La mancata somministrazione di farmaco anticoagulante non determina l’automatica responsabilità del sanitario in servizio presso il reparto se il paziente muore per embolia trombo polmonare.

Si segnala ai lettori del blog la sentenza 10175.2020, resa dalla IV Sezione penale della Corte di Cassazione, scrutinando un caso di responsabilità medica per il quale l’imputata aveva riportato condanna nel doppio grado di merito per omicidio colposo, annulla l’impugnata sentenza ripercorre ed applica i noti principi di diritto dettati in tema di accertamento della sussistenza del nesso di causalità tra la condotta omissiva ascritta al sanitario e l’evento lesivo e di valutazione della prova scientifica della quale il giudice penale deve fare applicazione.

Il caso clinico e la doppia conforme di merito

L’exitus infausto riguarda il decesso di una paziente dovuto ad insufficienza cardiocircolatoria acuta da trombo embolia polmonare massiva per trombosi venosa profonda.

La Procura della Repubblica di Roma ha contestato all’imputata il delitto di omicidio colposo ottenendone il rinvio a giudizio nella qualità di medico in servizio presso il reparto di cardiologia dell’ospedale, aver omesso con imprudenza e negligenza di somministrare la terapia profilattica antitrombotica a base di derivati eparinici, astrattamente idonei ad evitare l’evento avverso verificatosi.

Il Tribunale capitolino condannava l’imputata alla pena ritenuta di giustizia.

La sentenza veniva confermata in grado di appello.

Il ricorso per cassazione il principio di diritto

Avverso la decisione resa dalla Corte territoriale, la difesa della prevenuta interponeva ricorso per cassazione, articolando plurimi motivi di impugnazione.

In particolare, per quanto qui di interesse, veniva censurata  la motivazione della sentenza di secondo grado sul punto dell’accertamento controfattuale dell’idoneità della condotta doverosa omessa (la somministrazione di eparina) ad impedire il decesso della vittima, ipotizzandone  la realizzazione da parte della giudicabile.

I Giudici di legittimità, accoglie il motivo di ricorso e, per l’effetto,  annulla con rinvio la sentenza gravata, richiamando il consolidati orientamenti sedimentati  intorno ai temi del giudizio controfattuale e della valutazione della prova scientifica.

Di seguito si riportano i passaggi più significativi tratti dalla parte motiva della sentenza in commento:

tale motivazione risulta lacunosa nella parte in cui si limita ad affermare la sussistenza del nesso causale alla luce del mero dato statistico ed astratto, prescindendo completamente dalla situazione concreta e, cioè, dalle condizioni specifiche della paziente (età ed altre patologie accertate e risultanti in modo certo e chiaro dalle sentenze di merito, tra cui la sincope che aveva determinato il ricovero, il diabete mellito di tipo 2, la gastrite cronica, la ipertensione), dal lasso temporale intercorso dal momento in cui sarebbe insorta la doverosità della terapia antitrombotica ed il momento del decesso (momento in cui è insorta la doverosità della terapia antitrombotica: 7 novembre 2012 e, cioè, terzo giorno dopo il ricovero, caratterizzato dalla mobilità ridotta della paziente, che era, invece, stata valutata come autonoma nel momento dell’ingresso in ospedale il 4 novembre 2012, v. sentenza di primo grado; momento del decesso: 10 novembre, ore 6,00); dai tempi ordinari e specifici di efficacia della terapia omessa; dalla stessa evoluzione della patologia trombotica e dall’analisi del relativo grado di gravità al momento in cui si sarebbe dovuta iniziare la terapia omessa.

A ciò si aggiunga, inoltre, che la motivazione è lacunosa anche in ordine all’individuazione dell’effettiva elevata probabilità logica dell’efficacia salvifica delle cure omesse, individuata in termini generici nella significativa riduzione del rischio del verificarsi della complicanza tromboembolica, senza alcuna risposta alle doglianze della difesa sul punto.

 A ciò si aggiunga che, pur essendosi il Tribunale lungamente soffermato sulla doverosità, nel caso concreto, di somministrare farmaci idonei a prevenire il rischio trombotico, la motivazione è esaustiva, non manifestamente illogica e priva di contraddizioni, alla luce della complessa istruttoria dibattimentale e delle prove testimoniali (in particolare di quanto riferito dagli infermieri e dalla nipote della vittima), soltanto riguardo all’effettiva esistenza, in aggiunta all’età e all’obesità, dell’ulteriore fattore di rischio della complicanza trombotica della ridotta mobilità della paziente (ridotta mobilità non percepita e negata dall’imputata ed esclusa anche dal perito nominato il quale, tuttavia, ha fondato il suo giudizio esclusivamente sulle prove documentali).

Al contrario, il Tribunale e la Corte di appello hanno escluso (il primo a p. 12 ed il secondo a p. 2), in modo illogico e contraddittorio, il rischio emorragico, allegato dalla difesa.

Più precisamente, il Tribunale ha riportato le valutazione del consulente della difesa, dott.ssa [omissis], secondo cui l’anemia sideropenica, la gastrite cronica, l’insufficienza renale moderata costituivano degli elementi ostativi ad una terapia anti-coagulante, rendendo il rischio emorragico superiore a quello trombotico, e la premessa dei consulenti della pubblica accusa, secondo cui la decisione di iniziare la terapia antitrombotica si basa sempre su una valutazione individuale del rapporto rischio emorragico/trombotico, ma ha, poi, escluso il rischio emorragico in adesione alle indicazioni dei consulenti della pubblica accusa fondate sulle linee guida del 2011, che indicano alcune della situazioni a cui si associa il rischio emorragico.

Le linee guida non possono, tuttavia, escludere che il medico, alla luce della condizione specifica della paziente, individui altri elementi concretamente sintomatici del rischio emorragico.

A conferma di ciò, è sufficiente richiamare l’orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui, in tema di responsabilità medica, il rispetto di linee guida accreditate presso la comunità scientifica non determina, di per sé, l’esonero dalla responsabilità penale del sanitario ai sensi dell’art. 3 del d.l. 13 settembre 2012, n. 158 (conv. in legge 8 novembre 2012, n. 189), dovendo comunque accertarsi se la specificità del quadro clinico del paziente imponesse un percorso terapeutico diverso rispetto a quello indicato da dette linee guida (Sez. 4, n. 244555 del 22/04/2015 ud.- dep. 08/06/2015, Rv. 263732 – 01).

Da tale premessa deriva, dunque, che, a fronte di due pareri discordanti dei consulenti dell’accusa e della difesa su circostanze non espressamente valutate dalle linee guida, ma che hanno, tuttavia, caratterizzato il caso esaminato dal medico, la decisione dei giudici di merito che scelga tra le due posizioni non può fondarsi sul mero rinvio alle linee guida, che non contemplano e non valutano dette circostanze e che, proprio perché elaborate in via astratta, non possono esaurire tutte le situazioni concrete.

Il giudice di merito dovrà motivare la sua scelta tra le diverse posizioni dei tecnici in base alle leggi scientifiche adattate alle peculiarità del caso concreto, conformemente all’orientamento secondo cui, in tema di prova, in virtù del principio del libero convincimento, il giudice di merito, pur in assenza di una perizia d’ufficio, può scegliere tra le diverse tesi prospettate dai consulenti delle parti, quella che ritiene condivisibile, purché dia conto con motivazione accurata ed approfondita, delle ragioni della scelta nonché del contenuto della tesi disattesa e delle deduzioni contrarie delle parti (Sez. 4, n. 8527 del 13/02/2015 ud. – dep. 25/02/2015, Rv. 263435 – 01).

Né la completezza della motivazione, in ordine all’esclusione del rischio emorragico, si può rinvenire a p. 14 della sentenza di primo grado, laddove viene ritenuta generica l’allegazione difensiva relativa al dolore gastrico, perché non necessariamente sintomatico di un’ulcera duodenale (fattore di rischio emorragico secondo le linee guida), ma non si approfondiscono gli ulteriori elementi sintomatici, secondo la difesa, del rischio emorragico, indicati nell’atto di appello (in particolare p. 44) e richiamati nel ricorso per cassazione, a cui pure, in parte, si è fatto riferimento nella sentenza (ad esempio, l’anemia, secondo le indicazioni della consulente della difesa).

By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA