La posizione di garanzia rispetto al rischio suicidario: sussiste a carico dei soggetti garanti della casa di riposo l’obbligo di predisporre le misure di sorveglianza idonee a prevenire il gesto inconsulto della paziente affetta da sindrome depressiva con disturbo della personalità

Si segnala ai lettori del blog la sentenza 10114.2020, resa dalla IV Sezione penale della Corte di Cassazione, con la quale il Collegio del diritto, scrutinando un caso di responsabilità penale in ordine al contestato reato di omicidio colposo dovuto a suicidio di una paziente ricoverata in una casa di riposo, si esprime in merito alla tema delle posizioni di garanzia esistenti nell’organigramma della struttura di cura dei pazienti ed alla conseguente penale responsabilità che deriva dalla mancata attuazione delle misure precauzionali.

Il caso clinico ed il doppio grado di merito

Nel caso di specie, l’exitus infausto riguarda l’allontanamento dalla casa di riposo ed il decesso dovuto a suicidio per annegamento di una paziente affetta da sindrome depressiva grave con disturbo della personalità.

Agli imputati tratti  a giudizio nella qualità di procuratore speciale e di direttore generale della cooperativa sociale alla quale appartiene la casa di riposo, era contestato il delitto di omicidio colposo ex art. 589 cod. pen., con colpa consistita nell’omessa predisposizione di un sistema di sorveglianza idoneo a prevenire i ripetuti tentativi di fuga che hanno da ultimo portato al suicidio la paziente ricoverata nella struttura.

La Corte di appello di Venezia, riformando parzialmente la sentenza di condanna resa dal Tribunale di Rovigo, assolveva gli imputati dal delitto loro ascritto, poiché il fatto non costituisce reato.

Il ricorso in cassazione e la decisione della Suprema Corte

Avverso la predetta sentenza, la difesa delle parti civili costituite interponeva ricorso per cassazione, ai soli effetti della responsabilità civile degli imputati, deducendo due motivi di ricorso.

Riveste particolare interesse per il presente commento il motivo di impugnazione relativo alla carenza della motivazione della sentenza resa dalla Corte territoriale in ordine alle posizioni di garanzia gravanti sugli imputati. Secondo i ricorrenti, invero, il riconoscimento in capo alla coordinatrice [omissis] di obblighi di predisposizione di misure di sorveglianza della paziente, l’assenza di qualsivoglia delega di funzioni in suo favore, nonché l’omessa vigilanza sul relativo operato, imponevano di ravvisare individuare una penale responsabilità in capo  ai giudicabili connessa alla loro posizione di garanzia.

I Giudici di legittimità, nell’accogliere il motivo di ricorso e nell’annullare la sentenza impugnata con rinvio al Giudice civile in grado di appello, sigmatizzano la carenza della motivazione – nel caso di specie dovuta in forma rafforzata – emessa dalla Corte territoriale sul punto della titolarità delle posizioni di garanzia da cui far discendere  i poteri impeditivi degli eventi lesivi non esercitati nel caso concreto per scongiurare l’evento lesivo antigiuridico

Di seguito si riportano i passaggi più significativi tratti dal compendio motivazionale della Suprema Corte:

<Il giudice di primo grado aveva ritenuto [omissis], procuratore speciale e responsabile dell’area Veneto, direttamente responsabile della mancata adozione delle misure indicate, atteso che egli aveva la responsabilità strategica, gestionale e di sviluppo dell’area, alle dipendenze del direttore generale, ed era dotato di poteri di spesa: nell’ambito di tali poteri, egli era in grado di sottoscrivere contratti di acquisto di beni strumentali e di provvedere alla gestione del personale, ovvero di adottare tutti i provvedimenti concretamente necessari per predisporre le misure di sorveglianza sopra indicate.

Con riguardo a [omissis], direttore generale e legale rappresentante di [omissis], il Tribunale correttamente osservava che, pur avendo egli conferito un’ampia delega al direttore di area, restava comunque obbligato ad adempiere ai propri doveri, sia di controllo dell’operato del delegato, sia di gestione diretta, assicurandosi della corretta organizzazione e dotazione delle strutture gestite, dell’adempimento dei rispettivi compiti di sorveglianza e della corretta organizzazione dell’attività, che implicava anche la segnalazione di eventi avversi.

La sentenza di primo grado aveva concluso ritenendo [omissis] e [omissis] responsabili, in cooperazione colposa, dell’evento accaduto alla signora [omissis], sulla base della sussistenza, in capo a costoro, di una posizione di garanzia, la quale comporta il controllo sulle fonti di pericolo per l’incolumità fisica dei degenti della casa di riposo, ivi compreso il rischio di suicidio.

 La sentenza di appello, escludendo la responsabilità degli imputati sull’assunto della mancanza di prova che fossero stati resi edotti dei problemi afferenti alla gestione di [omissis], trascura di considerare che tra gli obblighi connaturati al fatto di rivestire una posizione di garanzia vi è anche quello di vigilanza che, nel caso di specie, è stato completamente disatteso.

Le richiamate valutazioni espresse dalla sentenza di primo grado, con le quali la pronuncia di appello non si è adeguatamente confrontata nei termini di cui più sopra si è dato conto, risultano del tutto coerenti rispetto ai principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità, a partire dagli anni novanta, nella elaborazione della “teoria del garante”.

In via di estrema sintesi, deve rilevarsi che la Suprema Corte ha colto il significato profondo degli obblighi di garanzia nello speciale vincolo di tutela che lega il soggetto garante ad un determinato bene giuridico, per il caso in cui il titolare dello stesso bene sia incapace di proteggerlo autonomamente.

In tale ambito ricostruttivo, questa Corte regolatrice ha osservato che le cosiddette posizioni di garanzia, le quali sono inequivoche espressioni di una particolare solidarietà, hanno un innegabile punto di riferimento in quella norma, art. 2 Cost., che, ispirandosi al principio personalistico o del rispetto della persona umana nella sua totalità, esige, nel riconoscere i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nella formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale [Sez. 4, n. 4793 del 06/12/1990 (dep. 1991), Bonetti, Rv. 191792].

Si tratta di principi che vengono riaffermati in questa sede, per condivise ragioni, e che guidano la valutazione rimessa all’interprete – per tutti i casi della vita, non tipizzati dal legislatore, in cui sussiste una situazione di passività in cui versa il titolare del bene protetto – sia nella selezione della figura del garante, sia nella individuazione del contenuto degli obblighi impeditivi specificamente riferibili al soggetto che versa in posizione di garanzia (Sez. 4, n. 11136 del 04/02/2015, Conti, Rv. 262869: fattispecie in cui è stata riconosciuta la responsabilità della direttrice di una casa di riposo per anziani, per omessa predisposizione di misure idonee ad impedire l’accesso ad una scalinata, sulla quale rovinava un’ospite della struttura, procurandosi gravi lesioni conducenti alla morte, giacché a lei spettava la gestione dei degenti rispetto alle ordinarie esigenze di vita, comprendenti sul controllo sulle fonti di pericolo per l’incolumità fisica degli anziani).

 Orbene, il giudice di primo grado ha fatto buon governo dei principi ora richiamati, laddove ha valorizzato l’assenza di procedure e presidi decisivi ai fini di impedire eventi come quello occorso alla [omissis].

Sui punti evidenziati, ed in relazione ai numerosi aspetti e profili ad essi fattualmente correlati e, come tali, investiti dal motivato convincimento espresso dal primo giudice, la Corte territoriale ha omesso di confutarne appieno la consistenza e linearità del ragionamento probatorio, trascurando la necessaria valutazione critica di tutti gli elementi su cui è stata fondata la precedente decisione di condanna>.

By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA