E’ responsabile del reato di trattamento illecito di dati il fotografo che pubblica immagini su di un sito internet solo se provato il dissenso della persona offesa e lo scopo di lucro dell’agente.
Si segnala ai lettori del blog la sentenza 8961.2020, depositata il 5 marzo 2020, resa dalla III Sezione penale della Corte di Cassazione, in materia di trattamento illecito di dati ex art. 167 D.lgs. 196/2003.
Nel caso di specie, all’imputato, fotografo professionista, era contestato il delitto di trattamento illecito di dati, per aver pubblicato su di un sito internet fotografie della persona offesa in assenza del consenso all’utilizzo ed alla diffusione delle medesime e ciò al fine di trarne profitto.
La Corte di appello di Firenze riformava parzialmente, in punto di rideterminazione della pena, la sentenza emessa dal locale Tribunale.
Avverso la pronuncia della Corte territoriale la difesa del prevenuto proponeva ricorso per cassazione, lamentando, per quel che qui più interessa, vizio di motivazione in ordine alla sussistenza dell’elemento oggettivo e soggettivo del reato.
I Giudici di legittimità, nell’annullare senza rinvio la sentenza di secondo grado, accertata l’estinzione del reato per intervenuta prescrizione, affermano la non esaustività della motivazione fornita dalla Corte di appello circa la sussistenza degli elementi oggettivi e soggettivi del delitto, segnatamente l’assenza del previo consenso della persona offesa all’utilizzo ed alla diffusione delle sue fotografie ed il perseguimento di un profitto da parte del fotografo (laddove, in sede di istruttoria dibattimentale, secondo il ricorrente, era emerso che la ragazza fosse a conoscenza e avesse intenzione di far pubblicare le sue foto sul sito internet, proprio al fine di trarne vantaggio personale).
Normativa di riferimento:
Art. 167 D.lgs. 196/2003 – Trattamento illecito di dati
- Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, al fine di trarre per se’ o per altri profitto ovvero di arrecare danno all’interessato, operando in violazione di quanto disposto dagli articoli 123, 126 e 130 o dal provvedimento di cui all’articolo 129 arreca nocumento all’interessato, e’ punito con la reclusione da sei mesi a un anno e sei mesi.
- Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, al fine di trarre per se’ o per altri profitto ovvero di arrecare danno all’interessato, procedendo al trattamento dei dati personali di cui agli articoli 9 e 10 del Regolamento in violazione delle disposizioni di cui agli articoli 2-sexies e 2-octies, o delle misure di garanzia di cui all’articolo 2-septies ovvero operando in violazione delle misure adottate ai sensi dell’articolo 2-quinquiesdecies arreca nocumento all’interessato, è punito con la reclusione da uno a tre anni.
- Salvo che il fatto costituisca più grave reato, la pena di cui al comma 2 si applica altresì a chiunque, al fine di trarre per se’ o per altri profitto ovvero di arrecare danno all’interessato, procedendo al trasferimento dei dati personali verso un paese terzo o un’organizzazione internazionale al di fuori dei casi consentiti ai sensi degli articoli 45, 46 o 49 del Regolamento, arreca nocumento all’interessato.
- Il Pubblico ministero, quando ha notizia dei reati di cui ai commi 1, 2 e 3, ne informa senza ritardo il Garante.
- Il Garante trasmette al pubblico ministero, con una relazione motivata, la documentazione raccolta nello svolgimento dell’attività di accertamento nel caso in cui emergano elementi che facciano presumere la esistenza di un reato. La trasmissione degli atti al pubblico ministero avviene al più tardi al termine dell’attività di accertamento delle violazioni delle disposizioni di cui al presente decreto.
- Quando per lo stesso fatto è stata applicata a norma del presente codice o del Regolamento a carico dell’imputato o dell’ente una sanzione amministrativa pecuniaria dal Garante e questa è stata riscossa, la pena è diminuita.
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Quadro giurisprudenziale di riferimento:
Cassazione penale sez. III, 20/06/2019, n.41604
Nella pratica dello spamming, affinché tale condotta assuma rilievo penale, occorre che si verifichi per ciascun destinatario un effettivo ‘”nocumento”, che non può certo esaurirsi nel semplice fastidio di dover cancellare di volta in volta le mail indesiderate, ma deve tradursi in un pregiudizio concreto, anche non patrimoniale, ma comunque suscettibile di essere giuridicamente apprezzato, richiedendosi in tal senso un’adeguata verifica fattuale volta ad accertare, ad esempio, se l’utente abbia segnalato al mittente di non voler ricevere un certo tipo di messaggi e se, nonostante tale iniziativa, l’agente abbia perseverato in maniera non occasionale a inviare messaggi indesiderati, creando così un reale disagio al destinatario.
Cassazione penale sez. III, 28/05/2019, n.42565
Il reato di illecito trattamento dei dati personali, di cui all’art. 167 del d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, realizzato con la diffusione dei dati medesimi, ha natura di reato permanente, caratterizzandosi per la continuità dell’offesa arrecata dalla condotta volontaria dell’agente, il quale ha la possibilità di far cessare in ogni momento la propagazione lesiva dei dati medesimi. (Fattispecie relativa all’ostensione di dati personali ai frequentatori di un social network attraverso l’inserimento degli stessi, previa creazione di un falso profilo, sul relativo sito).
Cassazione penale sez. III, 13/03/2019, n.20013
L’art. 167, comma 2, d.lg. n. 196/2003 punisce colui che, al fine di trarre per sé o per altri profitto o arrechi danno all’interessato, procede all’illecito trattamento di dati personali.. Quanto al danno della persona offesa, la disposizione normativa non pone alcuna precisazione, potendo quindi concretizzarsi in qualsiasi pregiudizio giuridicamente rilevante per il soggetto passivo (nella specie, l’imputato, nella qualità di dipendente bancario, aveva proceduto al trattamento dei dati personali di un soggetto, concernenti la situazione patrimoniale in relazione al suo indebitamento con la banca e la divulgazione dei dati sarebbe stata finalizzata a reperire sul mercato possibili acquirenti per una tenuta, evidenziandosi così il profitto, vòlto a consentire alla banca stessa di soddisfare il credito vantato nei confronti del suddetto soggetto e recuperare così la situazione di scoperto. Nel caso in esame, il danno si era sostanziato non solo nel ‘vulnus’ al nome dell’azienda in cui il colpevole lavorava, ma anche nella rappresentazione ad altri soggetti, terzi, della possibilità di acquisto ad un prezzo inferiore al suo valore commerciale della tenuta a fronte dell’indebitamento del proprietario).
Cassazione penale sez. III, 30/03/2017, n.38226
In tema di trattamento illecito dei dati personali, non sussiste il reato di cui all’art. 167 d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, quando il dato in questione è divenuto di dominio pubblico per condotta dello stesso interessato. (Fattispecie in cui la S.C. ha escluso la sussistenza del reato in una ipotesi di chiamate ai fini pubblicitari, allorchè la stessa parte lesa aveva chiesto la registrazione del proprio numero nel registro pubblico delle opposizioni istituito con provvedimento del Garante per la protezione dei dati personali).
By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA