Non risponde del delitto di omicidio colposo il ginecologo attendista se non è provato con certezza scientifica il nesso di causalità tra l’omissione del parto cesareo di urgenza e la morte del feto.
Si segnala ai lettori del blog la sentenza 8864.2020, resa dalla IV Sezione penale della Corte di Cassazione, con la quale il Collegio del diritto, scrutinando un caso di colpa medica ascritta ad un medico ginecologo per il decesso di un feto, ripropone i noti principi di legittimità elaborati per accertare il nesso causale tra la condotta colposa omissiva e l’exitus infausto, censurando l’incoerenza della motivazione della sentenza della Corte territoriale rispetto a quanto ricostruito dal collegio peritale chiamato a dirimere in grado di appello alcuni aspetti della penale responsabilità del sanitario affermata in primo grado.
Il caso clinico, il capo di imputazione ed il doppio grado di merito.
Nel caso di specie al medico ginecologo in servizio presso l’Unità Operativa di Ostetricia e Ginecologia Policlinico di Verona, era contestato il reato di omicidio colposo, per aver concorso con il medico coimputato a cagionare il decesso del feto portato in grembo da una paziente alla 31+1 settimana di gravidanza con sintomi di preeclampsia per l’apprezzamento dei quali si rimanda alla lettura della sentenza
In particolare la colpa del medico sarebbe consistita nel non aver subito disposto il parto cesareo, una volta subentrato al collega precedentemente in servizio, nonostante le condizioni della gestante richiedessero di procedere con urgenza.
La Corte di appello di Venezia, dopo aver disposto la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale dando ingresso ad una perizia collegiale, riformava parzialmente la sentenza di condanna del Tribunale di Verona dichiarando l’estinzione del reato per intervenuta prescrizione, confermando la pronuncia di primo grado quanto alle statuizioni civili.
Il ricorso per cassazione e la decisione della Suprema Corte
Avverso la predetta sentenza la difesa del prevenuto interponeva ricorso per cassazione, deducendo, in particolare, vizio di motivazione circa l’accertamento del nesso di causalità tra la condotta colposa omissiva contestata e l’evento antigiuridico.
Secondo il ricorrente, invero, la Corte territoriale non aveva adeguatamente esplicitato le ragioni per cui ha ritenuto di discostarsi dalle conclusioni rassegnate dai periti dalla stessa nominati, i quali, seppure avevano ritenuto censurabile la condotta attendista del ginecologo subentrato al primo sanitario, nel loro elaborato – confermato dal contraddittorio in aula – avevano altresì affermato come non fosse possibile stabilire con certezza che l’anticipazione del taglio cesareo avrebbe garantito la sopravvivenza del feto.
La Suprema Corte ha accolto il motivo di ricorso e, per l’effetto, ha annullato senza rinvio la sentenza impugnata revocando le statuizioni civili.
Di seguito si riportano i passaggi tratti dal compendio motivazionale della sentenza in commento che ben evidenziano l’errore di diritto ed il vizio di motivazione relativi al giudizio “contro i fatti” erroneamente applicato al reato omissivo improprio oggetto di disamina:
< A fronte delle valutazioni fortemente dubitative dei periti nominati dalla Corte di merito circa le possibilità di un parto con feto vivo qualora il dott. [omissis]avesse agito con la richiesta tempestività [… ]la Corte di merito affida il proprio difforme convincimento a poche battute, evocando genericamente il principio secondo il quale «in presenza di una sofferenza fetale la situazione si aggrava con il decorso del tempo, con una incidenza causale maggiore in prossimità dell’evento acuto (nello specifico del distacco della placenta) con la conseguenza che anche l’attesa di un’ora (arco temporale nemmeno tanto contenuto) deve essere ritenuta significativa in una condizione nella quale poco prima dell’intervento il feto era ancora vivo»; e qualificando come altamente probabile, «nell’ambito di una valutazione logica» (distonica, tuttavia, rispetto a quella del collegio peritale), l’estrazione di un feto ancora in vita se la condotta del dott. [omissis]fosse stata adeguatamente tempestiva e quindi anticipata di circa un’ora, in quanto – ritengono i giudici dell’appello – «il distacco della placenta, avvenuto proprio nel periodo di tempo nel quale la parte civile era seguita dal dott.[omissis], fosse, nello specifico, prevedibile ed evitabile utilizzando una condotta professionale adeguata».
Tali essendo le sole ragioni poste a base della decisione oggi impugnata, non è dato comprendere in base a quali elementi non solo scientifici, ma anche logici, la Corte distrettuale pervenga a siffatto, univoco convincimento, sul quale poggia (sia pure nell’ambito di una sentenza di proscioglimento per maturata prescrizione) l’affermazione di responsabilità dell’odierno ricorrente.
Disattendendo le prefate conclusioni sulla base di argomentazioni sommarie e non assistite da un oggettivo sostegno scientifico, e conferendo alla condotta sicuramente negligente del dott. [omissis]una sorta di rilevanza causale ex se nel determinismo del decesso del feto, la Corte distrettuale si è discostata dall’insegnamento di questa Corte di legittimità, in base al quale, nei reati omissivi impropri, la valutazione concernente la riferibilità causale dell’evento lesivo alla condotta omissiva che si attendeva dal soggetto agente, deve avvenire rispetto alla sequenza fenomenologica descritta nel capo d’imputazione, di talché, nelle ipotesi di omicidio o lesioni colpose in campo medico, il ragionamento controfattuale deve essere svolto dal giudice di merito in riferimento alla specifica attività (diagnostica, terapeutica, di vigilanza e salvaguardia dei parametri vitali del paziente o altro) che era specificamente richiesta al sanitario e che si assume idonea, se realizzata, a scongiurare l’evento lesivo, come in concreto verificatosi, con alto grado di credibilità razionale (Sez. 4, n. 30469 del 13/06/2014, Jann e altri, Rv. 262239).
Analogamente, […] si è affermato […] che, in tema di nesso di causalità, il giudizio controfattuale – imponendo di accertare se la condotta doverosa omessa, qualora eseguita, avrebbe potuto evitare l’evento – richiede preliminarmente l’accertamento di ciò che è accaduto (c.d. giudizio esplicativo) per il quale la certezza processuale deve essere raggiunta (Sez. 4, Sentenza n. 23339 del 31/01/2013, Giusti, Rv. 256941).
In relazione a quanto precede, deve constatarsi che, sulla base dell’apporto scientifico fornito dai periti designati d’ufficio, resta sostanzialmente inesperibile il raggiungimento della soglia probatoria della rilevanza causale della condotta addebitata al dott. [omissis] rispetto all’evento infausto>. By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA