Responsabilità medica, linee guida e definizione di imperizia: la Cassazione fa il punto sulla disciplina della colpa medica e delle cause di non punibilità tra la Gelli-Bianco e la Balduzzi
Si segnala ai lettori del blog la sentenza numero 15258.2020, depositata il 18 maggio 2020, resa dalla IV Sezione penale della Corte di Cassazione, con la quale il Collegio del diritto, esprimendosi in merito ad un caso di colpa medica, analizza la tematica dei rapporti tra la colpa per imperizia e le linee guida o buone pratiche clinico-assistenziali, alla luce della disciplina di cui all’art. 590 sexies c.p., introdotto dalla Legge Gelli Bianco, anche alla luce della previgente disciplina della Legge Balduzzi secondo i noti principi della successione delle leggi penali nel tempo.
Il caso clinico, il reato contestato e il giudizio di legittimità
Nel caso di specie, agli imputati, nella qualità di specialista radiologo e medico di pronto soccorso, era contestato il delitto di omicidio colposo ex art. 589 c.p., per aver cagionato il decesso della paziente per emorragia subaracnoidea determinata dalla rottura di un aneurisma intracranico. Segnatamente, il radiologo sottoponeva la vittima a due TAC encefalo, ad esito delle quali ometteva di diagnosticare la già presente emorragia e dimetteva la degente con diagnosi di cefalea a frigore.
Successivamente la paziente, affetta da vertigini, si recava in pronto soccorso, dove il medico ometteva di effettuare TAC encefalo e dimetteva la paziente diagnosticando una sindrome vertiginosa.
Seguiva il peggioramento delle condizioni di salute della vittima e, da ultimo, il relativo decesso.
La Corte di appello di Catania confermava la sentenza con la quale il locale Tribunale aveva condannato gli imputati per il reato loro ascritto.
In particolare, i Giudici di merito negavano che i sanitari fossero incorsi in mera imperizia e che la relativa colpa fosse qualificabile come lieve, escludendo sia l’applicazione dell’art. 3 della legge 189/2012, sia la causa di esonero della responsabilità ex art. 590 sexies c.p.
Il ricorso per cassazione, il giudizio di legittimità e il principio di diritto
La difesa dei prevenuti interponeva ricorso per cassazione avverso la decisione della Corte territoriale, articolando plurimi motivi di impugnazione, tra i quali, ai fini del presente commento, è di particolare interesse quello relativo al denunciato vizio di motivazione in ordine all’esclusione dell’applicabilità della disciplina di cui agli artt. 3 della legge 189/2012 e 590 sexies c.p.
La Suprema Corte annulla la sentenza senza rinvio dalla Suprema Corte agli effetti penali per intervenuta prescrizione del reato, mentre agli effetti civili il nuovo giudizio viene devoluto al giudice civile competente per grado che dovrà uniformarsi agli enunciati principi di diritto.
La decisione del caso concreto è preceduta da un interessante excursus sulle modifiche apportate dalla Legge Balduzzi e dalla Legge Gelli Bianco alla disciplina della responsabilità penale dei professionisti sanitari, soffermandosi sul concetto di colpa per imperizia e sulla distinzione tra colpa lieve e colpa grave (per la cui analisi si rimanda alla lettura della sentenza).
Di seguito si riportano i passaggi più significativi tratti dalla parte motiva della pronuncia in commento:
<Già dalle essenziali premesse sin qui delineate risulta evidente che il giudice di merito investito del compito di pronunciarsi in ordine alla responsabilità dell’esercente una professione sanitaria per l’evento infausto causato nel praticare l’attività, ove concluda per la attribuibilità di quello alla condotta colposa dell’imputato, è tenuto a rendere una articolata motivazione, dovendo indicare, tra l’altro:
1) se il caso concreto sia regolato da linee-guida o, in mancanza, da buone pratiche clinico-assistenziali;
2) specificare di quale forma di colpa si tratti (se di colpa generica o specifica, e se di colpa per imperizia, o per negligenza o imprudenza);
3) appurare se ed in quale misura la condotta del sanitario si sia discostata dalle pertinenti linee-guida o buone pratiche clinico-assistenziali (Sez. 4, n. 37794 del 22/06/2018 – dep. 06/08/2018, De Renzo, Rv. 27346301) e più in generale quale sia stato il grado della colpa;
4) ove il reato non sia stato commesso sotto la vigenza dell’art. 590-sexies cod. pen. (cfr. Sez. U, n. 40986 del 19/07/2018 – dep. 24/09/2018, P, Rv. 27393401), accertare a quale delle diverse discipline succedutesi nel tempo debba essere data applicazione, in quanto più favorevole all’imputato nel caso concreto, ai sensi e per gli effetti dell’art. 2, co. 4 cod. pen. Un percorso che, per quanto riguarda l’accertamento del grado della colpa, impone di considerare molteplici indici, taluni dei quali attengono alla cd. misura oggettiva della colpa, altri alla cd. misura soggettiva della colpa.
Sotto la vigenza del d.l. 158/2012 la giurisprudenza di legittimità ha statuito che l’errore che sottrae alla sanzione penale presuppone in ogni caso che il sanitario si sia orientato secondo le indicazioni ricavate da linee guida: se le linee guida non sono adeguate allo specifico paziente e dovevano essere disattese, il medico che ciò nonostante se ne sia fatto osservante cade in errore; il quale, siccome per adesione alle linee guida, sia pure inadeguate, gli guadagna la liceità della condotta, se connotata da colpa lieve.
Ove poi “il professionista si orienti correttamente in ambito diagnostico o terapeutico, si affidi cioè alle strategie suggeritegli dal sapere scientifico consolidato, inquadri correttamente il caso nelle sue linee generali e tuttavia, nel concreto farsi del trattamento, commetta qualche errore pertinente proprio all’adattamento delle direttive di massima alle evenienze ed alle peculiarità che gli si prospettano nello specifico caso clinico”, ancora una volta “la condotta sarà soggettivamente rimproverabile, in ambito penale, solo quando l’errore sia non lieve” (Sez. 4, n. 16237 del 29/01/2013 – dep. 09/04/2013, Cantore, Rv. 25510501). In sintesi, sotto la vigenza del d.l. n. 158/2012, poteva assumere rilievo, escludendo la illiceità penale, tanto una colpa (lieve) per l’adesione a linea guida inadeguata, sia una colpa (lieve) nell’adesione, ovvero applicando le raccomandazioni contenute nelle linee guida (genus nel quale potrebbe farsi rientrare, oltre all’adattamento alle specificità del caso concreto – cd. adempimento imperfetto – anche l’errore di esecuzione).
Nel nuovo quadro definito dall’art. 590-sexies cod. pen., invece, la non punibilità può essere riconosciuta solo al sanitario che abbia fatto applicazione di linee guida correttamente individuate come appropriate, e che abbia errato nella loro applicazione.
Di qui la necessità, per il giudice che si trovi a dover dare rilievo al fenomeno successorio, ove la colpa consista proprio nell’errore nella scelta – non ostativo all’applicazione dell’art. 3, comma 1 dl. n. 158/2012 – di valutare la misura della esigibilità della corretta opzione.
Diversamente, andrà valutata la misura della esigibilità della corretta attuazione.
Come si è già scritto, nel concetto di attuazione viene attratto anche quello di adattamento. Per l’opinione dominante che rinviene nelle linee guida esclusivamente o prevalentemente raccomandazioni necessariamente generiche, l’adattamento al caso specifico è pressocché indefettibile. Anche in quest’opera può insediarsi un errore; il giudice deve saperlo riconoscere e misurare. Riconoscerlo significa, necessariamente, operare la corretta qualificazione della condotta, accertando se essa sia stata negligente, imprudente o imperita. È noto che la effettiva riconoscibilità di tre diverse forme di comportamento colposo (a lato restando la colpa specifica) non trova concorde la dottrina […].
Nella giurisprudenza di questa Corte si fatica ad individuare indicazioni in merito a ciò che deve intendersi per imprudenza, negligenza, imperizia; e ciò a ragione della già rappresentata relativa incidenza di una loro distinzione.
Con specifico riferimento alla responsabilità sanitaria si è sostenuto che l’errore diagnostico è frutto di imperizia (Sez. 4, n. 57 del 30/10/1998 – dep. 05/01/1999, Capelli A, Rv. 21260001); mentre la scelta compiuta dal sanitario il quale, tra due possibili modalità d’esecuzione di un intervento chirurgico, abbia preferito quella ritenuta più agevole ancorché maggiormente rischiosa, integra gli estremi della condotta imprudente (Sez. 4, n. 45126 del 06/11/2008 – dep. 04/12/2008, Ghisellini, Rv. 24190801). Ad avviso di questo Collegio non è possibile operare delle generalizzazioni per le molteplici espressioni dell’esercizio delle attività sanitarie, perché almeno nella maggioranza dei casi uno stesso atto medico può mettere radici in causali diverse.
La decisione deve quindi riuscire a delineare l’origine dell’errore; e poiché ove sia il carattere negligente o imprudente della condotta a fare da fondamento alla pronuncia di condanna, non può che trovare anche in questo caso, ove persista incertezza in ordine a quell’origine, il canone del favor rei, quale complemento della regola dell’oltre ogni ragionevole dubbio.
Ciò precisato, ritiene il Collegio che, pur con la prudenza richiesta da un tema così intricato, ai fini che qui occupano ci si possa giovare della concettualizzazione per la quale “l’imperizia è concetto proprio dell’esercizio di una professione e si configura nella violazione delle «regole tecniche» della scienza e della pratica (o leges artis) con ciò differenziandosi dalla imprudenza e negligenza alla cui base vi è la violazione di cautele attuabili secondo la comune esperienza”.
Si tratta di una concezione che trova già eco nella giurisprudenza di questa Corte; infatti, si è sostenuto che “rientra nella nozione di imperizia il comportamento attivo o omissivo che si ponga in contrasto con le regole tecniche dell’attività che si è chiamati a svolgere” (Sez. 4, n. 16944 del 20/03/2015 – dep. 23/04/2015, Rota e altro, Rv. 263388). Partendo da questo assunto possono essere definite le prime implicazioni: a) la perizia è connotato di attività che richiedono competenze tecnico scientifiche o che presentano un grado di complessità più elevato della norma per le particolari situazioni del contesto; essa presuppone la necessità che il compito richieda competenze che non appartengono al quivis de populo e che sono tipiche di specifiche professionalità; b) in linea di massima, l’agire dei professionisti, e quindi anche dei sanitari, si presta ad essere valutato primariamente in termini di perizia/imperizia; per definizione le attività professionali richiedono l’uso di perizia, cioè il rispetto delle regole che disciplinano il modo in cui quelle attività devono essere compiute per raggiungere lo scopo per il quale sono previste; ciò non esclude che l’evento possa essere stato determinato da un errore originato da negligenza o da imprudenza. Sarà allora necessario isolare con precisione tale errore, sulla scorta di pertinenti dati fattuali che ne attestano la ricorrenza.
Ciò rischiara il senso della esplicita limitazione alla imperizia del campo di applicazione della causa di non punibilità prevista dall’art. 590-sexies cod. pen.
Quanto sin qui esposto può essere riassunto nel modo che segue: “la perizia è connotato di attività che richiedono competenze tecnico-scientifiche o che presentano un grado di complessità più elevato della norma per le particolari situazioni del contesto; l’agire dei professionisti, e quindi anche dei sanitari, propone in via elettiva errori determinati da imperizia, sicché l’eventuale negligenza o imprudenza deve essere accertata specificamente, in base a pertinenti dati fattuali che ne attestano la ricorrenza”>.
By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA