Nessun automatismo tra la lesione dell’operaio e la responsabilità penale del datore di lavoro se non viene provata la colpa del garante la sicurezza del dipendente.
Si segnala ai lettori del blog la sentenza numero 9216.2020, depositata il 09 marzo 2020, resa dalla IV Sezione penale della Corte di Cassazione, con la quale il Collegio del diritto, scrutinando un caso di lesioni personali riportate dall’operaio e contestate al datore di lavoro per inosservanza delle regole cautelari per la prevenzione infortuni, annulla la sentenza impugnata facendo applicazione dei consolidati principi dettati in tema di giudizio di accertamento del nesso causale tra la contestata condotta omissiva e l’evento antigiuridico, quando non è provata la colpa del datore di lavoro.
L’incidente sul lavoro, il reato contestato e la doppia conforme di merito.
Nel caso di specie, all’imputato, nella qualità di legale rappresentante della s.r.l. e di datore di lavoro, era contestato il reato di lesioni gravi ex art. 590 co. 1, 2, 3 cod. pen., commesso in danno dell’operaio addetto alle presse, per violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro ex art. 71 D.lgs. 81/2008.
In particolare, per quanto concerne la dinamica dell’incidente, l’operaio addetto alle presse, durante lo svolgimento dell’operazione di stampaggio di componenti plastici sulla pressa, posizionava il braccio sotto la matrice del macchinario, il quale ha cominciato a muoversi prima che il lavoratore potesse chiudere il riparo di protezione, in tal modo riportando lesioni da schiacciamento.
La condotta omissiva contestata al datore di lavoro sarebbe consistita nel non aver dotato il macchinario degli adeguati sistemi di sicurezza ex art.71 D.lgs. 81/2008, segnatamente della protezione volta ad impedire il contatto tra gli arti e la parte pericolosa della pressa.
La Corte di appello di Ancora confermava la sentenza di condanna resa dal locale Tribunale.
Il ricorso per cassazione e la decisione della Suprema Corte
Avverso la pronuncia di secondo grado, la difesa del prevenuto proponeva ricorso per cassazione, deducendo violazione di legge e vizio di motivazione in ordine all’accertamento della penale responsabilità del giudicabile, nonché con riguardo al comportamento del lavoratore, dedotto come abnorme.
I Giudici di legittimità, nel ritenere fondato il primo motivo di ricorso, annullano con rinvio la sentenza impugnata, in ragione della carente motivazione resa dalla Corte territoriale.
Il Collegio del diritto invero chiarisce che nell’ambito dei reati colposi omissivi impropri, il giudizio di accertamento in ordine alla sussistenza del nesso causale tra la condotta omissiva e l’exitus infausto si configura come giudizio di probabilità logica che deve essere fondato non solo su parametri scientifici, ma anche su un ragionamento di tipo induttivo basato sulle circostanze del caso concreto.
Alla luce di tale quadro giurisprudenziale, la Suprema Corte ritiene il giudizio effettuato dalla Corte dorica carente.
Di seguito si riportano i passaggi più significativi del ragionamento del Supremo Collegio, tratti dal compendio motivazionale della relativa sentenza.
<la Corte dorica articola al riguardo una motivazione affatto carente, in quanto perviene apoditticamente all’affermazione di responsabilità del [omissis]attraverso i seguenti tre passaggi: l’infortunio si è verificato per un malfunzionamento del macchinario; il malfunzionamento era dovuto a cattiva manutenzione della macchina; la cattiva manutenzione della macchina era, come tale, imputabile al datore di lavoro, ossia al[omissis].
Sul fatto che tale malfunzionamento fosse dovuto a manutenzione, l’assunto della Corte distrettuale è assertivo, ma risulta contrastato dal contenuto della deposizione del teste di riferimento ([omissis]tecnico della prevenzione): il quale, come correttamente osservato dal ricorrente, ha individuato la carenza di manutenzione come una tra le possibili cause del difetto, ma non come la causa esclusiva. Ed è corretto il ragionamento del ricorrente secondo il quale la Corte dorica si sarebbe dovuta confrontare con i dati offerti dal teste a discarico [omissis]sulla regolarità delle manutenzioni del macchinario, dati riscontrati dalla scheda di manutenzione della macchina, in base alla quale risulta che addirittura la manutenzione venne effettuata anche il giorno prima.
Ma, anche volendo ipotizzare che effettivamente vi fosse stato un difetto di manutenzione tale da impedire che venisse corretto il malfunzionamento del dispositivo di sicurezza, occorrerebbe poi – e siamo al terzo passaggio – accertare che di tale difetto di manutenzione debba rispondere il datore di lavoro. Per far ciò occorrerebbe però verificare se le eventuali carenze nella manutenzione del macchinario fossero conosciute o conoscibili da parte del[omissis], nella sua qualità datoriale. Orbene, al riguardo la Corte territoriale nulla dice, contentandosi di porre a carico dell’imputato il difetto di manutenzione in quanto condotta omissiva ascrivibile al datore di lavoro. Eppure, risulta che egli avesse designato un responsabile per la manutenzione delle macchine (nella persona dell'[omissis], chiamato a deporre come teste a discarico) e che fosse disponibile una scheda manutenzione indicante che tale operazione veniva eseguita con frequenza settimanale; non risulta, viceversa, che l’inconveniente al dispositivo di sicurezza alla base dell’infortunio si fosse mai precedentemente verificato.
La Corte dorica non ha argomentato, ma ha meramente asserito, che il presunto – e non dimostrato – difetto di manutenzione fosse tale da conclamare la responsabilità datoriale, senza alcuna disamina in ordine alla conoscibilità di tale difetto e, conseguentemente, alla concreta prevedibilità ex ante, da parte dell’odierno ricorrente, del verificarsi di un infortunio del tipo di quello occorso alla persona offesa, nonché alla possibilità di disporre un apposito intervento per prevenire ed evitare simili eventi, in presenza di compiti di manutenzione che risultavano comunque affidati a soggetto fiduciario appositamente individuato (l'[omissis]) ed assolti con la dovuta frequenza; e non essendo emersi precedenti, analoghi episodi di malfunzionamento>.
Quadro giurisprudenziale di riferimento:
Cassazione penale sez. IV, 03/04/2019, n.20833
In tema di infortuni sul lavoro, il datore di lavoro è responsabile del mancato intervento finalizzato ad assicurare l’utilizzo in sicurezza di macchinari e apparecchiature provvisti di dispositivi di protezione e, in tal senso, del fatto di esigere che tali dispositivi non vengano rimossi.
Peraltro, in caso di infortuni derivanti dalla rimozione delle protezioni a corredo dei macchinari, anche laddove tale rimozione si innesti in prassi aziendali diffuse e ricorrenti, non si può ascrivere tale condotta omissiva al datore di lavoro laddove non si abbia la certezza che egli fosse a conoscenza di tali prassi o che le avesse colposamente ignorate.
In effetti, tale certezza può, in alcuni casi inferirsi sul piano logico (ad esempio, qualora la rimozione dei dispositivi di protezione sia univocamente frutto di una precisa scelta aziendale chiaramente finalizzata ad una maggiore produttività).
Ma quando non vi siano elementi di natura logica per dedurre la conoscenza o la certa conoscibilità di prassi aziendali incaute da parte del titolare della posizione di garanzia datoriale, è necessaria l’acquisizione di elementi probatori certi e oggettivi che attestino tale conoscenza/conoscibilità: diversamente opinando, infatti, si porrebbe in capo al datore di lavoro una responsabilità penale “di posizione” tale da eludere l’accertamento della prevedibilità dell’evento e da sconfinare, in modo inaccettabile, nella responsabilità oggettiva (nella specie, è stata annullata con rinvio la sentenza di condanna perché motivata in modo carente sulla conoscenza da parte del datore di lavoro della prassi aziendale irregolare che aveva determinato l’incidente, non risultando approfondita la circostanza che gli addetti alla vigilanza avessero effettivamente informato di tale prassi il datore di lavoro, anche in ragione della dimensione dell’azienda).
Quadro giurisprudenziale di riferimento sull’esonero di responsabilità del datore di lavoro.
Cassazione penale sez. IV, 19/02/2019, n.14915
In tema di infortuni sul lavoro, il datore di lavoro può assolvere all’obbligo di vigilare sull’osservanza delle misure di prevenzione adottate attraverso la preposizione di soggetti a ciò deputati e la previsione di procedure che assicurino la conoscenza da parte sua delle attività lavorative effettivamente compiute e delle loro concrete modalità esecutive, in modo da garantire la persistente efficacia delle misure di prevenzione scelte a seguito della valutazione dei rischi. (Fattispecie in tema di responsabilità del datore di lavoro per il decesso di un lavoratore dovuto alla sopravvenuta inadeguatezza delle misure di prevenzione adottate in conseguenza del mutamento delle modalità esecutive delle lavorazioni rispetto a quelle previste nel POS, in cui la Corte ha annullato con rinvio la sentenza che aveva affermato la responsabilità del datore di lavoro, nonostante la nomina di un preposto presente al momento dell’infortunio, riconducendo la mancata conoscenza della decisione di ricorrere a modalità esecutive diverse da quelle previste ad una violazione del suo obbligo di controllare personalmente l’andamento dei lavori in cantiere).
Cassazione penale sez. IV, 29/11/2018, n.57361
Nei reati colposi, qualora si assuma violata una regola cautelare cosiddetta “elastica”, cioè dal contenuto comportamentale non rigidamente definito, è necessario, ai fini dell’accertamento della condotta impeditiva esigibile da parte del garante, procedere ad una valutazione “ex ante” che tenga conto delle circostanze del caso concreto. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto immune da censure la sentenza che, in relazione all’omicidio colposo di un lavoratore deceduto per essersi trovato nel raggio di azione di un escavatore, aveva riconosciuto la responsabilità del datore di lavoro che, nonostante avesse correttamente individuato il rischio e previsto la delimitazione dell’area di scavo ai sensi dell’art. 118, comma 3, d.lgs 9 aprile 2008, n. 81, aveva omesso di garantire la presenza di una persona che vigilasse l’area, considerato che l’operaio deceduto era incaricato di eseguire alcune misurazioni nella zona dello scavo e che l’addetto all’escavatore aveva la visuale frontale occlusa).
Cassazione penale sez. IV, 04/05/2017, n.33749
Nel reato colposo omissivo improprio, il rapporto di causalità tra omissione ed evento deve essere verificato alla stregua di un giudizio di alta probabilità logica, che a sua volta deve essere fondato, oltre che su un ragionamento di deduzione logica basato sulle generalizzazioni scientifiche, anche su un giudizio di tipo induttivo elaborato sull’analisi della caratterizzazione del fatto storico e sulle particolarità del caso concreto. (Fattispecie in cui la S.C. ha ritenuto logicamente fallace, perché espressione di un ragionamento “circolatorio”, la ricostruzione del nesso causale tra la condotta del datore di lavoro, consistita nell’omessa manutenzione di una macchina stampatrice, e le lesioni gravi da schiacciamento della mano occorse al lavoratore intento alla manutenzione determinate dal mancato azionamento del microinterruttore di blocco della rotazione del rullo portaclichè, per effetto della rottura della linguetta metallica di attivazione, non avendo il giudice di merito chiarito le ragioni di tale rottura, la tipologia degli interventi di manutenzione omessi e se la loro esecuzione sarebbe stata in grado di evitare il malfunzionamento del dispositivo di sicurezza).
Cassazione penale sez. un., 24/04/2014, n.38343
Nel reato colposo omissivo improprio, il rapporto di causalità tra omissione ed evento non può ritenersi sussistente sulla base del solo coefficiente di probabilità statistica, ma deve essere verificato alla stregua di un giudizio di alta probabilità logica, che a sua volta deve essere fondato, oltre che su un ragionamento di deduzione logica basato sulle generalizzazioni scientifiche, anche su un giudizio di tipo induttivo elaborato sull’analisi della caratterizzazione del fatto storico e sulle particolarità del caso concreto. (Fattispecie in cui la suprema Corte ha escluso il nesso causale tra la condotta omissiva consistita nella mancata realizzazione di un impianto antincendio automatico e l’aggravante di cui all’art. 437, comma 2, c.p., alla stregua del giudizio controfattuale per cui, valutate le circostanze concrete in ordine ai necessari tempi di realizzazione, l’impianto non sarebbe stato comunque ultimato in epoca antecedente alla verificazione del disastro).
By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA