Reati fallimentari: il pagamento preferenziale rispetto all’Erario di fornitori e dipendenti della società non vale di per sé ad integrare il delitto di bancarotta fraudolenta preferenziale

Si segnala ai lettori del blog la sentenza numero 18528.2020, depositata il 18 giugno 2020, resa dalla V Sezione penale della Corte di Cassazione, con la quale il Collegio del diritto, esprimendosi in merito ad un caso di bancarotta fraudolenta preferenziale, chiarisce il perimetro della fattispecie incriminatrice con riguardo all’elemento materiale e all’elemento psicologico del reato fallimentare.

 

I reati contestati e il doppio giudizio di merito

Nel caso di specie, agli imputati erano contestati i delitti di bancarotta fraudolenta documentale e preferenziale ex art. 216 co. 1 e 3 Legge fall. e di bancarotta semplice per aver compiuto operazioni imprudenti per ritardare il fallimento e per aver aggravato il proprio dissesto, ex art 217 co. 1 nn. 3) e 4) Legge fall.

La Corte di appello di Torino riformava la sentenza di assoluzione resa dal Giudice per l’udienza preliminare  del locale Tribunale all’esito di rito abbreviato condizionato, condannando i prevenuti per i reati di bancarotta fraudolenta preferenziale e bancarotta semplice.

 

Il ricorso per cassazione, il giudizio di legittimità e il principio di diritto

La difesa dei giudicabili proponeva ricorso in cassazione avverso la decisione di secondo grado, articolando tre motivi di impugnazione.

In particolare, per quanto qui di interesse, il ricorrente deduceva l’insussistenza della responsabilità penale degli imputati per il reato di bancarotta preferenziale, in ragione dell’assenza di prove dell’esistenza di pagamenti preferenziali e della coscienza e volontà in capo ai soggetti agenti di favorire taluni creditori a scapito di altri, traducendosi la condotta dagli stessi posta in essere nel mero pagamento dei fornitori e dei dipendenti della società in adempimento dei corrispondenti obblighi giuridici.

I Giudici di legittimità, nell’annullare la sentenza impugnata con rinvio per un nuovo esame ad altra sezione della Corte territoriale, stigmatizzano la censurata insufficienza della motivazione della pronuncia di secondo grado in merito all’accertamento della responsabilità penale degli imputati a titolo di bancarotta preferenziale e chiariscono il perimetro punitivo della fattispecie incriminatrice.

Di seguito si riportano i passaggi più significativi tratti dal compendio motivazionale della decisione in commento:

<È principio affermato da questa Corte di legittimità che il Collegio condivide, quello secondo il quale, in tema di bancarotta preferenziale, qualora il fallito provveda al pagamento di crediti privilegiati, ai fini della configurabilità del reato, è necessario il concorso di altri crediti con privilegio, di grado prevalente o eguale, rimasti insoddisfatti per effetto del pagamento e non già di qualsiasi altro credito (Sez. 5, n. 54502 del 03/10/2018, Raia, Rv. 275235).

Inoltre quanto all’elemento soggettivo del reato, si rileva che questo è costituito dal dolo specifico, consistente nella volontà di recare un vantaggio al creditore soddisfatto, con l’accettazione della eventualità di un danno per gli altri secondo lo schema del dolo eventuale. Ne consegue che detta finalità non è ravvisabile allorché il pagamento sia volto, in via esclusiva o prevalente, alla salvaguardia della attività sociale o imprenditoriale ed il risultato di evitare il fallimento possa ritenersi più che ragionevolmente perseguibile (Sez. 5, n. 54465 del 05/06/2018, M., Rv. 274188).

Ciò premesso si osserva che la motivazione della sentenza impugnata non è esauriente posto che trae la convinzione dell’avvenuto pagamento di fornitori e dipendenti in via preferenziale, rispetto all’erario, soltanto dal dato oggettivo dell’avvenuta prosecuzione dell’attività della società poi fallita (“poiché certamente fornitori e dipendenti non hanno lavorato senza corrispettivo”) senza nulla spiegare circa l’effettività ed entità di detti pagamenti>.

 

La norma incriminatrice:

Art. 216 Legge fall. – Bancarotta fraudolenta

È punito con la reclusione da tre a dieci anni, se è dichiarato fallito, l’imprenditore, che:

1) ha distratto, occultato, dissimulato, distrutto o dissipato in tutto o in parte i suoi beni ovvero, allo scopo di recare pregiudizio ai creditori, ha esposto o riconosciuto passività inesistenti;

2) ha sottratto, distrutto o falsificato, in tutto o in parte, con lo scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizi ai creditori, i libri o le altre scritture contabili o li ha tenuti in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari.

La stessa pena si applica all’imprenditore, dichiarato fallito, che, durante la procedura fallimentare, commette alcuno dei fatti preveduti dal n. 1 del comma precedente ovvero sottrae, distrugge o falsifica i libri o le altre scritture contabili.

È punito con la reclusione da uno a cinque anni il fallito, che, prima o durante la procedura fallimentare, a scopo di favorire, a danno dei creditori, taluno di essi, esegue pagamenti o simula titoli di prelazione.

Salve le altre pene accessorie, di cui al capo III, titolo II, libro I del codice penale, la condanna per uno dei fatti previsti nel presente articolo importa per la durata di dieci anni l’inabilitazione all’esercizio di una impresa commerciale e l’incapacità per la stessa durata ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa.

 

Quadro giurisprudenziale di riferimento:

Cassazione penale sez. V, 03/10/2018, n.54502

In tema di bancarotta preferenziale, qualora il fallito provveda al pagamento di crediti privilegiati, ai fini della configurabilità del reato, è necessario il concorso di altri crediti con privilegio di grado prevalente o eguale rimasti insoddisfatti per effetto del pagamento e non già di qualsiasi altro credito. (Fattispecie relativa all’immediato rimborso di un finanziamento a favore di una socia, in cui la Corte ha ritenuto esente da censure la sentenza che aveva affermato la sussistenza della lesione della “par condicio creditorum”, trattandosi di operazione vietata dall’art. 2467 cod. civ., che prevede la postergazione e la restituzione da parte del socio dei finanziamenti rimborsatigli nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento).

 

Cassazione penale sez. V, 05/06/2018, n.54465

In tema di bancarotta preferenziale, l’elemento soggettivo del reato è costituito dal dolo specifico, consistente nella volontà di recare un vantaggio al creditore soddisfatto, con l’accettazione della eventualità di un danno per gli altri secondo lo schema del dolo eventuale; ne consegue che tale finalità non è ravvisabile allorché il pagamento sia volto, in via esclusiva o prevalente, alla salvaguardia della attività sociale o imprenditoriale ed il risultato di evitare il fallimento possa ritenersi più che ragionevolmente perseguibile. (Fattispecie relativa ad erogazioni di denaro effettuate in favore di una società a cui erano stati affidati lavori edili in subappalto, in modo da ottenere dalla committente il pagamento dei lavori in corso d’opera e garantire così la sopravvivenza finanziaria della società amministrata dall’imputato).

 

Cassazione penale, sez. V, 15/01/2018, n. 3797

Ai fini della configurabilità del reato di bancarotta preferenziale è necessaria la violazione della “par condicio creditorum” che consiste nell’alterazione dell’ordine, stabilito dalla legge, di soddisfazione dei creditori, sicché deve essere provata l’esistenza di altri crediti insoddisfatti per effetto del pagamento eseguito al creditore in via preferenziale, ma tale prova non può essere desunta sulla base del principio civilistico di “non contestazione”.

 

Cassazione penale sez. V, 13/11/2014, n.2286

L’elemento soggettivo del delitto di bancarotta preferenziale è costituito dal dolo specifico, che è ravvisarle ogni qualvolta l’atteggiamento psicologico del soggetto agente sia rivolto a favorire un creditore con la consapevolezza, anche solo eventuale, di recare pregiudizio agli altri (confermata la condanna nei confronti dell’imputata che in qualità di amministratrice di una società, poi fallita, aveva ceduto ad una società creditrice, a cui l’imputata era interessata, un punto vendita, sottraendolo in tal modo alla garanzia dei creditori).

By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA