Bancarotta fraudolenta documentale per occultamento: per la condanna del prestanome è sempre richiesta la prova del dolo specifico

Si segnala ai lettori del blog la sentenza 12455.2020, depositata il 20 aprile 2020, resa dalla V Sezione penale della Corte di Cassazione, con la quale il Collegio del diritto, scrutinando un caso di bancarotta fraudolenta documentale e patrimoniale per distrazione, riporta i consolidati principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di configurazione dell’elemento psicologico dei due reati fallimentari.

I reati contestati ed il doppio giudizio di merito

Nel caso di specie, la Corte di appello di Milano confermava la decisione di primo grado di condanna dell’imputato, nella qualità di amministratore di diritto della società di capitali fallita, per i reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale.

Il ricorso in cassazione, il giudizio di legittimità ed i principi di diritto

La difesa del prevenuto interponeva ricorso per cassazione avverso la pronuncia della Corte territoriale, articolando plurimi motivi di impugnazione.

In particolare, rivestono maggiore interesse per il presente commento, il terzo ed il quarto motivo di ricorso, con i quali, rispettivamente, la difesa lamenta vizio di motivazione in ordine alla sussistenza del dolo del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale per assenza di consapevolezza circa lo stato di insolvenza della società, nonché violazione di legge e vizio di motivazione in merito all’accertamento dell’elemento psicologico della bancarotta fraudolenta documentale in capo al giudicabile che da quanto si può ricavare dalla lettura della sentenza avrebbe ricoperto il ruolo di mero prestanome.

I Giudici di legittimità accolgono la censura relativa alla mancanza di dolo in ordine alla contestata bancarotta fraudolenta documentale, dichiarando il ricorso inammissibile nel resto.

Di seguito si riportano i passaggi più significativi tratti dalla parte motiva della sentenza resa dalla Suprema Corte:

(i) La sussistenza del dolo in ordine alla bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione dei beni concessi in leasing.

Il terzo motivo di ricorso è manifestamente infondato.

Invero il ricorrente ha proposto la tesi secondo la quale lo stato di insolvenza che dà luogo al fallimento costituisce elemento essenziale del reato, in qualità di evento e, pertanto, deve porsi in rapporto causale con la condotta dell’agente e deve essere altresì, sorretto dal dolo.

La critica sulla mancata indagine circa il nesso causale tra la condotta distrattiva dell’imputato e lo stato di insolvenza della società ed in punto di elemento psicologico del delitto trova fondamento nella sentenza Corvetta di questa stessa sezione, secondo la quale nel reato di bancarotta fraudolenta per distrazione lo stato di insolvenza che dà luogo al fallimento costituisce elemento essenziale del reato, in qualità di evento dello stesso e, pertanto, deve porsi in rapporto causale con la condotta dell’agente e deve essere, altresì, sorretto dall’elemento soggettivo del dolo.

Come noto, peraltro, tale pronuncia è rimasta isolata, poiché la giurisprudenza sul delitto di bancarotta fraudolenta assolutamente prevalente ha affermato i diversi e consolidati principi per cui la natura giuridica del delitto in parola è quella di reato di pericolo e per la sua integrazione è sufficiente il dolo generico.

Ex multis: il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione è reato di pericolo a dolo generico, per la cui sussistenza, pertanto, non è necessario che l’agente abbia consapevolezza dello stato di insolvenza dell’impresa, né che abbia agito allo scopo di recare pregiudizio ai creditori. Sez. 5, Sentenza n. 21846 del 13/02/2014 Ud. (dep. 28/05/2014) Rv. 260407. Tal solido principio è stato riaffermato da questa Corte nella sua composizione più autorevole nella pronunzia Sez. U, Sentenza n. 22474 del 31/03/2016 Ud.  dep. 27/05/2016  Rv. 266805, che ha ribadito come l’elemento soggettivo del delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione è costituito dal dolo generico, per la cui sussistenza non è necessaria la consapevolezza dello stato di insolvenza dell’impresa, né lo scopo di recare pregiudizio ai creditori, essendo sufficiente la consapevole volontà di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa da quella di garanzia delle obbligazioni contratte.

La critica circa la mancata dimostrazione dell’elemento psicologico del reato e del nesso di causalità è, pertanto, incoerente con l’interpretazione assolutamente prevalente data da questa Corte alla norma incriminatrice speciale.

 

(ii) La indefettibile prova dell’elemento soggettivo della bancarotta fraudolenta documentale e la riconosciuta carenza motivazionale della sentenza impugnata.

A diverse conclusioni deve giungersi per il quarto motivo del ricorso, che ha sottoposto a censura la spiegazione data dai Giudici del merito quanto al ritenuto elemento psicologico del delitto di bancarotta fraudolenta documentale, che risulterebbe, secondo l’opinione della difesa, privo di adeguata dimostrazione.

La censura appare fondata.

Infatti, la motivazione confezionata dai Giudici meneghini ha valorizzato esclusivamente il ruolo di prestanome professionale svolto in più società dall’imputato – al quale ha dedicato, peraltro, solo qualche generico cenno – ma, a fronte della doglianza presentata in grado di appello, incentrata sul ruolo preponderante del coimputato amministratore di fatto nella gestione della fallita, non si è preoccupata di dar conto della presenza di elementi fattuali idonei a supportare la presenza dell’elemento psicologico che caratterizza l’ipotesi di bancarotta fraudolenta documentale per sottrazione o per omessa tenuta, in frode ai creditori, delle scritture contabili – questa è l’imputazione di cui deve rispondere l’attuale imputato – anche laddove sia investito solo formalmente dell’amministrazione della società fallita.

In proposito è stato affermato più volte il principio secondo il quale la fattispecie di bancarotta fraudolenta documentale sotto forma di occultamento delle scritture contabili, consistendo nella fisica sottrazione delle stesse alla disponibilità degli organi fallimentari, anche sotto forma della loro omessa tenuta, richiede il dolo specifico di recare pregiudizio ai creditori, e costituisce una fattispecie autonoma e alternativa – in seno all’art. 216, comma primo, n. 2), legge fall. – rispetto alla fraudolenta tenuta di tali scritture che, invece, integra un’ipotesi di reato a dolo generico e presuppone un accertamento condotto su libri contabili effettivamente rinvenuti ed esaminati dai predetti organi. Così: Sez. 5 – Sentenza n. 26379 del 05/03/2019 Ud. (dep. 14/06/2019) Rv. 276650. In senso conforme  Sez. 5, Sentenza n. 43966 del 28/06/2017 Ud. (dep. 22/09/2017) Rv. 271611; Sez. 5, Sentenza n. 18634 del 01/02/2017 Ud. (dep. 14/04/2017) Rv. 269904.

La norma incriminatrice:

Art. 216 legge fall. – Bancarotta fraudolenta

È punito con la reclusione da tre a dieci anni, se è dichiarato fallito, l’imprenditore, che:

1) ha distratto, occultato, dissimulato, distrutto o dissipato in tutto o in parte i suoi beni ovvero, allo scopo di recare pregiudizio ai creditori, ha esposto o riconosciuto passività inesistenti;

2) ha sottratto, distrutto o falsificato, in tutto o in parte, con lo scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizi ai creditori, i libri o le altre scritture contabili o li ha tenuti in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari.

La stessa pena si applica all’imprenditore, dichiarato fallito, che, durante la procedura fallimentare, commette alcuno dei fatti preveduti dal n. 1 del comma precedente ovvero sottrae, distrugge o falsifica i libri o le altre scritture contabili.

È punito con la reclusione da uno a cinque anni il fallito, che, prima o durante la procedura fallimentare, a scopo di favorire, a danno dei creditori, taluno di essi, esegue pagamenti o simula titoli di prelazione.

Salve le altre pene accessorie, di cui al capo III, titolo II, libro I del codice penale, la condanna per uno dei fatti previsti nel presente articolo importa per la durata di dieci anni l’inabilitazione all’esercizio di una impresa commerciale e l’incapacità per la stessa durata ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa.

Quadro giurisprudenziale di riferimento:

Cassazione penale sez. V, 05/03/2019, n.26379

In tema di bancarotta fraudolenta documentale, l’occultamento delle scritture contabili, per la cui sussistenza è necessario il dolo specifico di recare pregiudizio ai creditori, consistendo nella fisica sottrazione delle stesse alla disponibilità degli organi fallimentari, anche sotto forma della loro omessa tenuta, costituisce una fattispecie autonoma ed alternativa – in seno all’art. 216, comma primo, n. 2), l. fall. – rispetto alla fraudolenta tenuta di tali scritture che, invece, integra un’ipotesi di reato a dolo generico e presuppone un accertamento condotto su libri contabili effettivamente rinvenuti ed esaminati dai predetti organi. (Nella specie, la Corte ha annullato con rinvio la sentenza che, a fronte della contestazione di un’ipotesi di sottrazione o distruzione della contabilità, aveva affermato la responsabilità dell’imputato per la diversa ipotesi di concorso nell’omessa regolare tenuta delle scritture contabili, dando peraltro atto nella motivazione dell’assenza della prova di una “sia pur parziale tenuta delle scritture contabili”).

Cassazione penale sez. V, 28/06/2017, n.43966

In tema di reati fallimentari, la bancarotta fraudolenta documentale di cui all’art. 216, comma 1, n. 2 prevede due fattispecie alternative, quella di sottrazione o distruzione dei libri e delle altre scritture contabili, che richiede il dolo specifico, e quella di tenuta della contabilità in modo da rendere impossibile la ricostruzione del movimento degli affari e del patrimonio della fallita che richiede il dolo generico.

Cassazione penale sez. V, 01/02/2017, n.18634

In tema di bancarotta fraudolenta documentale, l’occultamento delle scritture contabili, per la cui sussistenza è necessario il dolo specifico di recare pregiudizio ai creditori, consistendo nella fisica sottrazione delle stesse alla disponibilità degli organi fallimentari, anche sotto forma della loro omessa tenuta, costituisce una fattispecie autonoma ed alternativa – in seno all’art. 216, comma primo, lett. b), l. fall. – rispetto alla fraudolenta tenuta di tali scritture, in quanto quest’ultima integra un’ipotesi di reato a dolo generico, che presuppone un accertamento condotto su libri contabili effettivamente rinvenuti ed esaminati dai predetti organi. (Nella specie, la Corte ha censurato la sentenza impugnata che, a fronte di una contestazione di occultamento “ovvero” di irregolare tenuta delle scritture contabili, pur ritenendo consumato il primo, ne aveva motivato la sussistenza attraverso una “fusione” con la seconda, trasformandola in evento della condotta di occultamento e sostituendo il dolo generico sufficiente ad integrare la stessa a quello specifico necessario per l’occultamento).

Cassazione penale sez. un., 31/03/2016, n.22474

L’elemento soggettivo del delitto di bancarotta fraudolenta è costituito dal dolo generico, per la cui sussistenza non è necessaria la consapevolezza dello stato di insolvenza dell’impresa, né lo scopo di recare pregiudizio ai creditori, essendo sufficiente la consapevole volontà di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa da quella di garanzia delle obbligazioni contratte.

 

Cassazione penale sez. V, 13/02/2014, n.21846

Il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione è reato di pericolo a dolo generico per la cui sussistenza, pertanto, non è necessario che l’agente abbia consapevolezza dello stato di insolvenza dell’impresa, né che abbia agito allo scopo di recare pregiudizio ai creditori.

By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA