Lesioni colpose dovute a caduta dall’alto: va affermata la responsabilità del datore di lavoro che ometta di dotare il lavoratore di uno strumento di lavoro adeguato a prevenire i rischi inerenti alla mansione svolta
Si segnala ai lettori del blog la sentenza numero 12157/2020, depositata il 15 aprile 2020, resa dalla IV Sezione penale della Corte di Cassazione, con la quale il Collegio del diritto, nello scrutinio di un caso di lesioni colpose commesse in violazione della normativa sulla sicurezza sul lavoro, si esprime in merito al tema dell’accertamento del nesso di causalità tra le omissioni contestate al datore di lavoro e l’infortunio occorso al lavoratore.
L’incidente sul lavoro e la doppia conforme di merito
Nel caso di specie, l’infortunio occorso alla lavoratrice, impegnata nell’attività di inventario della merce in magazzino, è consistito in una caduta all’indietro da una scala a pioli, con conseguente frattura della vertebra.
Al datore di lavoro era contestato il reato di lesioni colpose, commesso con colpa generica e violazione delle disposizioni del testo unico in materia di sicurezza sul lavoro, per non aver fornito alla lavoratrice uno strumento di lavoro adeguato, dotato dei necessari punti d’appoggio e di aggancio volti a prevenire il pericolo di cadute dall’alto e per aver omesso di formare ed informare la lavoratrice in merito ai rischi inerenti alla mansione.
La Corte di appello di Torino confermava la sentenza con la quale il locale Tribunale condannava l’imputato per il reato ascrittogli.
Il ricorso per cassazione, il giudizio di legittimità e la questione di diritto
La difesa del prevenuto interponeva ricorso per cassazione avverso la sentenza di secondo grado, deducendo violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla prova dell’esistenza del nesso causale tra le omissioni contestate al giudicabile e l’evento lesivo occorso alla lavoratrice.
I Giudici di legittimità, nel dichiarare il ricorso inammissibile, affermano la correttezza dell’iter logico – giuridico seguito dalla Corte territoriale in merito alla dinamica dell’incidente ed all’individuazione delle condotte doverose ed omesse dal datore di lavoro, volte a prevenire i rischi lavorativi connessi alla specifica mansione.
Di seguito si riportano i passaggi più significativi tratti dal compendio motivazionale della decisione della Suprema Corte:
<Sotto il profilo soggettivo è indubbio che la lavoratrice era intenta a svolgere un’attività di lavoro (in particolare di inventario di merce stipata su scaffali) con mezzo, scala a pioli, del tutto inadeguato in relazione alla specifica lavorazione che le veniva richiesta, con particolare riferimento alla esigenza di operare in sicurezza pur mantenendo impegnate una o entrambe le mani in attività di computo e di inventario, in presenza di strumento di lavoro privo di punti di appoggio, di balaustra o di mancorrenti e in assenza di una specifica previsione di tale lavorazione nel Documento di Valutazione dei Rischi.
A tale proposito, se è vero che il lavoratore era impegnato a lavorare ad altezza che giustificava l’impiego di scala a pioli, nondimeno dall’esame della sentenza e dei motivi di ricorso si evince che egli si trovava ad operare a quota non minimale, in presenza di scaffali posti anche a m. 2,50 da terra, stipati di numerosissimi articoli da inventariare, con modalità operative che giustificavano l’impegno delle mani di chi operava.
In tale prospettiva non può ritenersi certamente imprevedibile la perdita di equilibrio dell’operatore dovuta alla oscillazione della scala ovvero al fatto del lavoratore nelle operazioni di inventario; conseguentemente il giudice di appello ha riconosciuto del tutto correttamente la inidoneità di una scala a pioli per attività che imponevano al lavoratore di stazionare a lungo in quota per lo svolgimento di operazioni che imponevano l’impiego delle mani, richiedendo l’adozione di strumento di lavoro più consono che gli consentisse di stazionare su una superficie più ampia, ovvero di sorreggersi con punti laterali e frontali e ancora prima la esplicitazione nel DVR di una chiara procedura di lavoro, in presenza di palesi problemi di sicurezza, stabilità ed equilibrio del lavoratore impegnato.
Quanto al rapporto di causalità a fronte di una caduta all’indietro, il motivo di ricorso della [omissis] non si confronta con i logici e non contraddittori argomenti indicati dalla corte distrettuale, la quale ha correttamente rappresentato come, anche in presenza di una perdita di equilibrio determinata da un malessere o da un mancamento non accompagnato da una perdita di conoscenza, non risulterebbe interrotta la serie causale innescata dalla mancata adozione di idoneo strumento di lavoro.
Invero, qualora fosse stata adottata una procedura di lavoro più accorta (mediante l’impegno di due persone), ovvero in presenza di strumento di lavoro più stabile e sicuro (scala cimiteriale), la caduta sarebbe stata evitata, in quanto la [omissis] avrebbe potuto assicurarsi ai sistemi di appoggio della scala (balaustra, appoggi laterali) anche in ipotesi di improvviso mancamento, ovvero mediante la stabilità e la fermezza della scala garantita da altro lavoratore ai piedi della scala>.
Quadro giurisprudenziale di riferimento:
Cassazione penale sez. IV, 17/05/2019, n.30991
In tema di sicurezza sul lavoro, ai sensi dell’art. 73, commi 1 e 2, lett. b), d.lg. 9 aprile 2008, n. 81, il datore di lavoro è tenuto ad informare il lavoratore dei rischi propri dell’attività cui è preposto e di quelli che possono derivare dall’esecuzione di operazioni da parte di altri, ove interferenti, ed è obbligato a mettere a disposizione dei lavoratori, per ciascuna attrezzatura, ogni informazione e istruzione d’uso necessaria alla salvaguardia dell’incolumità, anche se relative a strumenti non usati normalmente. Il datore di lavoro, destinatario delle norme antinfortunistiche, è esonerato da responsabilità solo quando il comportamento del dipendente sia abnorme, dovendo definirsi tale il comportamento imprudente del lavoratore che sia stato posto in essere del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli – e, pertanto, al di fuori di ogni prevedibilità per il datore di lavoro – o rientri nelle mansioni che gli sono proprie ma sia consistito in qualcosa radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro.
Cassazione penale sez. IV, 03/04/2019, n.20833
In tema di infortuni sul lavoro, il datore di lavoro è responsabile del mancato intervento finalizzato ad assicurare l’utilizzo in sicurezza di macchinari e apparecchiature provvisti di dispositivi di protezione e, in tal senso, del fatto di esigere che tali dispositivi non vengano rimossi. Peraltro, in caso di infortuni derivanti dalla rimozione delle protezioni a corredo dei macchinari, anche laddove tale rimozione si innesti in prassi aziendali diffuse e ricorrenti, non si può ascrivere tale condotta omissiva al datore di lavoro laddove non si abbia la certezza che egli fosse a conoscenza di tali prassi o che le avesse colposamente ignorate. In effetti, tale certezza può, in alcuni casi inferirsi sul piano logico (ad esempio, qualora la rimozione dei dispositivi di protezione sia univocamente frutto di una precisa scelta aziendale chiaramente finalizzata ad una maggiore produttività). Ma quando non vi siano elementi di natura logica per dedurre la conoscenza o la certa conoscibilità di prassi aziendali incaute da parte del titolare della posizione di garanzia datoriale, è necessaria l’acquisizione di elementi probatori certi e oggettivi che attestino tale conoscenza/conoscibilità: diversamente opinando, infatti, si porrebbe in capo al datore di lavoro una responsabilità penale “di posizione” tale da eludere l’accertamento della prevedibilità dell’evento e da sconfinare, in modo inaccettabile, nella responsabilità oggettiva (nella specie, è stata annullata con rinvio la sentenza di condanna perché motivata in modo carente sulla conoscenza da parte del datore di lavoro della prassi aziendale irregolare che aveva determinato l’incidente, non risultando approfondita la circostanza che gli addetti alla vigilanza avessero effettivamente informato di tale prassi il datore di lavoro, anche in ragione della dimensione dell’azienda).
Cassazione penale sez. IV, 20/03/2019, n.27871
In tema di infortuni sul lavoro, perché possa ritenersi che il comportamento negligente, imprudente e imperito del lavoratore, pur tenuto in esplicazione delle mansioni allo stesso affidate, costituisca concretizzazione di un “rischio eccentrico”, con esclusione della responsabilità del garante, è necessario che questi abbia posto in essere anche le cautele che sono finalizzate proprio alla disciplina e governo del rischio di comportamento imprudente, così che, solo in questo caso, l’evento verificatosi potrà essere ricondotto alla negligenza del lavoratore, piuttosto che al comportamento del garante. (Fattispecie in tema di omicidio colposo, in cui la Corte ha ritenuto esente da censure la sentenza che aveva affermato la responsabilità del datore di lavoro in quanto la mancata attuazione delle prescrizioni contenute nel Pos e la mancata informazione del lavoratore avevano determinato l’assenza delle cautele volte a governare anche il rischio di imprudente esecuzione dei compiti assegnati al lavoratore infortunato).
Cassazione penale, sez. III, 17/01/2017, n. 13096
L’art. 18, comma primo, lett. d), del D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, che impone di fornire ai lavoratori i necessari e idonei dispositivi di protezione individuale, costituisce un precetto al quale il datore di lavoro è tenuto a conformarsi a prescindere dal fatto che il loro utilizzo sia specificamente contemplato nel documento di valutazione dei rischi di cui all’art. 28 dello stesso decreto. (Fattispecie di omessa fornitura di copricapi antinfortunistici all’interno di cantiere dove erano in corso lavori edili che, secondo quanto previsto dall’allegato VIII al decreto n. 81 del 2008, rientrano fra le attività che generalmente comportano la necessità di proteggere il capo e per le quali è quindi necessario l’elmetto protettivo).
Cassazione penale sez. IV, 22/04/2016, n.27060
In materia di infortuni sul lavoro, configura il reato di lesioni personali colpose la condotta del datore di lavoro che, in un contesto ambientale strutturalmente pericoloso, ometta di adottare idonee misure di sicurezza delle attrezzature e dei macchinari di lavoro, trascurando inoltre di impartire adeguata formazione sui rischi connessi allo svolgimento della specifica attività lavorativa.
By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA