Integra ingiuria non punibile e non diffamazione l’espressione di giudizi lesivi dell’altrui reputazione tramite chat se la comunicazione offensiva avviene in presenza del destinatario

Si segnala ai lettori del blog la sentenza 10905.2020, depositata il 31 marzo 2020, resa dalla V Sezione penale della Corte di Cassazione, con la quale il Collegio del diritto, scrutinando un caso di diffamazione realizzata a mezzo video chat, traccia il discrimen tra il delitto di diffamazione e l’illecito di ingiuria – depenalizzato dal D.lgs. 07/2016 –  legato dall’estraneità o meno della persona offesa alla comunicazione con più persone.

Nel caso di specie la presenza dell’imputato alla chat oggetto di incolpazione ha determinato la riqualificazione del fatto come ingiuria con conseguente annullamento senza rinvio della sentenza impugnata trattandosi di fatto oramai estraneo al perimetro della illiceità penale.

Il reato contestato ed il doppio giudizio di merito.

All’imputato era contestato il delitto di diffamazione per aver offeso l’interlocutore attraverso commenti lesivi della sua reputazione pubblicati in una video chat su Facebook con modalità accessibili ad un numero indeterminato di persone.

La Corte di appello di Milano confermava la sentenza di condanna inflitta dal Tribunale di Monza per il reato previsto e punito dall’art. 595 c.p..

Il ricorso in cassazione e il principio di diritto

Avverso la sentenza di secondo grado, la difesa del prevenuto proponeva ricorso per cassazione, deducendo la violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla qualificazione del fatto contestato nel capo di imputazione come diffamazione anziché come ingiuria.

Secondo la difesa, la condotta posta in essere dal giudicabile integra gli estremi dell’illecito depenalizzato di ingiuria, poiché i giudizi offensivi, espressi sulla chat vocale sulla piattaforma Google hangouts, hanno raggiunto il destinatario degli stessi ed hanno avuto durata temporanea – a differenza di quanto accade in caso di utilizzo di altre piattaforme digitali, in cui le comunicazioni sono accessibili ad un numero indeterminato di persone.

I Giudici di legittimità, nell’accogliere il motivo di ricorso, annullano senza rinvio la sentenza impugnata, in ragione della configurazione del fatto oggetto di scrutinio come ingiuria, non più prevista come reato dalla legge.

Di seguito si riportano i passaggi tratti dal compendio motivazionale della sentenza resa dalla Suprema Corte, dai quali si evince il discrimine tra diffamazione ed ingiuria:

<E’ invero stato accertato che le espressioni offensive sono state pronunciate dall’imputato mediante comunicazione telematica diretta alla persona offesa, ed alla presenza, altresì, di altre persone “invitate” nella chat vocale.

Ciò posto, va rammentato che l’elemento distintivo tra ingiuria e diffamazione è costituito dal fatto che nell’ingiuria la comunicazione, con qualsiasi mezzo realizzata, è diretta all’offeso, mentre nella diffamazione l’offeso resta estraneo alla comunicazione offensiva intercorsa con più persone e non è posto in condizione di interloquire con l’offensore (Sez. 5, n. 10313 del 17/01/2019, Vicaretti, Rv. 276502).

Ne consegue che il fatto, come accertato dalla sentenza impugnata, deve essere qualificato come ingiuria aggravata dalla presenza di più persone, ai sensi dell’art. 594, u.c., c.p., che, ai sensi dell’art. 1, comma 1, lett. C), d.lgs. 15.1.2016 n. 7, è stato depenalizzato; la sentenza impugnata va dunque annullata senza rinvio […]>.

Quadro giurisprudenziale di riferimento:

Cassazione penale sez. V, 17/01/2019, n.10313

L’elemento distintivo tra ingiuria e diffamazione è costituito dal fatto che nell’ingiuria la comunicazione, con qualsiasi mezzo realizzata, è diretta all’offeso, mentre nella diffamazione l’offeso resta estraneo alla comunicazione offensiva intercorsa con più persone e non è posto in condizione di interloquire con l’offensore. (In applicazione del principio, la Corte ha ritenuto immune da censure la decisione di merito che aveva qualificato come diffamatorie le espressioni profferite dal ricorrente ad alta voce, in assenza della persona offesa, che tuttavia le aveva udite, perché impegnata in una conversazione telefonica con uno dei soggetti presenti nella stanza in cui le parole offensive erano state pronunciate).

 

Cassazione penale , sez. V , 03/05/2018 , n. 40083

La diffusione di un messaggio diffamatorio attraverso l’uso di una bacheca “facebook” integra un’ipotesi di diffamazione aggravata ai sensi dell’ art. 595, comma terzo, cod. pen. , poiché trattasi di condotta potenzialmente capace di raggiungere un numero indeterminato o comunque quantitativamente apprezzabile di persone.

 

Cassazione penale, sez. V, 07/10/2016, n. 2723

La divulgazione di un messaggio di contenuto offensivo tramite social network ha indubbiamente la capacità di raggiungere un numero indeterminato di persone, proprio per la natura intrinseca dello strumento utilizzato, ed è dunque idonea ad integrare il reato della diffamazione aggravata (fattispecie relativa all’inserimento di un messaggio offensivo sul profilo Facebook della persona offesa).

 

Cassazione penale sez. II, 13/05/2014, n.24576

L’art. 594 c.p. non considera la presenza dell’offeso come una circostanza che possa essere valutata a carico o a favore dell’imputato anche se da lui sconosciuta, e nemmeno come una condizione di punibilità, ma la prevede tra quegli elementi costitutivi dei reato che l’imputato deve conoscere perché realizzi l’ipotesi delittuosa dell’ingiuria. La mancata conoscenza della presenza della persona offesa impedisce il perfezionamento del delitto di ingiuria e fa subentrare l’ipotesi della diffamazione, che punisce chiunque, comunicando con più persone offende l’altrui reputazione.

By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA