Responsabilità contrattuale della struttura sanitaria: la Suprema Corte fa il punto sulle regole di riparto dell’onere probatorio tra paziente-creditore e struttura sanitaria-debitore
Si segnala ai lettori del blog la sentenza numero 5128.2020, resa dalla III Sezione civile della Corte di Cassazione, con la quale il Collegio del diritto, esprimendosi in merito ad un caso di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria e professionale da contatto sociale del medico odontoiatra, chiarisce le consolidate regole civilistiche in materia di riparto dell’onere della prova tra creditore e debitore, in base alle quali il paziente danneggiato debba limitarsi a provare l’esistenza del contratto o del contatto sociale, l’insorgenza o aggravamento della patologia ed allegare l’inadempimento della struttura sanitaria, mentre in capo a quest’ultima sorge l’onere di dimostrare l’avvenuto adempimento dell’obbligazione ovvero l’insussistenza del nesso causale tra l’inadempimento della prestazione medica ed il danno lamentato dal paziente.
Il doppio grado di merito
Nel caso di specie, il paziente si era sottoposto a cure odontoiatriche che prevedevano un programma di implantologia dentaria, le quali tuttavia peggioravano, anziché risolvere, i problemi del paziente.
Il Tribunale di Bologna, nell’accogliere integralmente la domanda di risarcimento del danno alla persona rivolta dal paziente danneggiato nei confronti del medico odontoiatra e della struttura sanitaria ove il primo aveva operato, dichiarava la responsabilità contrattuale solidale dei convenuti e li condannava al risarcimento del danno biologico e patrimoniale con manleva delle compagnie assicuratrici chiamate in causa dai convenuti.
La Corte di appello di Bologna, nel riformare la decisione di primo grado, respingeva la domanda di accertamento della responsabilità in ragione della mancata prova della condotta inadempiente e del nesso di causalità tra evento lesivo e danno e manteneva ferma solo la statuizione della risoluzione del contratto per inadempimento nei confronti della struttura sanitaria e del sanitario obbligati, per l’effetto, a rifondere le spese sostenute dall’attrice per le cure prestate.
Il giudizio di legittimità e il principio di diritto
Avverso la pronuncia di secondo grado, la difesa del paziente proponeva ricorso per cassazione, deducendo la violazione degli artt. 1218, 2697 c.c. in merito alla prova della responsabilità contrattuale.
In particolare, il ricorrente lamentava l’errata applicazione delle regole di riparto dell’onere probatorio da parte della Corte territoriale.
Le altre parti resistevano con controricorso.
I Giudici di legittimità, nell’accogliere il ricorso e nel cassare la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di appello di Bologna, enunciano i principi sedimentati nella giurisprudenza di legittimità in materia di riparto dell’onere della prova nell’ambito della responsabilità contrattuale della struttura sanitaria per inadempimento della prestazione medica.
Di seguito si riportano i passaggi più significativi tratti dal compendio motivazionale della sentenza resa dalla Suprema Corte:
<Il motivo è fondato per le seguenti ragioni.
Secondo la giurisprudenza costante di questa Corte «ove sia dedotta una responsabilità contrattuale della struttura sanitaria per l’inesatto adempimento della prestazione sanitaria, il danneggiato deve fornire la prova del contratto e dell’aggravamento della situazione patologica (o dell’insorgenza di nuove patologie per effetto dell’intervento) e del relativo nesso di causalità con l’azione o l’omissione dei sanitari, restando a carico dell’obbligato la prova che la prestazione professionale sia stata eseguita in modo diligente e che quegli esiti siano stati determinati da un evento imprevisto e imprevedibile» (Cass. 26 luglio 2017, n. 18392; Cass. 16 gennaio 2009, n. 975; 9 ottobre 2012, n. 17143; 20 ottobre 2015, n. 21177).
Più specificamente, nel campo della responsabilità sanitaria, quanto al principio di allegazione della condotta inadempiente, ritenuta fonte di danno, occorre fare riferimento a quanto indicato dalla giurisprudenza nel precedente di cui a Cass. SU 577/2008, rilevante per dirimere il caso concreto: «in tema di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria e di responsabilità professionale da contatto sociale del medico, ai fini del riparto dell’onere probatorio l’attore, il paziente danneggiato deve limitarsi a provare l’esistenza del contratto (o il contatto sociale) e l’insorgenza o l’aggravamento della patologia ed allegare l’inadempimento del debitore, astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato, rimanendo a carico del debitore dimostrare o che tale inadempimento non vi è stato ovvero che, pur esistendo, esso non è stato eziologicamente rilevante (nella specie la S.C. ha cassato la sentenza di merito che – in relazione ad una domanda risarcitoria avanzata da un paziente nei confronti di una casa di cura privata per aver contratto l’epatite C asseritamente a causa di trasfusioni con sangue infetto praticate a seguito di un intervento chirurgico – aveva posto a carico del paziente l’onere di provare che al momento del ricovero egli non fosse già affetto da epatite).”
L’inadempimento rilevante, nell’ambito dell’azione di responsabilità medica, per il risarcimento del danno nelle obbligazioni, così dette, di comportamento non è, dunque, qualunque inadempimento, ma solo quello che costituisce causa (o concausa) efficiente del danno.
Ciò comporta che l’allegazione del paziente – creditore non può attenere ad un inadempimento, qualunque esso sia, o comunque genericamente dedotto, ma ad un inadempimento, per così dire, qualificato, e cioè «astrattamente efficiente alla produzione del danno» ( così chiosa Cass. SU 577/2008). Conseguentemente, nei giudizi di risarcimento del danno da responsabilità medica, è onere del paziente dimostrare l’esistenza del nesso causale, provando che la condotta del sanitario è stata, secondo il criterio del “più probabile che non”, causa del danno, sicché, ove la stessa sia rimasta assolutamente incerta, la domanda deve essere rigettata ( Cass. Sez. 3 -, Sentenza n. 27606 del 29/10/2019; Cass.Sez. 3 -, Sentenza n. 3704 del 15/02/2018). Nel caso specifico, la Corte d’appello ha escluso, con duplice argomentazione, che sia stata specificamente allegata e provata sia la condotta colposa causativa del danno, che il nesso causale tra la condotta inadempiente e il danno alla salute cagionato, ritenendo mancata la prova della situazione pregressa di salute di partenza, non allegata in atti dall’attrice (ortopantomografia).
[…]
Invero, la censura della ricorrente coglie nel segno laddove denuncia che la Corte d’appello, pur valorizzando la relazione del CTU, che dà conto dell’inutilità e della non correttezza, nel suo complesso, della prestazione resa e foriera di danno alla persona, secondo parametri medico-legali, è pervenuta, invece, alla conclusione circa la sussistenza di una insuperabile “incertezza” sia sulla condotta in concreto tenuta dai sanitari, sia sul nesso di causa, che in tesi avrebbe dovuto provare l’attrice. Difatti, sotto il profilo della lesività della condotta medica, nel caso di specie ci sono effetti sulla salute della paziente misurabili sotto il profilo della causalità giuridica, perché l’ aggravamento osservato è ascrivibile al medico, ed è comunque valutabile in termini di causalità giuridica.
Pertanto, alla luce di quanto sopra rilevato, la Corte d’appello risulta non avere valutato la fattispecie in esame in conformità con i principi sopra richiamati in tema di prova della responsabilità contrattuale ascrivibile a comportamento negligente del medico e di causalità giuridica, allorché ha constatato che costituisce circostanza accertata dagli stessi CTU che i lavori di implantologia effettuati dal medico curante siano stati non solo inutili, ma anche censurabili sotto il profilo della diligenza medica ( cfr. pp.7-8 della sentenza), nonché causativi di un aggravamento delle condizioni di salute della persona >.
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Quadro giurisprudenziale di riferimento:
Cassazione civile sez. VI, 02/09/2019, n.21939
In tema di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria, incombe sul paziente che agisce per il risarcimento del danno l’onere di provare – secondo il criterio del “più probabile che non” – l’esistenza del nesso causale tra l’azione o l’omissione dei sanitari e l’evento di danno (aggravamento della patologia esistente o insorgenza di una nuova malattia).
Cassazione civile sez. III, 23/10/2018, n.26700
In tema di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria, incombe sul paziente che agisce per il risarcimento del danno l’onere di provare il nesso di causalità tra l’aggravamento della patologia (o l’insorgenza di una nuova malattia) e l’azione o l’omissione dei sanitari, mentre, ove il danneggiato abbia assolto a tale onere, spetta alla struttura dimostrare l’impossibilità della prestazione derivante da causa non imputabile, provando che l’inesatto adempimento è stato determinato da un impedimento imprevedibile ed inevitabile con l’ordinaria diligenza. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva rigettato la domanda di risarcimento del danno proposta dalla paziente e dai suoi stretti congiunti, in relazione a un ictus cerebrale che aveva colpito la prima a seguito di un esame angiografico, sul rilievo che era mancata la prova, da parte degli attori, della riconducibilità eziologica della patologia insorta alla condotta dei sanitari, ed anzi la CTU espletata aveva evidenziato l’esistenza di diversi fattori, indipendenti dalla suddetta condotta, che avevano verosimilmente favorito l’evento lesivo).
Cassazione civile sez. III, 13/07/2018, n.18567
In tema di responsabilità sanitaria, il principio della vicinanza della prova, fondato sull’obbligo di regolare e completa tenuta della cartella clinica, le cui carenze e omissioni non possono andare a danno del paziente, non può operare in pregiudizio del medico per la successiva fase di conservazione: dal momento in cui l’obbligo di conservazione si trasferisce sulla struttura sanitaria, l’omessa conservazione è imputabile esclusivamente a essa. La violazione dell’obbligo di conservazione non può riverberarsi direttamente sul medico determinando un’inversione dell’onere probatorio.
Cassazione civile sez. III, 31/05/2018, n.13752
In tema di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria, incombe sul paziente che agisce per il risarcimento del danno l’onere di provare il nesso di causalità tra l’aggravamento della patologia (o l’insorgenza di una nuova malattia) e l’azione o l’omissione dei sanitari.
Cassazione civile sez. III, 13/10/2017, n.24073
In tema di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria e di responsabilità professionale da contatto sociale del medico, ai fini del riparto dell’onere probatorio l’attore, paziente danneggiato, deve limitarsi a provare l’esistenza del contratto (o il contatto sociale) e l’insorgenza o l’aggravamento della patologia ed allegare l’inadempimento del debitore, astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato, rimanendo invece a carico del debitore dimostrare o che tale inadempimento non vi è stato, ovvero che, pur esistendo, esso non è stato eziologicamente rilevante.
Cassazione civile sez. III, 26/07/2017, n.18392
Ove sia dedotta una responsabilità contrattuale della struttura sanitaria per l’inesatto adempimento della prestazione sanitaria, è onere del danneggiato provare il nesso di causalità fra l’aggravamento della situazione patologica (o insorgenza di nuove patologia per effetto dell’intervento) e l’azione o l’omissione dei sanitari, mentre è onere della parte debitrice provare che una causa imprevedibile ed inevitabile ha reso impossibile l’esatta esecuzione della prestazione (fattispecie relativa alla controversia promossa da una donna al fine di veder riconosciuto il risarcimento del danno per la morte del marito avvenuta nel corso di un intervento chirurgico).
Cassazione civile sez. III, 20/10/2015, n.21177
Nei giudizi di risarcimento del danno causato da attività medica, l’attore ha l’onere di allegare e di provare l’esistenza del rapporto di cura, il danno ed il nesso causale, mentre ha l’onere di allegare (ma non anche di provare) la colpa del medico; quest’ultimo, invece, ha l’onere di provare che l’eventuale insuccesso dell’intervento, rispetto a quanto concordato o ragionevolmente attendibile, è dipeso da causa a sé non imputabile.
By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA