Art.10 quater D.lgs.74/2000: la soglia di rilevanza penale va riferita all’ammontare dei crediti non spettanti o inesistenti indebitamente utilizzati in compensazione

Si segnala ai lettori del blog la sentenza numero 14763.2020, depositata il 13 maggio 2020, resa dalla III Sezione penale della Corte di Cassazione e segnalata all’Ufficio del massimario per l’importanza del principio di diritto affermato, con la quale il Collegio del diritto, esprimendosi in merito ad un caso di indebita compensazione ex art. 10 quater D.lgs. 74/2000, chiarisce la natura del delitto tributario e il tratto differenziale rispetto ai reati di omesso versamento delle imposte, giungendo poi a chiarire come determinare soglia di rilevanza penale prevista dall’art. 10 quater da riferirsi non già alle imposte non versate, bensì all’ammontare dei crediti non spettanti o inesistenti indebitamente utilizzati in compensazione.

 

Il reato provvisoriamente contestato e la fase cautelare di merito

Nel caso di specie, il Tribunale della Libertà di Torino rigettava la richiesta di riesame presentata dall’indagato contro il decreto con il quale il G.i.p. in sede disponeva il sequestro preventivo diretto e per equivalente del profitto del reato di indebita compensazione ex art. 10 quater D.lgs. 74/2000, provvisoriamente contestato al prevenuto.

 

Il ricorso per cassazione, il giudizio di legittimità e il principio di diritto

La difesa del giudicabile proponeva ricorso per cassazione avverso la predetta ordinanza, articolando come unico motivo di impugnazione la violazione dell’art. 10 quater D.lgs. 74/2000, con riferimento al superamento della soglia di rilevanza penale di € 50.000,00 per anno di imposta.

I Giudici di legittimità, nel rigettare il ricorso, chiariscono la ratio e la struttura della fattispecie incriminatrice ex art. 10 quater D.lgs. 74/2000, alla luce delle intervenute modifiche legislative e delle differenze rispetto ai reati di omesso versamento (10 bis e 10 ter d.lgs 74/2000) ed enunciano il principio di diritto secondo cui la soglia di punibilità non va riferita alle imposte non versate, bensì all’ammontare dei crediti non spettanti o inesistenti indebitamente utilizzati in compensazione.

Di seguito si riportano i passaggi più significativi tratti dalla parte motiva della decisione della Suprema Corte:

Mentre nelle ipotesi di cui agli artt. 10 bis e 10 ter del d.lgs. 74/2000 la condotta incriminata risulta priva di connotati di insidiosità, in quanto l’omesso versamento di somme dovute è prontamente riscontrabile dall’amministrazione finanziaria mediante la consultazione di documenti fiscalmente rilevanti, lo stesso non può dirsi per l’ipotesi disciplinata dall’art. 10 quater.

In tale fattispecie la condotta esprime una componente decettiva o di frode ossia un quid pluris che vale a differenziare il reato di cui all’art. 10 quater dalle fattispecie di mero omesso versamento cosicché il disvalore di azione consiste nella redazione di un “documento ideologicamente falso”, mediante l’abusivo utilizzo dell’istituto della compensazione in materia tributaria disciplinato dall’art. 17 del d.lgs. 241/1997.

Con questo istituto – che, per sua natura, implica un elevato grado di affidamento nella correttezza del protagonista del versamento – si consente al contribuente di effettuare tramite la compilazione di un apposito modello, denominato “Modello F24”, il versamento unitario “delle imposte, dei contributi dovuti all’INPS e delle altre somme a favore dello Stato, delle regioni e degli enti previdenziali” e, contestualmente, di compensare le somme a debito con quelle a credito relative a tali imposte. L’eventuale indebita compensazione non è, però, immediatamente percepibile dall’amministrazione finanziaria, perché emerge soltanto qualora gli organi accertatori appurino l’insussistenza o la non spettanza del credito portato in compensazione, circostanza che rende la condotta descritta dall’art. 10 quater del d.lgs. 74/2000 dotata di particolare potenzialità decettiva. In essa, dunque, l’elemento caratterizzante, oltre che indice di maggior disvalore della condotta, è costituito dall’abusivo utilizzo della possibilità di compensare le somme dovute per imposte sui redditi o sul valore aggiunto con le somme a credito per le medesime imposte e, ai sensi del citato art. 17 del d.lgs. 241/1997, anche con i contributi dovuti all’INPS e con le altre somme dovute allo Stato, alle regioni e agli enti previdenziali.

Ne consegue che la soglia di rilevanza penale, come modificata dal d.lgs. 158/2015, non va riferita alle imposte sui redditi o sul valore aggiunto non versate per effetto della indebita compensazione, bensì all’ammontare dei crediti non spettanti o inesistenti indebitamente utilizzati in compensazione: ciò si ricava, ad avviso del Collegio, dalla ratio e dallo scopo della fattispecie, volta a tutelare l’interesse erariale alla riscossione dei tributi sanzionando le condotte di indebito utilizzo di crediti non spettanti o inesistenti, nell’ambito delle quali, quindi, il disvalore della condotta è individuato nella dimensione della compensazione indebita, alla quale è pertanto correlata la soglia di punibilità>.

La norma incriminatrice:

Art. 10 quater D.lgs. 74/2000 – Indebita compensazione

E’ punito con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa le somme dovute, utilizzando in compensazione, ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, crediti non spettanti, per un importo annuo superiore a cinquantamila euro.

E’ punito con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni chiunque non versa le somme dovute, utilizzando in compensazione, ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, crediti inesistenti per un importo annuo superiore ai cinquantamila euro. 

 

Quadro giurisprudenziale di riferimento:

Cassazione penale sez. III, 20/06/2019, n.44737

Integra il reato di cui all’art. 10-quater d.lg. 10 marzo 2000 n. 74 il comportamento fraudolento di porre in compensazione, ex art. 17 d.lg. 9 luglio 1997 n. 241, partite debitorie in favore del Fisco con crediti non spettanti o inesistenti. Non è dunque sufficiente a integrare il reato un mancato versamento, ma occorre che lo stesso risulti, a monte, formalmente “giustificato” da una operata compensazione tra le somme dovute all’Erario e crediti verso il contribuente, in realtà non spettanti o inesistenti. Infatti, è proprio la condotta, necessaria, di compensazione a esprimere la componente decettiva o di frode insita nella fattispecie, che rappresenta il quid pluris che differenzia il reato de quo rispetto a una fattispecie di semplice omesso versamento. Di conseguenza il delitto di indebita compensazione si consuma al momento della presentazione dell’ultimo modello F24 relativo all’anno interessato e non in quello della successiva dichiarazione dei redditi, in quanto, con l’utilizzo del modello indicato, si perfeziona la condotta decettiva del contribuente, realizzandosi il mancato versamento per effetto dell’indebita compensazione di crediti in realtà non spettanti in base alla normativa fiscale.

Cassazione penale sez. III, 30/10/2018, n.8689

Il reato di indebita compensazione di crediti non spettanti o inesistenti, di cui all’art. 10-quater d.lg. 10 marzo 2000, n. 74, è configurabile, alla luce dell’ampliamento delle ipotesi di compensazione previste dalle norme tributarie disposto dall’art. 17 del d.lgs. 9 luglio 1997, n. 241, sia nel caso di compensazione “verticale”, riguardante crediti e debiti afferenti alla medesima imposta, sia in caso di compensazione “orizzontale”, concernente crediti e debiti di imposta di natura diversa. (In motivazione la Corte ha precisato che la struttura “asimmetrica” del reato, in virtù della quale è incriminata l’artificiosa diminuzione dell’entità dell’imposta da versare, qualunque tributo o contributo sia opposto in compensazione, è del tutto compatibile con la ratio del d.lgs. n. 74 del 2000, che è diretto a sanzionare le violazioni, sia in materia di Iva, sia in tema di imposte sui redditi).

Cassazione penale sez. III, 12/09/2018, n.5934

In tema di reato di indebita compensazione di crediti previsto dall’art. 10 quater d.lg. n. 74 del 2000, sotto il profilo soggettivo, l’inesistenza del credito costituisce di per sé, salvo prova contraria, un indice rivelatore della coscienza e volontà del contribuente di bilanciare i propri debiti verso l’Erario con una posta creditoria artificiosamente creata, ingannando il fisco, mentre, nel caso in cui vengano dedotti crediti “non spettanti”, sebbene certi nella loro esistenza e ammontare, occorre provare la consapevolezza da parte del contribuente che il credito non sia utilizzabile in sede compensativa. (Fattispecie in cui era stata operata una compensazione “verticale”, ossia riguardante crediti e debiti afferenti la medesima imposta, realizzata mediante il trascinamento del credito da una dichiarazione annuale all’altra, con un asserito credito di 146 milioni di euro, nella quale la Corte ha ritenuto adeguatamente dimostrato il dolo del reato sulla base della mancata richiesta di rimborso di tale credito, pur di elevatissimo importo, che avrebbe esposto la società a immediati controlli).

Cassazione penale sez. III, 21/06/2018, n.43627

In tema di reati tributari, ai fini dell’integrazione del delitto di indebita compensazione sono inesistenti i crediti Iva non risultanti dalle dichiarazioni o dalle denunce periodiche di cui all’art. 17 d.lg. n. 241 del 1997.

Cassazione penale sez. III, 14/12/2011, n.7662

In materia di violazione degli obblighi di versamento, il delitto di cui all’art. 10 quater del d.lg. n. 74/2000 – compensazione dei debiti d’imposta con crediti non spettanti o inesistenti – si perfeziona nel momento in cui viene operata la compensazione per un importo superiore alla soglia di punibilità pari a 50mila euro con riferimento al singolo periodo di imposta.

By ClaudioRamelli© RIPRODUZIONE RISERVATA