La Cassazione fa il punto sul dolo nella frode carosello.

Si segnala ai lettori del blog la sentenza numero 14221.2020, resa dalla III Sezione penale della Corte di Cassazione, con la quale il Collegio del diritto, esprimendosi in merito ad un caso di dichiarazione fraudolenta mediante utilizzo di fatture per operazioni inesistenti e di emissione di fatture per operazioni inesistenti commessi nell’ambito di operazioni di frode carosello finalizzate all’evasione dell’IVA, ripropone i consolidati orientamenti delle giurisprudenza di legittimità in ordine all’elemento soggettivo che caratterizza l’operazione fraudolenta con correlativo danno alla imposta indiretta comunitaria.

 

Il reato contestato e il doppio giudizio di merito

Nel caso di specie, all’imputato, nella qualità di legale rappresentante della società, erano contestati i delitti di dichiarazione fraudolenta mediante utilizzo di fatture per operazioni inesistenti (art. 2 D.lgs. 74/2000) e di emissione di fatture per operazioni inesistenti (art. 8 D.lgs. 74/2000), utilizzando uno schermo societario rivolto all’interposizione fittizia nelle operazioni di compravendita, al fine di ottenere vantaggi fiscali attraverso la sistematica evasione dell’IVA non versata dalle società cartiere e compensata dalle società filtro.

La Corte di appello di Milano, in riforma della sentenza resa dal locale Tribunale, dichiarava di non doversi procedere nei confronti del prevenuto per il reato ex art. 8 D.lgs. 74/2000 in relazione alle fatture del 2010, per estinzione del reato e rideterminava la pena irrogata al medesimo con riferimento ai delitti ex artt. 2 e 8 (relativamente all’anno 2011) del D.lgs. 74/2000.

 

Il ricorso per cassazione, il giudizio di legittimità e il principio di diritto

La difesa del giudicabile interponeva ricorso per cassazione avverso la decisione della Corte territoriale, articolando plurimi motivi di impugnazione.

In particolare, il ricorrente deduceva il vizio di motivazione in ordine all’accertamento della responsabilità penale dell’imputato confermata dalla Corte territoriale.

La Suprema Corte, nel dichiarare inammissibile il ricorso, valida la correttezza dell’iter logico – giuridico seguito dai giudici del merito dando continuità ai principi giurisprudenziali sedimentati in materia.

Di seguito si riportano i passaggi più significativi tratti dal compendio motivazionale della pronuncia resa dai Giudici di legittimità:

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L’annotazione in contabilità delle fatture soggettivamente inesistenti provenienti dalle società cartiere aveva dimostrato inequivocabilmente la volontà dell’imputato di detrarre l’IVA, mai versata dalle cartiere, con l’ulteriore precisazione, tuttavia, che, se pure avesse effettivamente versato l’IVA alle cartiere, non l’avrebbe potuta recuperare, perché il credito IVA sorge rispetto ad un’operazione imponibile reale sia in termini oggettivi per l’effettività della prestazione sia in termini soggettivi, allorché la fatturazione intercorra tra soggetti che abbiano effettivamente compiuto l’operazione commerciale.

I Giudici di merito hanno desunto il dolo richiesto dal reato contestato da tutti gli elementi di giudizio complessivamente considerati.

La decisione è in linea con l’orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità secondo cui, nel delitto di utilizzazione di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, di cui all’art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000, il dolo è ravvisabile nella consapevolezza, in chi utilizza il documento in dichiarazione, che colui che ha effettivamente reso la prestazione non ha provveduto alla fatturazione del corrispettivo versato dall’emittente, conseguendo in tal modo un indebito vantaggio fiscale in quanto l’Iva versata dall’utilizzatore della fattura non è stata pagata dall’esecutore della prestazione medesima (Cass., Sez. 3, n. 19012 del 11/02/2015, Spinelli, Rv. 263745 che ha ulteriormente precisato che il principio di diritto tributario, per il quale incombe sull’Erario l’onere di provare che il contribuente sapeva o avrebbe dovuto sapere che l’operazione invocata a fondamento della detrazione si inseriva in una evasione commessa dal fornitore, non può essere automaticamente trasposto in sede penale, attesa l’autonomia fra i relativi procedimenti, ciò che costituisce adeguata risposta al rilievo specifico del ricorrente; si vedano altresì Cass., Sez. 3, n. 37848 del 29/03/2017, Ferrario, Rv. 271044, nonché la citata Sez. 3, n. 52411 del 19/06/2018, B., Rv. 274104-01).

Con riferimento al reato dell’art. 8 d.lgs. n. 74 del 2000, la Corte territoriale ha affermato che la partecipazione attiva della [omissis]alla frode carosello era indicativa della consapevolezza e volontà dell’imputato di permettere a [omissis]e [omissis] di conseguire una rilevante evasione d’imposta, mediante la contabilizzazione delle fatture e l’inserimento nelle dichiarazioni fiscali delle società destinatarie degli elementi passivi fittizi, costituito dalla detrazione dell’IVA meramente cartolare e mai versata dalle cartiere che avevano acquistato i prodotti dai fornitori comunitari.

Richiamate le considerazioni già svolte sulla vicenda, la motivazione dell’elemento soggettivo si appalesa del pari solida ed è conforme alla consolidata interpretazione giurisprudenziale sulle caratteristiche del dolo specifico in tale reato (Cass., Sez. 3, n. 18924 del 20/01/2017, Pelliccio, Rv. 269903 e n. 17525 del 17/03/2010, Mura, Rv. 246991), avendo emesso la [omissis], in qualità di società filtro, fatture per operazioni inesistenti al fine di evadere le imposte, nel più complesso programma di partecipazione alla frode carosello>.

Le norme incriminatrici:

Art. 2 D.lgs. 74/2000 – Dichiarazione fraudolenta mediante utilizzo di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti

E’ punito con la reclusione da quattro a otto anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, indica in una delle dichiarazioni [annuali] relative a dette imposte elementi passivi fittizi.

Il fatto si considera commesso avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti quando tali fatture o documenti sono registrati nelle scritture contabili obbligatorie, o sono detenuti a fine di prova nei confronti dell’amministrazione finanziaria.

Se l’ammontare degli elementi passivi fittizi è inferiore a euro centomila, si applica la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni. 

[ 3. Se l’ammontare degli elementi passivi fittizi è inferiore a euro 154.937,07, si applica la reclusione da sei mesi a due anni. ] 

 

Art. 8 D.lgs. 74/2000 – Emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti

E’ punito con la reclusione da quattro a otto anni chiunque, al fine di consentire a terzi l’evasione delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto, emette o rilascia fatture o altri documenti per operazioni inesistenti. 

Ai fini dell’applicazione della disposizione prevista dal comma 1, l’emissione o il rilascio di più fatture o documenti per operazioni inesistenti nel corso del medesimo periodo di imposta si considera come un solo reato.

Se l’importo non rispondente al vero indicato nelle fatture o nei documenti, per periodo d’imposta, è inferiore a euro centomila, si applica la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni.

[ 3. Se l’importo non rispondente al vero indicato nelle fatture o nei documenti è inferiore a euro 154.937,07 per periodo di imposta, si applica la reclusione da sei mesi a due anni.]

 

Quadro giurisprudenziale di riferimento:

Cassazione penale sez. III, 19/06/2018, n.52411

In tema di reati tributari, il dolo specifico richiesto per integrare il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, previsto dall’art. 2 d.lg. 10 marzo 2000, n. 74, rappresentato dal perseguimento della finalità evasiva, che deve aggiungersi alla volontà di realizzare l’evento tipico (la presentazione della dichiarazione), è compatibile con il dolo eventuale, ravvisabile nell’accettazione del rischio che l’azione di presentazione della dichiarazione, comprensiva anche di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, possa comportare l’evasione delle imposte dirette o dell’Iva.

 

Cassazione penale sez. III, 29/03/2017, n.37848

Il dolo specifico del delitto di dichiarazione fraudolenta mediante utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti deve sussistere al momento della consumazione del reato, coincidente con la presentazione o la trasmissione in via telematica della dichiarazione nella quale sono indicati gli elementi passivi fittizi, e non, invece, in quello, antecedente, dell’annotazione in contabilità della fattura falsa. (Fattispecie relativa all’utilizzazione da parte dell’imputato di una fattura emessa a fronte del pagamento anticipato di prestazioni di servizi successivamente non eseguite, senza che lo stesso avesse evidenziato il venir meno dell’operazione imponibile prima di presentare la dichiarazione, effettuando la relativa variazione ai sensi dell’art. 26 d.P.R. n. 633 del 1972, nel testo “ratione temporis” vigente).

 

Cassazione penale sez. III, 11/02/2015, n.19012

In tema di reati tributari, il dolo nel delitto di utilizzazione di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, di cui all’art. 2 del D.Lgs. n. 74 del 2000, è ravvisabile nella consapevolezza, in chi utilizza il documento in dichiarazione, che colui che ha effettivamente reso la prestazione non ha provveduto alla fatturazione del corrispettivo versato dall’emittente, conseguendo in tal modo un indebito vantaggio fiscale in quanto l’Iva versata dall’utilizzatore della fattura non è stata pagata dall’esecutore della prestazione medesima. (In motivazione, la Corte ha precisato che il principio di diritto tributario, per il quale incombe sull’Erario l’onere di provare che il contribuente sapeva o avrebbe dovuto sapere che l’operazione invocata a fondamento della detrazione si inseriva in una evasione commessa dal fornitore, non può essere automaticamente trasposto in sede penale, attesa l’autonomia fra i relativi procedimenti).

 

Cassazione civile sez. VI, 04/02/2014, n.2382

In tema di IVA, il beneficiario finale delle cosiddette frodi carosello, fondate sul mancato versamento dell’imposta incassata da società “cartiere” a seguito di acquisti intracomunitari, o altrimenti esenti, e successive rivendite anche attraverso l’interposizione di una o più società o ditte filtro (“buffers”), una volta ricostruita l’intera operazione, non può dirsi estraneo alla partecipazione all’accordo simulatorio, con la conseguenza che l’IVA assolta dal medesimo nelle operazioni commerciali con le società filtro, non può considerarsi detraibile.

By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA