Art 617 quinquies cod. pen.: per la configurazione del reato informatico nella forma tentata è necessario che l’agente ponga in essere atti idonei e diretti in modo non equivoco ad installare apparecchiature in grado di intercettare comunicazioni informatiche o telematiche

Si segnala ai lettori del blog la sentenza 8441.2020, resa dalla V Sezione penale della Corte di Cassazione, con la quale il Collegio del diritto si esprime in merito ad un caso di tentativo di installazione di apparecchiature atte ad intercettare comunicazioni informatiche o telematiche ex art. 617 quinquies c.p.

Il reato contestato ed il doppio giudizio di merito

Nel caso di specie, agli imputati erano contestati il reato di cui agli artt. 110, 56, 617 quinquies c.p., per aver gli stessi tentato di intercettare le comunicazioni intercorrenti tra il sistema telematico dell’ufficio postale e le carte bancomat dei clienti, con successiva clonazione delle carte, attraverso l’asportazione della placca posizionata sotto la fessura adibita all’inserimento dei bancomat, allo scopo di collocarvi l’apparecchio diretto alla captazione dei dati.

La Corte di appello di Milano confermava la sentenza di condanna emessa dal locale Tribunale.

Il ricorso in cassazione e la decisione della Suprema Corte

La difesa dei prevenuti interponeva ricorso per cassazione avverso la sentenza resa dalla Corte territoriale, lamentando, con un unico motivo di impugnazione, il difetto di motivazione in ordine alla valutazione dell’idoneità degli atti posti in essere dai giudicabili a commettere il fatto illecito di intercettazione di comunicazioni telematiche.

I Giudici di legittimità, nel ritenere fondato il motivo di ricorso e nell’annullare la sentenza impugnata con rinvio per la celebrazione di un nuovo giudizio dinanzi ad altra sezione della Corte di appello di Milano, ravvisano il vizio di motivazione nella pronuncia resa dai Giudici di secondo grado.

Di seguito si riportano i passaggi più significativi tratti dal compendio motivazionale della decisione della Suprema Corte:

Nel concreto, per quanto è dato comprendere dalla ricostruzione del fatto riportata nelle sentenze di primo e secondo grado, gli imputati sono stati sorpresi dagli appartenenti ad una pattuglia delle forze dell’ordine mentre armeggiavano con lo sportello bancomat di cui sopra; in detta occasione, i due erano stati trovati in possesso di un trapano a batteria, di un minicacciavite, di una tessera in plastica trasparente e di una tessera in plastica con sfondo bianco raffigurante una carta Bancoposta. Sulla scorta di questi dati probatori sia il Giudice monocratico che la Corte di appello hanno ritenuto raggiunta la prova che gli imputati avessero posto in essere atti idonei diretti in modo non equivoco ad installare apparecchiature in grado di intercettare le comunicazioni telematiche tra il sistema bancario e le tessere dei clienti. Ebbene, il Collegio osserva che la conclusione della Corte di appello — per quanto di interesse in questa sede non è stata preceduta da uno specifico percorso argomentativo che valga a giustificare la riconduzione dell’attività dei ricorrenti ad un tentativo del reato contestato, a dispetto di uno specifico motivo di appello in tal senso. Difatti la conclusione dei giudici di merito in ordine all’univocità ed all’idoneità degli atti nella direzione dell’attività intercettiva ipotizzata appare sostanzialmente apodittica, non avendo chiarito da quali dati, fattuali e tecnici, potesse evincersi che l’attrezzatura trovata in possesso dei prevenuti e l’attività che i medesimi erano stati sorpresi a svolgere sull’apparecchiatura potesse essere ricondotta, oltre ogni ragionevole dubbio, alla fattispecie criminosa ipotizzata. Ciò tradisce un percorso argomentativo del tutto inappagante, laddove l’appellante aveva invece espressamente devoluto una censura circa l’indimostrata idoneità ed univocità della condotta accertata rispetto al delitto tentato ritenuto dal Giudice di prime cure>.

 

Quadro giurisprudenziale di riferimento:

Cassazione penale sez. V, 22/11/2019, n.3236

La installazione abusiva di apparecchiature atte ad intercettare comunicazioni relative ad un sistema informatico, integra il delitto di cui all’art. 617-quinquies c.p.; affinché sussista il reato è necessario accertare l’idoneità dell’apparecchiatura installata a consentire la raccolta o la memorizzazione di dati.


Cassazione penale , sez. VI , 16/05/2018 , n. 39279

Il reato di installazione di apparecchiature atte ad intercettare od impedire comunicazioni o conversazioni, previsto dall’ art.617-bis cod. pen. , si configura solo se l’installazione è finalizzata ad intercettare o impedire comunicazioni tra persone diverse dall’agente, per cui il delitto non ricorre nell’ipotesi in cui si utilizzi un “jammer telefonico”, ossia un disturbatore telefonico, al fine di impedire l’intercettazione di comunicazioni, sia tra presenti che telefoniche, intrattenute dal soggetto che predispone l’apparecchio.

                                                                                                 

Cassazione penale, sez. V, 01/02/2016, n. 23604

Integra il reato installazione di apparecchiature atte ad intercettare, impedire od interrompere comunicazioni informatiche o telematiche (art. 617 quinquies c.p.) la condotta di colui che installi, all’interno del sistema bancomat di un’agenzia di banca, uno scanner per bande magnetiche con batteria autonoma di alimentazione e microchip per la raccolta e la memorizzazione dei dati, al fine di intercettare comunicazioni relative al sistema informatico. Trattandosi di reato di pericolo, non è necessario accertare, ai fini della sua consumazione, che i dati siano effettivamente raccolti e memorizzati.

 

Cassazione penale, sez. V, 12/01/2011, n. 6239

La natura di reato di pericolo della fattispecie di cui all’art. 617 quinquies c.p. non esclude l’ipotesi tentata.

 

By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA