enti pubblici non economici. Ne consegue che la natura pubblicistica di un ente è condizione necessaria ma non sufficiente per l’esonero dalla disciplina in questione dovendo necessariamente essere presente anche la condizione dell’assenza di svolgimento di attività economica da parte dell’ente medesimo.

Cassazione penale sez. II, 09/07/2010, n.28699

La disciplina di cui al d.lgs. 231/2001 si applica alle imprese operanti nel settore sanitario, non rientrando queste tra gli enti che svolgono funzioni di rilievo costituzionale.

 

La previsione dell’art. 1, comma 3, d.lg. 8 giugno 2001 n. 231, che esclude dalla disciplina della responsabilità amministrativa degli enti quelli che “svolgono funzioni di rilievo costituzionale” mira a preservare dalle misure cautelari e dalle sanzioni applicabili ai sensi della richiamata disciplina gli enti rispetto ai quali tale applicazione sortirebbe l’effetto di sospendere funzioni indefettibili negli equilibri costituzionali. Ciò che deve escludersi con riguardo a mere attività di impresa, pur operanti nel settore sanitario (nella specie, trattavasi di un ospedale interregionale che operava in forma di società per azioni “mista”, partecipato al 51% da capitale pubblico), non potendosi confondere il valore, di spessore costituzionale, della tutela della salute con il rilievo costituzionale dell’ente o della relativa funzione. Del resto diversamente opinando, si arriverebbe alla conclusione secondo cui, per l’esonero dalla responsabilità ex d.lg. n. 231 del 2001, basterebbe la mera rilevanza costituzionale di uno dei “valori” più o meno coinvolti nella funzione dell’ente: conclusione che porterebbe, in modo aberrante, a escludere dalla portata applicativa della disciplina “de qua” un numero pressoché illimitato di enti operanti non solo nel settore sanitario, ma anche in quello dell’informazione, della sicurezza antinfortunistica e dell’igiene del lavoro, della tutela ambientale e del patrimonio storico e artistico ecc., per il solo fatto che si tratta di enti che si occupano di “valori” di rango costituzionale, pur non svolgendo “funzioni” costituzionali.

 

Criteri oggettivi e soggettivi di imputazione

Criteri oggettivi

Art. 5 – Responsabilità dell’ente

L’ente è responsabile per i reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio:

  1. a) da persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell’ente o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale nonché da persone che esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo dello stesso;
  2. b) da persone sottoposte alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti di cui alla lettera a).

 L’ente non risponde se le persone indicate nel comma 1 hanno agito nell’interesse esclusivo proprio o di terzi.

L’articolo 5 delinea i presupposti oggettivi di imputazione della responsabilità degli enti, quali la commissione del reato nell’interesse o a vantaggio dell’ente; la particolare qualifica soggettiva rivestita dal soggetto agente all’interno dell’organizzazione della persona giuridica; nonché il requisito negativo per cui il fatto illecito non deve essere stato realizzato nell’interesse esclusivo proprio dell’autore o di terzi.

1) Interesse o vantaggio

Il primo requisito delineato dall’art. 5 è quello dell’interesse o vantaggio dell’ente, locuzione che indica il beneficio che la persona giuridica trae o può trarre dalla realizzazione del fatto illecito. L’espressione “interesse o vantaggio” è stata oggetto di contrastanti correnti dottrinali, che hanno portato alla formazione di due distinte tesi: la teoria monistica, secondo la quale l’unico parametro necessario al quale fare riferimento è quello dell’interesse dell’ente; la teoria dualistica – maggiormente condivisa, anche alla luce del consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità –  che qualifica i due criteri come alternativi, per cui, per poter riconoscere la responsabilità amministrativa in capo al soggetto collettivo, risulta necessario verificare la ricorrenza dell’interesse ovvero del vantaggio dell’ente. In tale ottica, il requisito dell’interesse presenta connotazione prettamente soggettiva, consistendo nella proiezione finalistica della condotta illecita, apprezzabile ex ante; laddove il criterio del vantaggio, di tipo oggettivo, è rappresentato dal beneficio concretamente derivato all’ente, accertabile ex post.

 

Giurisprudenza di legittimità di riferimento sull’interesse o vantaggio:

Cassazione penale sez. IV, 27/11/2019, n.49775

In tema di responsabilità degli enti derivante da reati colposi di evento in violazione della normativa antinfortunistica, i criteri oggettivi dell’interesse e del vantaggio vanno riferiti alla condotta dell’agente e non all’evento.

 

In tema di responsabilità degli enti derivante da reati colposi di evento in violazione della normativa antinfortunistica, i criteri di imputazione oggettiva rappresentati dall’interesse e dal vantaggio, da riferire entrambi alla condotta del soggetto agente e non all’evento, ricorrono, rispettivamente, il primo, quando l’autore del reato abbia violato la normativa cautelare con il consapevole intento di conseguire un risparmio di spesa per l’ente, indipendentemente dal suo effettivo raggiungimento, e, il secondo, qualora l’autore del reato abbia violato sistematicamente le norme antinfortunistiche, ricavandone oggettivamente un qualche vantaggio per l’ente, sotto forma di risparmio di spesa o di massimizzazione della produzione, indipendentemente dalla volontà di ottenere il vantaggio stesso.

Cassazione penale sez. IV, 27/11/2019, n.49775

Solo in caso di prassi consolidata si può riscontrare l’interesse o il vantaggio dell’ente

Quando la violazione antinfortunistica da cui è derivato l’infortunio del lavoratore non risponde a una prassi consolidata e quindi conosciuta o conoscibile dagli organi apicali dell’azienda, non può sostenersi che tale inosservanza risponda al perseguimento di un interesse o vantaggio in capo all’impresa.

 

Cassazione penale sez. III, 04/10/2019, n.3157

In tema di reati colposi in materia ambientale i criteri oggettivi dell’interesse o vantaggio si rinvengono nel risparmio di spesa o nella massimizzazione della produzione.

In tema di responsabilità degli enti derivante da reati colposi in materia ambientale (art. 25-undecies d.lg. n. 231 del 2001, nella specie configurato con riferimento al reato presupposto di cui all’art. 137, comma 5, d.lg. n. 152 del 2006) l’interesse e il vantaggio vanno individuati sia nel risparmio economico per l’ente determinato dalla mancata adozione di impianti o dispositivi idonei a prevenire il superamento dei limiti tabellari, sia nell’eliminazione di tempi morti cui la predisposizione e manutenzione di detti impianti avrebbe dovuto dare luogo, con economizzazione complessiva dell’attività produttiva, considerando a tal ultimo riguardo che il risparmio a favore dell’impresa può consistere anche nella sola riduzione dei tempi di lavorazione.

Cassazione penale sez. IV, 24/09/2019, n.43656

 

Reati colposi di evento in violazione della normativa antinfortunistica: l’interesse ed il vantaggio dell’ente sono ravvisabili nel risparmio di spesa e nell’aumento della produttività ovvero riduzione dei tempi di lavorazione.

 

In materia di responsabilità amministrativa degli enti derivante da reati colposi di evento in violazione della normativa antinfortunistica (articolo 25-septies del decreto legislativo n. 231 del 2001), sussiste l’interesse dell’ente nel caso in cui l’omessa predisposizione dei sistemi di sicurezza determini un risparmio di spesa, mentre si configura il requisito del vantaggio qualora la mancata osservanza della normativa cautelare consenta un aumento e produttività o anche solo una riduzione dei tempi di lavorazione.

 

Cassazione penale sez. IV, 24/01/2019, n.16598

Il risparmio dell’impresa quale criterio oggettivo di imputazione della responsabilità può consistere nella riduzione dei tempi di lavorazione.

 

In tema di responsabilità degli enti derivante da reati colposi di evento in violazione della normativa antinfortunistica, il “risparmio” in favore dell’impresa, nel quale si concretizzano i criteri di imputazione oggettiva rappresentati dall’interesse e dal vantaggio, può consistere anche nella sola riduzione dei tempi di lavorazione. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto esente da censure la sentenza che aveva affermato la responsabilità dell’ente in un caso in cui, sebbene i lavoratori fossero stati correttamente formati e i presidi collettivi ed individuali fossero presenti e conformi alla normativa di riferimento, le lavorazioni in concreto si svolgevano senza prevedere l’applicazione ed il controllo dell’utilizzo degli strumenti in dotazione, al fine di ottenere una riduzione dei tempi di lavoro).

 

Cassazione penale sez. VI, 25/09/2018, n.54640

Per verificare la sussistenza del criterio dell’interesse, a connotazione prettamente soggettiva, non può prescindersi dal confronto con un parametro oggettivo.

 

In tema di responsabilità degli enti collettivi, quando si deve verificare l’esistenza di un interesse della società in capo al soggetto agente che pone in essere il reato presupposto della responsabilità della società, pur essendo la nozione di “interesse dell’ente” caratterizzata (a differenza della nozione di vantaggio) da una prevalente connotazione soggettiva, non può prescindersi – specie se il reato è stato commesso nel prevalente interesse del singolo o di terzi – da un confronto con un parametro oggettivo, non rimesso esclusivamente ad imperscrutabili intendimenti dell’agente.

 

Cassazione penale sez. IV, 23/05/2018, n.38363

 

Interesse e vantaggio: la diversa natura dei due criteri di imputazione

In tema di responsabilità da reato degli enti, i criteri di imputazione riferiti all’interesse e al vantaggio sono giuridicamente distinti giacché, mentre il primo è criterio soggettivo, da valutare ex ante, e consistente nella proiezione finalistica volta a far conseguire all’ente un profitto indipendentemente dall’effettiva realizzazione dello stesso, il secondo è criterio oggettivo, accertabile “ex post” e consistente nel concreto vantaggio derivato all’ente dal reato.

 

Cassazione penale sez. IV, 13/09/2017, n.16713

Reati colposi di evento: interesse e vantaggio si riferiscono alla condotta, non all’evento.

In tema di responsabilità da reato degli enti derivante da reati colposi di evento, i criteri di imputazione oggettiva, rappresentati dal riferimento contenuto nell’art. 5 del d.lgs. 231 del 2001 all’interesse o al vantaggio, devono essere riferiti alla condotta e non all’evento.

 

Cassazione penale sez. II, 27/09/2016, n.52316

Interesse e vantaggio costituiscono criteri alternativi.

In tema di responsabilità amministrativa degli enti, l’articolo 5 del decreto legislativo 8 giugno 2001 n. 231, che ne individua il presupposto nella commissione dei reati “nel suo interesse o a suo vantaggio “, non contiene un’endiadi, perché i predetti termini hanno riguardo a concetti giuridicamente diversi, ed evocano criteri concorrenti, ma alternativi: il richiamo all’interesse dell’ente valorizza una prospettiva soggettiva della condotta delittuosa posta in essere dalla persona fisica da apprezzare ex ante, per effetto di un indebito arricchimento prefigurato, ma non necessariamente realizzato, in conseguenza dell’illecito; il riferimento al vantaggio valorizza, invece, un dato oggettivo che richiede sempre una verifica ex post quanto all’obbiettivo conseguimento di esso a seguito della commissione dell’illecito presupposto, pur in difetto della sua prospettazione ex ante. Da ciò deriva che i due presupposti si trovano in concorso reale, cosicché, ricorrendo entrambi, l’ente si troverebbe a dover rispondere di una pluralità di illeciti (situazione disciplinata dall’articolo 21 del decreto legislativo n. 231 del 2001).

 

Cassazione penale sez. IV, 19/05/2016, n.31210

Omicidio e lesioni colpose in violazione della normativa antinfortunistica: interesse e vantaggio ravvisabili nel risparmio di spesa.

 

In tema di responsabilità da reato dell’ente in conseguenza della commissione dei reati di omicidio colposo o di lesioni gravi o gravissime commessi con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro (art. 25 septies d.lg. 8 giugno 2001 n. 231), ricorre il requisito dell’interesse dell’ente quando la persona fisica, pur non volendo il verificarsi dell’evento morte o lesioni del lavoratore, ha consapevolmente agito allo scopo di far conseguire un’utilità alla persona giuridica; ciò accade, ad esempio, quando la mancata adozione delle cautele antinfortunistiche risulti essere l’esito, non di una semplice sottovalutazione dei rischi o di una cattiva considerazione delle misure di prevenzione necessarie, ma di una scelta finalisticamente orientata a risparmiare sui costi d’impresa: pur non volendo il verificarsi dell’infortunio in danno del lavoratore, l’autore del reato ha consapevolmente violato la normativa cautelare allo scopo di soddisfare un interesse dell’ente (ad esempio, far ottenere alla società un risparmio sui costi in materia di prevenzione). Ricorre, invece, il requisito del vantaggio per l’ente quando la persona fisica, agendo per conto dell’ente, anche in questo caso ovviamente non volendo il verificarsi dell’evento morte o lesioni del lavoratore, ha violato sistematicamente le norme prevenzionistiche e, dunque, ha realizzato una politica d’impresa disattenta alla materia della sicurezza sul lavoro, consentendo una riduzione dei costi e un contenimento della spesa con conseguente massimizzazione del profitto.

 

Cassazione penale sez. IV, 20/04/2016, n.24697

Lesioni personali colpose: il vantaggio ravvisabile nell’aumento della produttività conseguente ad inosservanza delle cautele antinfortunistiche.

 

In tema di responsabilità amministrativa degli enti derivante dal reato di lesioni personali aggravate dalla violazione della disciplina antinfortunistica, sussiste l’interesse dell’ente nel caso in cui l’omessa predisposizione dei sistemi di sicurezza determini un risparmio di spesa, mentre si configura il requisito del vantaggio qualora la mancata osservanza della normativa cautelare consenta un aumento della produttività. (In motivazione, la Corte ha affermato che la responsabilità dell’ente, non può essere esclusa in considerazione dell’esiguità del vantaggio o della scarsa consistenza dell’interesse perseguito, in quanto anche la mancata adozione di cautele comportanti limitati risparmi di spesa può essere causa di lesioni personali gravi). (Conf. n.31003 del 2015 e n.31210 del 2016 N.M.).

 

2) Autori del reato presupposto.

Il secondo criterio di imputazione richiesto dall’art. 5 è la realizzazione dei reati presupposto nell’interesse o a vantaggio dell’ente da parte di soggetti che rivestano una qualificata posizione soggettiva all’interno dell’organizzazione della persona giuridica, quali gli apicali o i sottoposti.

I soggetti apicali sono i soggetti posti al vertice dell’organigramma dell’ente, in quanto essi rivestono, anche di fatto, funzioni di rappresentanza, amministrazione o direzione dell’ente o di una sua unità organizzativa.

I sottoposti sono i soggetti subordinati agli apicali.

La distinzione tra tali qualifiche risulta produttiva di distinti effetti giuridici, in particolare sul piano della ripartizione dell’onere della prova tra ente ed accusa.

Giurisprudenza di legittimità di riferimento sulle qualifiche soggettive degli autori del reato presupposto:

 

Cassazione penale sez. VI, 25/09/2018, n.54640

La diversa qualificazione soggettiva dell’autore dell’illecito amministrativo non determina mutamento dell’imputazione.

 

In tema di responsabilità degli enti, non determina la violazione del principio di correlazione tra imputazione e sentenza la condanna dell’ente emessa attribuendo all’autore del reato presupposto il ruolo di soggetto sottoposto all’altrui direzione, anziché la veste di soggetto apicale così come indicato nell’originaria imputazione. (Fattispecie di attribuzione della responsabilità dell’ente, pur a seguito della diversa qualificazione della posizione soggettiva dell’autore del reato, sulla base della mancanza di un adeguato sistema di controllo e previsione, avente connotazioni assimilabili a quelle dell’originaria contestazione) .

 

Cassazione penale sez. VI, 09/02/2016, n.12653

Autore del reato presupposto è, indifferentemente, soggetto apicale ovvero sottoposto.

In tema di responsabilità amministrativa degli enti, l’art. 5 d.lg. 8 giugno 2001 n. 231 prevede che il fatto, in grado di consentire l’addebito a carico dell’ente, sia commesso nel suo interesse o a suo vantaggio da persone che rivestono funzioni apicali ovvero da persone sottoposte alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti in posizione apicale. I due criteri di imputazione sono alternativi o concomitanti: quello costituito dall’interesse esprime una valutazione teleologica del reato, apprezzabile ex ante, cioè al momento della commissione del fatto e secondo un metro di giudizio marcatamente soggettivo, mentre quello del vantaggio ha una connotazione essenzialmente oggettiva, come tale valutabile ex post, sulla base degli effetti concretamente derivati dalla realizzazione dell’illecito (sezioni Unite, 24 aprile 2014, Espenhahn).

 

 

Criteri soggettivi

 

Art. 6 – Soggetti in posizione apicale e modelli di organizzazione dell’ente

  1. Se il reato è stato commesso dalle persone indicate nell’articolo 5, comma 1, lettera a), l’ente non risponde se prova che:
  2. a) l’organo dirigente ha adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del fatto, modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi;
  3. b) il compito di vigilare sul funzionamento e l’osservanza dei modelli di curare il loro aggiornamento è stato affidato a un organismo dell’ente dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo;
  4. c) le persone hanno commesso il reato eludendo fraudolentemente i modelli di organizzazione e di gestione;
  5. d) non vi è stata omessa o insufficiente vigilanza da parte dell’organismo di cui alla lettera b).
  6. In relazione all’estensione dei poteri delegati e al rischio di commissione dei reati, i modelli di cui alla lettera a), del comma 1, devono rispondere alle seguenti esigenze:
  7. a) individuare le attività nel cui ambito possono essere commessi reati;
  8. b) prevedere specifici protocolli diretti a programmare la formazione e l’attuazione delle decisioni dell’ente in relazione ai reati da prevenire;
  9. c) individuare modalità di gestione delle risorse finanziarie idonee ad impedire la commissione dei reati;
  10. d) prevedere obblighi di informazione nei confronti dell’organismo deputato a vigilare sul funzionamento e l’osservanza dei modelli;
  11. e) introdurre un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel modello.

2-bis. I modelli di cui alla lettera a) del comma 1 prevedono:

  1. a) uno o più canali che consentano ai soggetti indicati nell’articolo 5, comma 1, lettere a) e b), di presentare, a tutela dell’ integrità dell’ente, segnalazioni circostanziate di condotte illecite, rilevanti ai sensi del presente decreto e fondate su elementi di fatto precisi e concordanti, o di violazioni del modello di organizzazione e gestione dell’ente, di cui siano venuti a conoscenza in ragione delle funzioni svolte; tali canali garantiscono la riservatezza dell’ identità del segnalante nelle attività di gestione della segnalazione;
  2. b) almeno un canale alternativo di segnalazione idoneo a garantire, con modalità informatiche, la riservatezza dell’ identità del segnalante;
  3. c) il divieto di atti di ritorsione o discriminatori, diretti o indiretti, nei confronti del segnalante per motivi collegati, direttamente o indirettamente, alla segnalazione;
  4. d) nel sistema disciplinare adottato ai sensi del comma 2, lettera e), sanzioni nei confronti di chi viola le misure di tutela del segnalante, nonché di chi effettua con dolo o colpa grave segnalazioni che si rivelano infondate.

2-ter. L’adozione di misure discriminatorie nei confronti dei soggetti che effettuano le segnalazioni di cui al comma 2-bis può essere denunciata all’Ispettorato nazionale del lavoro, per i provvedimenti di propria competenza, oltre che dal segnalante, anche dall’organizzazione sindacale indicata dal medesimo.

2-quater. Il licenziamento ritorsivo o discriminatorio del soggetto segnalante è nullo. Sono altresì nulli il mutamento di mansioni ai sensi dell’articolo 2103 del codice civile, nonché qualsiasi altra misura ritorsiva o discriminatoria adottata nei confronti del segnalante. E’ onere del datore di lavoro, in caso di controversie legate all’irrogazione di sanzioni disciplinari, o a demansionamenti, licenziamenti, trasferimenti, o sottoposizione del segnalante ad altra misura organizzativa avente effetti negativi, diretti o indiretti, sulle condizioni di lavoro, successivi alla presentazione della segnalazione, dimostrare che tali misure sono fondate su ragioni estranee alla segnalazione stessa.

  1. I modelli di organizzazione e di gestione possono essere adottati, garantendo le esigenze di cui al comma 2, sulla base di codici di comportamento redatti dalle associazioni rappresentative degli enti, comunicati al Ministero della giustizia che, di concerto con i Ministeri competenti, può formulare, entro trenta giorni, osservazioni sulla idoneità dei modelli a prevenire i reati.
  2. Negli enti di piccole dimensioni i compiti indicati nella lettera b), del comma 1, possono essere svolti direttamente dall’organo dirigente.

4-bis. Nelle società di capitali il collegio sindacale, il consiglio di sorveglianza e il comitato per il controllo della gestione possono svolgere le funzioni dell’organismo di vigilanza di cui al comma 1, lettera b).

  1. È comunque disposta la confisca del profitto che l’ente ha tratto dal reato, anche nella forma per equivalente.

L’art. 6 individua i criteri soggettivi di imputazione dei reati presupposto commessi dai soggetti apicali dell’ente. La peculiarità della norma risiede nell’inversione dell’onere della prova, per cui i soggetti apicali, ai fini dell’esonero da responsabilità, devono dimostrare di aver adottato ed efficacemente attuato modelli organizzativi idonei a prevenire il rischio reato; di aver conferito all’ Organismo di Vigilanza il compito di vigilare sull’osservanza ed esecuzione dei modelli; oppure che il reato sia stato commesso violando fraudolentemente i modelli. La previsione dell’inversione dell’onere della prova è motivata dalla presunzione per cui la realizzazione di un fatto penalmente rilevante da parte del soggetto apicale dell’ente corrisponda ad una politica aziendale volta a massimizzare il profitto con riduzione dei costi.

Giurisprudenza di legittimità di riferimento sull’art.6):

Cassazione penale sez. IV, 24/09/2019, n.43656

Reati colposi di evento: il giudice è tenuto ad accertare l’esistenza e l’efficace attuazione di modelli organizzativi.

In tema di responsabilità degli enti derivante da reati colposi di evento in violazione della normativa antinfortunistica compete al giudice di merito, investito da specifica deduzione, accertare preliminarmente l’esistenza di un modello organizzativo e di gestione del D.Lgs. n. 231 del 2001, ex art. 6; poi, nell’evenienza che il modello esista, che lo stesso sia conforme alle norme; infine, che esso sia stato efficacemente attuato o meno nell’ottica prevenzionale, prima della commissione del fatto.

 

Cassazione penale sez. VI, 12/02/2016, n.11442

Incombe sull’ente l’onere della prova dell’adozione di modelli organizzativi.

 

In tema di responsabilità amministrativa dell’ente derivante da persone che esercitano funzioni apicali, il sistema normativo introdotto dal d.lg. n. 231 del 2001 – che coniuga i tratti dell’ordinamento penale e di quello amministrativo, configurando un “tertium genus” di responsabilità compatibile con i principi costituzionali di responsabilità per fatto proprio e di colpevolezza – grava sulla pubblica accusa l’onere di dimostrare l’esistenza dell’illecito dell’ente, mentre a quest’ultimo incombe l’onere, con effetti liberatori, di dimostrare di aver adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del reato, modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi (Sezioni Unite, 24 aprile 2014, E. e altri).

 

Cassazione penale sez. un., 24/04/2014, n.38343

Reato commesso da soggetti apicali: l’onere della prova liberatoria spetta all’ente.

Il sistema normativo introdotto dal d.lg. n. 231 del 2001, coniugando i tratti dell’ordinamento penale e di quello amministrativo, configura un tertium genus di responsabilità compatibile con i principi costituzionali di responsabilità per fatto proprio e di colpevolezza. (Nell’affermare tale principio, la Corte ha chiarito, in tema di responsabilità dell’ente derivante da persone che esercitano funzioni apicali, che grava sulla pubblica accusa l’onere di dimostrare l’esistenza dell’illecito dell’ente, mentre a quest’ultimo incombe l’onere, con effetti liberatori, di dimostrare di aver adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del reato, modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi).

 

Art. 7 – Soggetti sottoposti all’altrui direzione e modelli di organizzazione dell’ente.

  1. Nel caso previsto dall’articolo 5, comma 1, lettera b), l’ente è responsabile se la commissione del reato è stata resa possibile dall’inosservanza degli obblighi di direzione o vigilanza.
  2. In ogni caso, è esclusa l’inosservanza degli obblighi di direzione o vigilanza se l’ente, prima della commissione del reato, ha adottato ed efficacemente attuato un modello di organizzazione, gestione e controllo idoneo a prevenire reati della specie di quello verificatosi.
  3. Il modello prevede, in relazione alla natura e alla dimensione dell’organizzazione nonché al tipo di attività svolta, misure idonee a garantire lo svolgimento dell’attività nel rispetto della legge e a scoprire ed eliminare tempestivamente situazioni di rischio.
  4. L’efficace attuazione del modello richiede:
  5. a) una verifica periodica e l’eventuale modifica dello stesso quando sono scoperte significative violazioni delle prescrizioni ovvero quando intervengono mutamenti nell’organizzazione o nell’attività;
  6. b) un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel modello.

L’art. 7 individua i criteri soggettivi di imputazione dei reati presupposto commessi dai sottoposti. In particolare il comma 2 prevede una presunzione a favore dell’ente, stabilendo che l’inosservanza degli obblighi di direzione e vigilanza è esclusa in caso di adozione ed efficace attuazione da parte dell’ente, prima della realizzazione del fatto penalmente rilevante, di modelli organizzativi idonei a prevenire il rischio reato. A differenza dell’articolo precedente, pertanto, grava sull’accusa l’onere di provare l’inadeguatezza dei modelli organizzativi per poter muovere rimprovero all’ente per colpa organizzativa.

Giurisprudenza di legittimità di riferimento sull’art.7):

Cassazione penale sez. VI, 25/09/2018, n.54640

Al fine di affermare la responsabilità dell’ente occorre provare che il fatto sia stato propiziato dall’inosservanza del dovere di direzione e vigilanza.

 

Nel procedimento a carico dell’ente ai sensi del d.lgs. n. 231/2001, laddove sia contestata la mancata adozione e attuazione di modelli organizzativi, i presupposti normativi della responsabilità dell’ente per fatto del soggetto sottoposto all’altrui direzione e vigilanza differiscono da quelli della responsabilità per fatto del soggetto apicale solo allorché sia dimostrata l’adozione di misure cautelari idonee a prevenire i reati dei sottoposti, ancorché non formalizzati in un modello, dovendosi, in tal caso, provare (al fine di affermare la responsabilità dell’ente) che il fatto sia stato propiziato dall’inosservanza del dovere di direzione e vigilanza.

 

Le sanzioni

Art. 9 – Sanzioni amministrative.

  1. Le sanzioni per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato sono:
  2. a) la sanzione pecuniaria;
  3. b) le sanzioni interdittive;
  4. c) la confisca;
  5. d) la pubblicazione della sentenza.
  6. Le sanzioni interdittive sono:
  7. a) l’interdizione dall’esercizio dell’attività;
  8. b) la sospensione o la revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione dell’illecito;
  9. c) il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio;
  10. d) l’esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l’eventuale revoca di quelli già concessi;
  11. e) il divieto di pubblicizzare beni o servizi.

 

Art. 10 – Sanzione amministrativa pecuniaria.

  1. Per l’illecito amministrativo dipendente da reato si applica sempre la sanzione pecuniaria.
  2. La sanzione pecuniaria viene applicata per quote in un numero non inferiore a cento né superiore a mille.

3.L’importo di una quota va da un minimo di lire cinquecentomila ad un massimo di lire tre milioni.

  1. Non è ammesso il pagamento in misura ridotta.

 

Art. 13 – Sanzioni interdittive.

  1. Le sanzioni interdittive si applicano in relazione ai reati per i quali sono espressamente previste, quando ricorre almeno una delle seguenti condizioni:
  2. a) l’ente ha tratto dal reato un profitto di rilevante entità e il reato è stato commesso da soggetti in posizione apicale ovvero da soggetti sottoposti all’altrui direzione quando, in questo caso, la commissione del reato è stata determinata o agevolata da gravi carenze organizzative;
  3. b) in caso di reiterazione degli illeciti.
  4. Fermo restando quanto previsto dall’articolo 25, comma 5, le sanzioni interdittive  hanno una durata non inferiore a tre mesi e non superiore a due anni.
  5. Le sanzioni interdittive non si applicano nei casi previsti dall’articolo 12, comma 1.

L’apparato punitivo previsto dal d.lgs. 231/2001 si caratterizza per la funzionalizzazione special-preventiva delle sanzioni. Accanto alla sanzione pecuniaria, applicabile sempre in caso di accertamento della commissione di un illecito amministrativo, si affiancano le sanzioni interdittive, applicabili solo ove espressamente prescritte dal legislatore, nonché le sanzioni accessorie quali la confisca e la pubblicazione della sentenza.

Giurisprudenza di riferimento sulle sanzioni:

Cassazione penale sez. V, 16/07/2019, n.38115                                   

In caso di confisca del profitto dei reati dovrebbe operare la diminuzione della sanzione pecuniaria.

 

In caso di confisca del profitto dei reati dovrebbe operare la diminuzione della sanzione pecuniaria ai sensi dell’art. 12, comma 2, lett. a) d.lg. n. 231 del 2001, prevista per il caso di condotte riparatorie dell’ente, posto che non può parlarsi di condotta riparatoria con riferimento all’ipotesi di esecuzione della misura ablatoria disposta dall’autorità giudiziaria.

 

Cassazione penale, sez. un., 24/04/2014, n. 38343.

Lesioni colpose gravi o gravissime in violazione della normativa antinfortunistica: obbligatorietà delle sanzioni interdittive.

 

In tema di responsabilità amministrativa degli enti, laddove si verta in ipotesi di commissione del reato presupposto di lesioni colpose gravi o gravissime aggravate dalla violazione delle norme sulla sicurezza del lavoro (art. 590, comma 3, c.p.), le sanzioni interdittive previste dal comma 3 dell’art. 25 septies d.lg.8 giugno 2001 n. 231 devono essere applicate obbligatoriamente.

 

Reati presupposto della responsabilità amministrativa degli enti.

La responsabilità dell’ente è subordinata alla commissione di specifici reati indicati agli artt. 24-26 del D.lgs. 231/2001, tra i quali nella comune attività professionale si annoverano: reati contro la pubblica amministrazione – corruzione, concussione, induzione indebita a dare o promettere utilità; reati informatici e di trattamento illecito di dati; delitti contro l’industria ed il commercio; reati societari; abusi di mercato; omicidio colposo e lesioni derivanti da violazione di norme sulla sicurezza sul lavoro; ricettazione, riciclaggio e impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita, autoriciclaggio; reati ambientali; reati tributari.

Giurisprudenza di legittimità di riferimento sui rapporti tra responsabilità amministrativa dell’Ente e responsabilità penale personale:

 

Cassazione penale sez. V, 16/07/2019, n.38115

Il reato contestato alla persona fisica deve corrispondere a quello chiamato a fungere da presupposto per la responsabilità della persona giuridica.

 

In tema di responsabilità degli enti ai sensi del decreto legislativo n. 231 del 2001, il reato contestato alla persona fisica deve corrispondere a quello chiamato a fungere da presupposto per la responsabilità della persona giuridica, ma la separazione delle posizioni processuali di alcuni degli imputati del reato presupposto per effetto della scelta di riti alternativi non incide sulla contestazione formulata nei confronti dell’ente né riduce l’ambito della cognizione giudiziale, dovendo il giudice procedere a una verifica del reato presupposto alla stregua dell’integrale contestazione dell’illecito formulata nei confronti dell’ente, accertando la sussistenza o meno delle altre condotte poste in essere dai coimputati nell’interesse o a vantaggio dell’ente.

Cassazione penale sez. III, 10/07/2019, n.1420

Differenze tra responsabilità penale della persona fisica e responsabilità amministrativa dell’ente: agli enti non è applicabile la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto.

 

In tema di responsabilità degli enti, non è ammissibile la causa di esclusione della punibilità per la particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131-bis c.p., in considerazione della differenza esistente tra la responsabilità penale, che espressamente prevede l’istituto estintivo in relazione a un fatto-reato commesso dalla persona fisica, e quella amministrativa dell’ente che trova nella realizzazione di un reato solamente il proprio presupposto storico, non già l’intera sua concretizzazione, essendo volta a sanzionare la colpa di organizzazione dell’ente per fatti commessi nel suo interesse o a suo vantaggio.

Cassazione penale sez. II, 19/10/2018, n.52470

La prescrizione del reato presupposto intervenuta dopo la contestazione dell’illecito all’ente non ne determina l’estinzione.

 

In tema di responsabilità da reato degli enti, l’intervenuta prescrizione del reato presupposto successivamente alla contestazione all’ente dell’illecito non ne determina l’estinzione per il medesimo motivo, giacché il relativo termine, una volta esercitata l’azione, rimane sospeso fino al passaggio in giudicato della sentenza che definisce il procedimento nei confronti della persona giuridica.

Cassazione penale sez. VI, 25/09/2018, n.54640

La diversa qualificazione dell’autore del reato presupposto non determina immutazione dell’imputazione.

 

Nel procedimento a carico dell’ente per omessa adozione e attuazione di un sistema cautelare idoneo alla prevenzione dei reati, la mutata qualificazione in sentenza dell’autore del reato presupposto come sottoposto all’altrui direzione e vigilanza, in luogo dell’attribuzione del ruolo di soggetto apicale originariamente ipotizzata nell’imputazione, non costituisce un’immutazione del fatto contestato, integrante motivo di nullità, per difetto di correlazione tra accusa e sentenza.

Cassazione penale sez. IV, 23/05/2018, n.38363

Autonomia della responsabilità dell’ente rispetto a quella penale della persona fisica: non è necessario il definitivo accertamento della responsabilità individuale per affermare quella dell’ente.

 

In tema di responsabilità da reato degli enti, l’autonomia della responsabilità dell’ente rispetto a quella penale della persona fisica che ha commesso il reato-presupposto, prevista dall’art. 8, d.lg. 8 giugno 2001, n. 231, deve essere intesa nel senso che, per affermare la responsabilità dell’ente, non è necessario il definitivo e completo accertamento della responsabilità penale individuale, ma è sufficiente un mero accertamento incidentale, purché risultino integrati i presupposti oggettivi e soggettivi di cui agli artt. 567 e 8 del medesimo decreto, tale autonomia operando anche nel campo processuale. (In applicazione del principio la Corte ha escluso che, nella specie, il giudice fosse tenuto a valutare, a favore dell’ente, atti difensivi prodotti in favore degli imputati).

Cassazione penale sez. IV, 18/04/2018, n.22468

Autonomia della responsabilità penale individuale rispetto alla responsabilità amministrativa dell’ente: la declaratoria di prescrizione del reato presupposto non preclude l’accertamento autonomo della responsabilità amministrativa dell’ente.

 

In tema di responsabilità degli enti, in presenza di una declaratoria di prescrizione del reato presupposto, il giudice, ai sensi dell’art. 8, comma 1, lett. b) d.lgs. n. 231 del 2001, deve procedere all’accertamento autonomo della responsabilità amministrativa della persona giuridica nel cui interesse e nel cui vantaggio l’illecito fu commesso che, però, non può prescindere da una verifica, quantomeno incidentale, della sussistenza del fatto di reato.

Cassazione penale sez. II, 28/03/2018, n.23896

Reato in contratto: differenziazione tra profitto confiscabile e profitto non confiscabile.

Sussiste l’esigenza di differenziare, sulla base di specifici e puntuali accertamenti, il vantaggio economico derivante direttamente dal reato (profitto confiscabile) e il corrispettivo incamerato per una prestazione lecita eseguita in favore della controparte, pur nell’ambito di un affare che trova la sua genesi nell’illecito (profitto non confiscabile) e il vantaggio economico deve essere concretamente determinato al netto dell’effettiva utilità eventualmente conseguita dal danneggiato, nell’ambito del rapporto sinallagmatico con l’ente.

Cassazione penale sez. III, 09/11/2017, n.6742

 

Responsabilità dell’ente dipendente da reato ambientale: sequestro preventivo di azienda e nomina dell’amministratore giudiziario.

 

ln materia di responsabilità degli enti dipendente da reato, in caso di sequestro preventivo di azienda per violazione della disciplina dettata dal Dlgs 231/2001, la nomina dell’amministratore giudiziario è presupposto imprescindibile per l’esercizio della attività. Ad affermarlo è la Cassazione respingendo il ricorso presentato da due Srl che si erano opposte al decreto di sequestro finalizzato alla confisca per equivalente di beni aziendali del valore di quasi 3 milioni di euro nell’ambito di un procedimento per reati ambientali. Per la Corte la ratio dell’obbligatorietà della nomina è quella di “evitare che la disposta misura cautelare possa paralizzare l’ordinaria attività aziendale pregiudicandone la continuità e lo sviluppo e la funzione assegnata al custode amministratore giudiziario è quella di vigilare sull’utilizzo e sulla gestione dell’azienda e di riferirne all’autorità giudiziaria”.

Cassazione penale sez. VI, 22/06/2017, n.41768

Responsabilità amministrativa degli enti: è competente il giudice chiamato a conoscere del reato presupposto.

 

Ai sensi dell’articolo 36 del decreto legislativo 8 giugno 2001 n. 231, avente a oggetto la disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità, la competenza a conoscere degli illeciti amministrativi dell’ente “appartiene al giudice penale competente per i reati dai quali gli stessi dipendono”, di guisa che la competenza del giudice penale in riferimento alla, responsabilità degli enti è una competenza “derivata”, senza alcun adattamento, da quella per il reato presupposto, il quale è imputabile esclusivamente alle persone fisiche. Per l’effetto, poiché nell’ambito della disciplina della competenza rientra anche quella relativa alla connessione, la competenza, nel processo a carico dell’ente, può essere determinata anche per connessione rispetto a un reato addebitato esclusivamente a persone fisiche, quando queste sono imputate anche per ulteriori reati, i quali costituiscono il presupposto per la responsabilità amministrativa dell’ente.

Cassazione penale sez. VI, 28/04/2017, n.35219                                                                  

Inefficacia delle attività svolte dal rappresentante legale indagato o imputato del reato presupposto.

 

In tema di responsabilità da reato degli enti, la nomina del difensore di fiducia dell’ente da parte del rappresentante legale indagato o imputato del reato presupposto, in violazione del divieto previsto dall’art. 39, d.lgs. n. 231 del 2001, comporta l’inefficacia di tutte le attività svolte dal rappresentante legale incompatibile all’interno del procedimento che riguarda l’ente.

Cassazione penale sez. VI, 19/04/2016, n.20098

Contestazione dell’illecito: interruzione della prescrizione e sospensione fino alla pronuncia che definisce il giudizio.

 

Ai sensi dell’art. 22, comma 4, d.lg. n. 231/2001, la richiesta di rinvio a giudizio della persona giuridica intervenuta entro cinque anni dalla consumazione del reato presupposto, in quanto atto di contestazione dell’illecito, interrompe il corso della prescrizione sospendendolo fino alla pronuncia che definisce il giudizio.

Cassazione penale sez. VI, 09/02/2016, n.12653

In caso di più società coinvolte nella commissione del reato presupposto si devono distinguere i relativi profitti ai fini della confisca.

 

Laddove la condotta illecita riconducibile ad uno dei reati presupposto di cui al d.lg. n. 231/2001, sia stata posta in essere da un soggetto che ricopre la posizione di organo apicale di due diversi enti facendone conseguire un interesse o vantaggio, la misura della confisca di cui all’art. 19 deve essere determinata distinguendo il profitto conseguito da ciascuna delle società coinvolte.

 

Cassazione penale sez. VI, 14/07/2015, n.33226

Responsabilità degli enti: costituisce profitto del reato solo il vantaggio economico di diretta e immediata derivazione causale dal reato.

 

In tema di responsabilità da reato degli enti, il profitto del reato si identifica solo con il vantaggio economico di diretta e immediata derivazione causale dal reato presupposto e non anche con i vantaggi indiretti derivanti dall’illecito. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto viziato il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente avente ad oggetto somme di denaro considerate profitto derivante dal reato di corruzione e quantificate facendo riferimento non già al vantaggio consistito nella realizzazione di un impianto di energia alternativa illecitamente autorizzato per effetto dell’accordo corruttivo, ma alle somme liquidate alla società a seguito della erogazione di energia elettrica in base alla convenzione successivamente stipulata con l’ente gestore. (Conf. sent. n. 33227 del 2015 non massimata).

By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA