Diffamazione a mezzo Facebook: la paternità degli scritti pubblicati non richiede una rogatoria in USA se è ricavabile da altre prove acquisite al processo.
Si segnala ai lettori del blog la sentenza 9105.2020, depositata il 6 marzo 2020, resa dalla V Sezione penale della Corte di Cassazione, con la quale il Collegio del diritto si esprime in merito alla prova sulla identificazione dell’autore del delitto di diffamazione aggravata consumata tramite pubblicazione su siti internet e social networks di scritti lesivi dell’altrui onorabilità.
Segnatamente, la Corte di appello di Catanzaro confermava la pronuncia del locale Tribunale di condanna dell’imputata per il delitto di diffamazione aggravata continuata, per aver la stessa compromesso la reputazione della persona offesa, attraverso la pubblicazione su siti internet e su Facebook di affermazioni denigratorie.
Avverso la predetta decisione la difesa della giudicabile proponeva ricorso per cassazione, adducendo, per quel che qui più interessa, inosservanza delle norme processuali, con riguardo al rigetto della richiesta di rogatoria volta a verificare la titolarità del profilo Facebook.
Secondo il ricorrente, invero, l’onere di provare la paternità degli scritti spettava alla pubblica accusa che non l’aveva debitamente assolto nel giudizio di merito.
I Giudici di legittimità, nel ritenere inammissibile il motivo di ricorso, chiariscono che la richiesta di rogatoria internazionale presso la sede di Facebook negli Stati Uniti è stata correttamente rigettata in ragione della sua ritenuta superfluità condividendo quanto statuito dalla Corte territoriale che aveva motivatamente evidenziato come la prova della paternità degli scritti diffamatori fosse aliunde ricavabile dalla firma agli stessi apposti dall’imputata e dalla circostanza che la medesima li aveva rimossi dal social network e dai siti ove erano stati pubblicati: fatti questi incompatibili con la prova liberatoria che avrebbe dovuto fornire dimostrando di essere soggetto passivo di frode informatica o di furto di identità.
Giurisprudenza di legittimità in materia di diffamazione tramite Facebook:
Cassazione penale sez. III, 19/03/2019, n.19659
Integra il reato di diffamazione la condotta di pubblicazione in un sito internet (nella specie, nel social network Facebook) di immagini fotografiche che ritraggono una persona in atteggiamenti pornografici, in un contesto e per destinatari diversi da quelli in relazione ai quali sia stato precedentemente prestato il consenso alla pubblicazione.
Cassazione penale sez. I, 18/12/2018, n.9385
Ai sensi dell’art. 227, comma 2, del codice penale militare di pace, il reato di diffamazione è aggravato se l’offesa è recata per mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, come appunto avvenuto nel caso di specie atteso che la diffusione di un messaggio diffamatorio attraverso l’uso di una bacheca Facebook integra un’ipotesi di diffamazione aggravata, poiché trattasi di condotta potenzialmente capace di raggiungere un numero indeterminato o comunque quantitativamente apprezzabile di persone.
Cassazione penale sez. V, 19/11/2018, n.3148
A carico di un soggetto che pubblica un “post” su un social network (nella fattispecie Facebook) non si possono porre oneri informativi analoghi a quelli gravanti su di un giornalista professionista, tenuto conto della profonda differenza fra le due figure per ruolo, funzione, formazione, capacità espressive, spazio divulgativo e relativo contesto.
Cassazione penale sez. V, 23/10/2018, n.1275
Il giornale telematico – a differenza dei diversi mezzi informatici di manifestazione del pensiero: forum, blog, newsletter, newsgroup, mailing list, Facebook – soggiace alla normativa sulla stampa, perché ontologicamente e funzionalmente è assimilabile alla pubblicazione cartacea e rientra, dunque, nella nozione di “stampa” di cui all’articolo 1 della legge 8 febbraio 1948 n. 47, con la conseguente configurabilità della responsabilità ex articolo 57 del codice penale ai direttori della testata telematica (da queste premesse, la Corte, nel ribadire che il giornale telematico non può sottrarsi alle garanzie e alle responsabilità previste dalla normativa sulla stampa, ha ritenuto che potesse ravvisarsi la responsabilità del direttore responsabile per il reato di omesso controllo ex articolo 57 del codice penale).
Cassazione penale , sez. V, 12/07/2018 , n. 42630
Se il social network non collabora nell’identificazione dell’autore del reato, le indagini devono essere approfondite per individuare chi ha scritto il post. Ad affermarlo è la Cassazione che ha imposto ai giudici di merito di motivare adeguatamente le ragioni dell’archiviazione a carico del presunto autore della diffamazione on line. Il caso riguardava alcuni post offensivi pubblicati su Facebook da un utente la cui identità era rimasta incerta, a seguito del rifiuto dei gestori di Facebook di fornire l’indirizzo IP dell’autore del messaggio. Il decreto di archiviazione disposto dal Gip veniva però impugnato in Cassazione dalla persona offesa che lamentava l’assoluta mancanza di indagini suppletive e di analisi degli ulteriori indizi forniti dalla persona offesa. Da qui la pronuncia della Suprema corte che ha imposto ai giudici di merito di andare oltre la mancata collaborazione dei social network e di approfondire tutti gli elementi utili alle indagini.
Cassazione penale , sez. V , 03/05/2018 , n. 40083
La diffusione di un messaggio diffamatorio attraverso l’uso di una bacheca “facebook” integra un’ipotesi di diffamazione aggravata ai sensi dell’ art. 595, comma terzo, cod. pen. , poiché trattasi di condotta potenzialmente capace di raggiungere un numero indeterminato o comunque quantitativamente apprezzabile di persone.
Cassazione penale , sez. V , 19/02/2018 , n. 16751
In tema di diffamazione, l’amministratore di un sito internet non è responsabile ai sensi dell’ art. 57 c.p. , in quanto tale norma è applicabile alle sole testate giornalistiche telematiche e non anche ai diversi mezzi informatici di manifestazione del pensiero (forum, blog, newsletter, newsgroup, mailing list, Facebook). (In motivazione, la Corte ha precisato che il mero ruolo di amministratore di un forum di discussione non determina il concorso nel reato conseguente ai messaggi ad altri materialmente riferibili, in assenza di elementi che denotino la compartecipazione dell’amministrazione all’attività diffamatoria).
Cassazione penale sez. V, 22/11/2017, n.5352
Nell’ambito della diffamazione via web, e in particolare tramite social network, qualora non sia stato individuato l’indirizzo IP di provenienza, la penale responsabilità dell’imputato deve essere soggetta a una più stringente allegazione probatoria – e ad un più approfondito percorso motivazionale – relativamente agli altri elementi di prova oggetto dell’istruzione dibattimentale, aventi ad oggetto l’attribuzione all’imputato del contenuto diffamatorio.
Cassazione penale sez. V, 23/01/2017, n.8482
La pubblicazione di un messaggio diffamatorio sulla bacheca Facebook con l’attribuzione di un fatto determinato configura il reato di cui all’art. 595, commi 2 e 3,c.p. ed è inclusa nella tipologia di qualsiasi altro mezzo di pubblicità e non nella diversa ipotesi del mezzo della stampa giustapposta dal Legislatore nel medesimo comma. Deve, infatti, tenersi distinta l’area dell’informazione di tipo professionale, diffusa per il tramite di una testata giornalistica online, dall’ambito – più vasto ed eterogeneo – della diffusione di notizie ed informazioni da parte di singoli soggetti in modo spontaneo. In caso di diffamazione mediante l’utilizzo di un social network, non è dunque applicabile la disciplina prevista dalla l. n. 47 del 1948, ed in particolare, l’aggravante ad effetto speciale di cui all’art. 13.
Cassazione penale, sez. V, 04/12/2017, n. 5175
La legge n. 48 del 2008 (Ratifica della convenzione di Budapest sulla criminalità informatica) non introduce alcun requisito di prova legale, limitandosi a richiedere l’adozione di misure tecniche e di procedure idonee a garantire la conservazione dei dati informatici originali e la conformità ed immodificabilità delle copie estratte per evitare il rischio di alterazioni, senza tuttavia imporre procedure tipizzate. Ne consegue che il giudice potrà valutarle secondo il proprio libero convincimento (fattispecie relativa alla pubblicazione di un post ingiurioso su Facebook).
Cassazione penale, sez. V, 19/10/2017, n. 101
Si configura il reato di diffamazione a mezzo di strumenti telematici se i commenti diffamatori, pubblicati tramite post sul social network Facebook, possono, pur in assenza dell’indicazione di nomi, riferirsi oggettivamente ad una specifica persona, anche se tali commenti siano di fatto indirizzati verso i suoi familiari.
Cassazione penale, sez. V, 29/05/2017, n. 39763
In tema di diffamazione, l’individuazione del destinatario dell’offesa deve essere deducibile, in termini di affidabile certezza, dalla stessa prospettazione dell’offesa, sulla base di un criterio oggettivo, non essendo consentito il ricorso ad intuizioni o soggettive congetture di soggetti che ritengano di potere essere destinatari dell’offesa (esclusa, nella specie, la configurabilità del reato per la condotta dell’imputato, che, in un post su Facebook, aveva espresso il suo sdegno per le modalità con cui erano state celebrate le esequie di un suo caro parente).
Cassazione penale, sez. V, 23/01/2017, n. 8482
La pubblicazione di un messaggio diffamatorio sulla bacheca Facebook con l’attribuzione di un fatto determinato configura il reato di cui all’art. 595, commi 2 e 3,c.p. ed è inclusa nella tipologia di qualsiasi altro mezzo di pubblicità e non nella diversa ipotesi del mezzo della stampa giustapposta dal Legislatore nel medesimo comma. Deve, infatti, tenersi distinta l’area dell’informazione di tipo professionale, diffusa per il tramite di una testata giornalistica online, dall’ambito – più vasto ed eterogeneo – della diffusione di notizie ed informazioni da parte di singoli soggetti in modo spontaneo. In caso di diffamazione mediante l’utilizzo di un social network, non è dunque applicabile la disciplina prevista dalla l. n. 47 del 1948, ed in particolare, l’aggravante ad effetto speciale di cui all’art. 13.
Cassazione penale sez. I, 02/12/2016, n.50
La diffusione di un messaggio diffamatorio attraverso l’uso di una bacheca “facebook” integra un’ipotesi di diffamazione aggravata ai sensi dell’art. 595 terzo comma c.p., poiché trattasi di condotta potenzialmente capace di raggiungere un numero indeterminato o comunque quantitativamente apprezzabile di persone; l’aggravante dell’uso di un mezzo di pubblicità, nel reato di diffamazione, trova, infatti, la sua ratio nell’idoneità del mezzo utilizzato a coinvolgere e raggiungere una vasta platea di soggetti, ampliando – e aggravando – in tal modo la capacità diffusiva del messaggio lesivo della reputazione della persona offesa, come si verifica ordinariamente attraverso le bacheche dei social network, destinate per comune esperienza ad essere consultate da un numero potenzialmente indeterminato di persone, secondo la logica e la funzione propria dello strumento di comunicazione e condivisione telematica, che è quella di incentivare la frequentazione della bacheca da parte degli utenti, allargandone il numero a uno spettro di persone sempre più esteso, attratte dal relativo effetto socializzante.
Cassazione penale sez. V, 14/11/2016, n.4873
La pubblicazione di un messaggio diffamatorio sulla bacheca Facebook con l’attribuzione di un fatto determinato configura il reato di cui all’art. 595, commi 2 e 3,c.p. ed è inclusa nella tipologia di qualsiasi altro mezzo di pubblicità e non nella diversa ipotesi del mezzo della stampa giustapposta dal Legislatore nel medesimo comma. Deve, infatti, tenersi distinta l’area dell’informazione di tipo professionale, diffusa per il tramite di una testata giornalistica online, dall’ambito – più vasto ed eterogeneo – della diffusione di notizie ed informazioni da parte di singoli soggetti in modo spontaneo. In caso di diffamazione mediante l’utilizzo di un social network, non è dunque applicabile la disciplina prevista dalla l. n. 47/1948, ed in particolare, l’aggravante ad effetto speciale di cui all’art. 13. L’uso dei social network, e quindi la diffusione di messaggi veicolati a mezzo internet, integra un’ipotesi di diffamazione aggravata con altro mezzo di pubblicità – anziché con il mezzo della stampa – ai sensi dell’art. 595, comma 3,c.p. in quanto rientrante in una categoria più ampia, comprensiva di tutti quei sistemi di comunicazione e, quindi, di diffusione – dai fax ai social media – che, grazie all’evoluzione tecnologica, rendono possibile la trasmissione di dati e notizie ad un consistente numero di persone. In caso di diffamazione mediante l’utilizzo di un social network, non è dunque applicabile la disciplina prevista dalla l. n. 47/1948, ed in particolare, l’aggravante ad effetto speciale di cui all’art. 13.
Cassazione penale sez. V, 07/10/2016, n.2723
La divulgazione di un messaggio di contenuto offensivo tramite social network ha indubbiamente la capacità di raggiungere un numero indeterminato di persone, proprio per la natura intrinseca dello strumento utilizzato, ed è dunque idonea ad integrare il reato della diffamazione aggravata (fattispecie relativa all’inserimento di un messaggio offensivo sul profilo Facebook della persona offesa).
Cassazione penale, sez. V, 13/07/2015, n. 8328
La condotta di postare un commento sulla bacheca Facebook realizza la pubblicizzazione e la diffusione di esso, per la idoneità del mezzo utilizzato a determinare la circolazione del commento tra un gruppo di persone, comunque, apprezzabile per composizione numerica, sicché, se tale commento ha carattere offensivo, la relativa condotta rientra nella tipizzazione codicistica descritta dall’art. 595 c.p.
Cassazione penale sez. V, 21/09/2015, n.3981
Chi abbia inserito su Facebook un messaggio privo di intrinseca portata offensiva non può rispondere del reato di diffamazione per il solo fatto che tale messaggio era stato pubblicato nel contesto di una discussione telematica durante la quale altri partecipanti avevano in precedenza inviato messaggi contenenti espressioni offensive, ove risulti che egli, pur condividendo la critica alla persona offesa, non abbia condiviso le forme illecite attraverso cui gli altri soggetti l’avevano promossa.
Cassazione penale sez. I, 28/04/2015, n.24431
Appartiene al tribunale, e non al giudice di pace, la competenza a giudicare sul reato di diffamazione, qualora la condotta contestata all’imputato sia consistita nella pubblicazione di un commento ingiurioso sulla bacheca Facebook della persona offesa, in quanto il mezzo utilizzato è idoneo a determinare la circolazione del messaggio tra un gruppo di persone apprezzabile per composizione numerica, rendendo così configurabile l’aggravante dell’aver recato offesa col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità.
Cassazione penale sez. I, 22/01/2014, n.16712
In tema di diffamazione, sussiste l’aggravante dell’utilizzo del mezzo di pubblicità (art. 595 comma 3 c.p.) allorquando il fatto sia commesso mediante la pubblicizzazione su un profilo di Facebook, perché l’inserimento della frase che si assume diffamatoria su tale social network la rende accessibile a una moltitudine indeterminata di soggetti con la sola registrazione al social network e, comunque, a una cerchia ampia di soggetti nel caso di notizia riservata agli amici. (Fattispecie in cui la frase diffamatoria era ampiamente accessibile perché direttamente indicata nel cosiddetto profilo dell’imputato).
By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA