Non è configurabile la bancarotta fraudolenta per distrazione o occultamento nella condotta di storno dall’attivo di poste contabili creditorie e di trasferimento delle stesse nel conto sopravvenienze passive

Si segnala ai lettori del blog la sentenza 11752.2020, depositata il 9 aprile 2020, resa dalla V Sezione penale della Corte di Cassazione, con la quale il Collegio del diritto, scrutinando un caso di bancarotta fraudolenta patrimoniale, si esprime in merito alla qualificazione della condotta posta in essere dall’imputato, consistente nello stornare i crediti vantati dalla società fallita a sopravvenienze passive non integrante il reato contestato, delineando le differenze tra le ipotesi di distrazione, dissipazione ed occultamento integranti la fattispecie di reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale.

Il reato contestato ed il doppio giudizio di merito

Nel caso di specie, all’imputato, nella qualità di amministratore della società fallita, era contestato il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, per aver stornato dall’attivo poste contabili relative a crediti vantati dalla fallita nei confronti di altre società del gruppo dallo stesso amministrate e per averle trasferite nel conto sopravvenienze passive, con conseguente omessa riscossione dei crediti.

La Corte di appello di Lecce confermava la sentenza di condanna di primo grado per il reato ascritto al giudicabile.

Il ricorso per cassazione, il giudizio di legittimità e la questione di diritto

La difesa del prevenuto proponeva ricorso per cassazione avverso la decisione della Corte territoriale, articolando plurimi motivi di impugnazione.

In particolare, con i primi due motivi di ricorso si lamentava la mancata configurazione del reato fallimentare e l’impossibilità di qualificare la condotta contestata all’imputato come distrazione.

I Giudici di legittimità, dopo essersi espressi sulla portata delle singole ipotesi integranti il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale (quali la distrazione, la distruzione, la dissipazione e l’occultamento) ed aver chiarito che la condotta ascritta al giudicabile fosse penalmente rilevante, accolgono il ricorso ed annullano la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Lecce per la celebrazione di un nuovo giudizio, affinché  verifichi la sussistenza o meno di elementi idonei a configurare fattispecie alternative diverse da quella formulata dall’Accusa.

Si segnalano i seguenti passaggi più significativi tratti dal compendio motivazionale della pronuncia della Suprema Corte:

<Nel caso di specie all’imputato è contestato di aver distratto o comunque occultato crediti vantati dalla fallita nei confronti di altre società sempre riconducibili allo [omissis] mediante un artifizio contabile, consistito nello stornare i medesimi a sopravvenienze passive, operazione che, secondo la Corte territoriale, si sarebbe tradotta nel loro sostanziale azzeramento e di fatto nella rinunzia ai relativi diritti.

Tale affermazione non può essere condivisa, posto che, in assenza di un formale atto di remissione del debito o di rinunzia ad esercitare i diritti sottostanti, i crediti in questione possono essere venuti meno, rimanendo parte integrante del patrimonio della fallita e non impedendo l’impropria operazione contabile contestata alla curatela di agire per riscuoterli.

Certamente attraverso l’artifizio contabile di cui si è detto non si è determinato alcun distacco dei beni menzionati dal patrimonio in grado di integrare la ipotizzata distrazione, né lo stesso ha di per sé cagionato un reale “azzeramento” del loro valore, eventualmente qualificabile come distruzione o dissipazione (venendo in proposito semmai in conto l’eventuale lesione della garanzia patrimoniale causata dalla mancata riscossione dei crediti divenuti eventualmente irrecuperabili al momento del fallimento, previa dimostrazione che, qualora di fosse proceduto tempestivamente in tal senso ovvero attraverso idonei strumenti conservativi, il valore dei crediti sarebbe stato preservato).

Né, infine, il fatto descritto è riconducibile all’alternativa condotta di occultamento.

Secondo il costante insegnamento di questa Corte, infatti, il verbo occultare, nel senso evocato dall’art. 216 legge fall., definisce sia il comportamento del fallito che nasconde materialmente i suoi beni in modo che il curatore non possa apprenderli, sia il comportamento del fallito che, mediante atti o contratti simulati, faccia apparire come non più suoi beni che continuano ad appartenergli, in modo da celare una situazione giuridica che consentirebbe di assoggettare detti beni all’azione esecutiva concorsuale (ex multis Sez. 5, n. 46921 del 15/11/2007, Di Nora, Rv n. 237981; Sez. 5, n. 46692 del 03/10/2016, Marzio, Rv. 268637).

In definitiva, la condotta dell’imputato non si è tradotta in alcun atto di disposizione patrimoniale, reale o simulato, o comportamento materiale cui sia conseguita l’effettiva od apparente diminuzione della garanzia patrimoniale della fallita.

Ciò però ancora non significa che il fatto contestato sia penalmente irrilevante.

Ed infatti, così come descritto nell’editto imputativo, lo stesso contiene la contestazione di un fraudolento intervento  sulle scritture contabili ovvero sul bilancio eventualmente rilevante ai fini della configurabilità dei reati di bancarotta fraudolenta documentale o di bancarotta impropria da reato societario>.

La norma incriminatrice:

Art. 216 Legge fall. – Bancarotta fraudolenta

È punito con la reclusione da tre a dieci anni, se è dichiarato fallito, l’imprenditore, che:

1) ha distratto, occultato, dissimulato, distrutto o dissipato in tutto o in parte i suoi beni ovvero, allo scopo di recare pregiudizio ai creditori, ha esposto o riconosciuto passività inesistenti;

2) ha sottratto, distrutto o falsificato, in tutto o in parte, con lo scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizi ai creditori, i libri o le altre scritture contabili o li ha tenuti in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari.

La stessa pena si applica all’imprenditore, dichiarato fallito, che, durante la procedura fallimentare, commette alcuno dei fatti preveduti dal n. 1 del comma precedente ovvero sottrae, distrugge o falsifica i libri o le altre scritture contabili.

È punito con la reclusione da uno a cinque anni il fallito, che, prima o durante la procedura fallimentare, a scopo di favorire, a danno dei creditori, taluno di essi, esegue pagamenti o simula titoli di prelazione.

Salve le altre pene accessorie, di cui al capo III, titolo II, libro I del codice penale, la condanna per uno dei fatti previsti nel presente articolo importa per la durata di dieci anni l’inabilitazione all’esercizio di una impresa commerciale e l’incapacità per la stessa durata ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa.

 

Quadro giurisprudenziale di riferimento:

Cassazione penale sez. V, 03/10/2016, n.46692

Nei reati di bancarotta documentale e patrimoniale, la condotta tipica di occultamento viene integrata dal comportamento del fallito che attraverso atti o contratti simulati, faccia apparire come non più suoi beni che continuano ad appartenergli.

Cassazione penale sez. V, 15/11/2007, n.46921

In tema di bancarotta fraudolenta per occultamento, il verbo occultare, adoperato dall’art. 216 l. fall., secondo il suo preciso significato filologico, definisce sia il comportamento del fallito che nasconde materialmente i suoi beni in modo che il curatore non possa apprenderli, sia il comportamento del fallito che, mediante atti o contratti simulati, faccia apparire come non più suoi beni che continuano ad appartenergli, in modo da celare una situazione giuridica che consentirebbe di assoggettare detti beni all’azione esecutiva concorsuale.

By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA