Integra il delitto di ricettazione la condotta di estrazione di banche dati contenuti in computer dismessi prelevati dalla discarica autorizzata e non smaltiti come per legge

Si segnala ai lettori del blog la sentenza numero 13950.2020, resa dalla II Sezione penale della Corte di Cassazione, con la quale il Collegio del diritto, esprimendosi in merito ad un caso di ricettazione di materiale informatico, si sofferma sull’elemento soggettivo del reato e dando continuità ad un consolidato orientamento giurisprudenziale enuncia principio di diritto secondo cui l’omessa o non attendibile indicazione della provenienza della cosa ricevuta  rappresenta indice rivelatore della volontà di occultamento. Dall’imputato

Il reato contestato e il doppio giudizio di merito

Nel caso di specie all’imputato era contestato il delitto di ricettazione di materiale informatico consistente in banche dati contenute in computers portati da privati in discarica per lo smaltimento.

La Corte di appello di Trieste, in accoglimento del ricorso proposto dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Pordenone, riformava la sentenza di assoluzione di primo grado, condannando il prevenuto per il reato ascrittogli.

La condanna formulata dai Giudici di secondo grado si basa sull’assunto che il conferimento da parte di privati dei propri computers ad una discarica autorizzata comportasse la relativa destinazione all’attività di smaltimento e distruzione, con la conseguenza che la sottrazione degli hardware e software – non qualificabili come res nullius – integra il delitto di furto, reato presupposto della ricettazione nel caso di specie contestata all’imputato che nel processo di merito non aveva dato indicazione del legittimo possesso dei dati sensibili.

 

Il ricorso per cassazione, il giudizio di legittimità e il principio di diritto

La difesa del giudicabile interponeva ricorso per cassazione avverso la decisione della Corte territoriale, articolando due motivi di ricorso.

Ai fini del presente commento, riveste maggiore interesse la deduzione relativa all’assenza dell’elemento psicologico del delitto di ricettazione, in ragione della non consapevolezza da parte del soggetto agente della provenienza delittuosa dell’oggetto del reato.

I Giudici di legittimità, nel rigettare il ricorso, richiamano il pacifico principio di diritto in tema di elemento soggettivo del reato di ricettazione richiamato nei seguenti  passaggi più significativi tratti dalla parte motiva della pronuncia in commento:

il [omissis] ha memorizzato e catalogato intere banche dati acquisite mediante il «”ritiro” dei computers e dei relativi dati sensibili dalla discarica», così descrivendo una condotta inevitabilmente consapevole dell’illecita provenienza dei beni acquisiti. Quanto, poi, alla prospettazione difensiva secondo cui tra i beni sequestrati oggetto dell’imputazione potrebbero esserci anche beni di diversa provenienza, peraltro nemmeno specificati nel ricorso, va ricordato il consolidato orientamento di questa Corte (per tutte, Sez. 2, n. 29198 del 25/05/2010, rv. 248265) secondo cui, ai fini della configurabilità del reato di ricettazione, la prova dell’elemento soggettivo può essere raggiunta anche sulla base dell’omessa o non attendibile indicazione della provenienza della cosa ricevuta, la quale è sicuramente rivelatrice della volontà di occultamento, logicamente spiegabile con un acquisto in mala fede>.

La norma incriminatrice:

Art. 648 c.p. – Ricettazione

Fuori dei casi di concorso nel reato [110], chi, al fine di procurare a sé o ad altri un profitto, acquista, riceve od occulta denaro o cose provenienti da un qualsiasi delitto, o comunque si intromette nel farle acquistare, ricevere od occultare, è punito con la reclusione da due ad otto anni e con la multa da 516 euro a 10.329 euro. La pena è aumentata quando il fatto riguarda denaro o cose provenienti da delitti di rapina aggravata ai sensi dell’articolo 628, terzo comma, di estorsione aggravata ai sensi dell’articolo 629, secondo comma, ovvero di furto aggravato ai sensi dell’articolo 625, primo comma, n. 7-bis) [379, 648-ter, 649, 709, 712].

La pena è della reclusione sino a sei anni e della multa sino a 516 euro, se il fatto è di particolare tenuità [62n. 4, 133].

Le disposizioni di questo articolo si applicano anche quando [648-bis] l’autore del delitto, da cui il denaro o le cose provengono, non è imputabile [85] o non è punibile [46, 379, 649] ovvero quando manchi una condizione di procedibilità [336-346 c.p.p.] riferita a tale delitto.

Quadro giurisprudenziale di riferimento sul dolo nella ricettazione:

Cassazione penale sez. II, 29/01/2020, n.7843

La mancata giustificazione del possesso di un bene di provenienza furtiva (nel caso di specie, un televisore) integra pacificamente il dolo del reato di cui all’art. 648 c.p., consentendo di ritenere provata la consapevolezza della sua provenienza delittuosa.

Cassazione penale sez. I, 13/03/2012, n.13599

Ai fini della configurabilità del delitto di ricettazione, la mancata giustificazione del possesso di una cosa proveniente da delitto costituisce prova della conoscenza della illecita provenienza.

Cassazione penale sez. II, 25/05/2010, n.29198

Ai fini della configurabilità del reato di ricettazione, la prova dell’elemento soggettivo può essere raggiunta anche sulla base dell’omessa o non attendibile indicazione della provenienza della cosa ricevuta, la quale è sicuramente rivelatrice della volontà di occultamento, logicamente spiegabile con un acquisto in mala fede.

By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA