Inadempimento contrattuale ed evento morte: la Cassazione chiarisce la diversa regola ermeneutica da seguire per l’accertamento del nesso causale in ambito civile rispetto a quella che governa la prova penale

Si segnala ai lettori del blog l’ordinanza numero 13872.2020, resa dalla III Sezione civile della Corte di Cassazione, con la quale il Collegio del diritto, scrutinando un caso di responsabilità civile della struttura sanitaria evocata a seguito del decesso del paziente, si è pronunciata sul tema dell’accertamento del nesso di causalità tra condotta posta in essere dai professionisti sanitari e l’evento lesivo, soffermandosi, in particolare, sulla ripartizione dell’onere probatorio tra creditore-danneggiato e debitore-danneggiante e sulla regola probatoria del “più probabile che non” rimarcando le profonde differenze che informano il processo civile rispetto a quello penale.

 

Il caso clinico e il doppio giudizio di merito

Nel caso di specie si è trattato del decesso della paziente, ricoverata in attesa dell’esecuzione di un intervento chirurgico di sostituzione di valvola mitrale, dovuto a violento shock emorragico incorso in occasione dell’intervento di taracotomia, reso necessario a causa dell’insorgenza di emotorace massivo a destra.

La Corte di appello di Firenze, in accoglimento dell’impugnazione proposta dall’Azienda ospedaliera convenuta, rigettava la domanda proposta dai congiunti della vittima (accolta in primo grado) volta ad accertare la responsabilità dell’Azienda ospedaliera in relazione al decesso della paziente ed a conseguire il risarcimento del danno conseguente.

 

Il ricorso per cassazione, il giudizio di legittimità e il principio di diritto

Le parti attrici ricorrevano per cassazione contro la sentenza resa dalla Corte territoriale, articolando due motivi di impugnazione, denunciando la violazione di legge in ordine al mancato riconoscimento da parte dei Giudici del merito della sussistenza del nesso causale tra condotta lesiva del medico (ossia l’esecuzione della manovra di toracentesi) e l’omesso esame radiologico conseguente a tale manovra posto in rapporto eziologico con l’exitus infausto, nonché vizio di legge e motivazione in merito alla corretta applicazione dei canoni ermeneutici afferenti la corretta ripartizione dell’onere probatorio.

La Suprema Corte, nell’accogliere il primo motivo di ricorso, che assorbe il secondo, cassando, per l’effetto, la sentenza impugnata con rinvio per un nuovo esame alla Corte territoriale, si sofferma sulla trattazione del tema del nesso causale nell’ambito della responsabilità civile del medico per fatto colposo di estremo interesse per gli operatori di diritto che si occupano della materia.

Di seguito si riportano i passaggi più significativi tratti dal compendio motivazionale dell’ordinanza in commento:

(i) la ripartizione dell’onere probatorio tra attore e convenuto.

<Nei giudizi risarcitori da responsabilità sanitaria, si delinea “un duplice ciclo causale, l’uno relativo all’evento dannoso, a monte, l’altro relativo all’impossibilità di adempiere, a valle”.

Orbene, il primo, “quello relativo all’evento dannoso, deve essere provato dal creditore/danneggiato, il secondo, relativo alla possibilità di adempiere, deve essere provato dal debitore/danneggiante.

Mentre il creditore deve provare il nesso di causalità fra l’insorgenza (o l’aggravamento) della patologia”, ovvero la morte, “e la condotta del sanitario (fatto costitutivo del diritto), il debitore deve provare che una causa imprevedibile ed inevitabile ha reso impossibile la prestazione (fatto estintivo del diritto)” (così, in motivazione, tra le altre, Cass. Sez. 3, sent. 26 luglio 2017, n. 18392, Rv. 645164-01).

Ne consegue, dunque, che “la causa incognita resta a carico dell’attore relativamente all’evento dannoso, resta a carico del convenuto relativamente alla possibilità di adempiere.

Se, al termine dell’istruttoria, resti incerti la causa del danno o dell’impossibilità di adempiere, le conseguenze sfavorevoli in termini di onere della prova gravano rispettivamente sull’attore o sul convenuto.

Il ciclo causale relativo alla possibilità di adempiere acquista rilievo solo ove risulti dimostrato il nesso causale fra evento dannoso e condotta del debitore. Solo una volta che il danneggiato abbia dimostrato che l’aggravamento della situazione patologica (o l’insorgenza di nuove patologie per effetto dell’intervento)”, ovvero la morte del paziente, “è causalmente riconducibile alla condotta dei sanitari sorge per la struttura sanitaria l’onere di provare che l’inadempimento, fonte del pregiudizio lamentato dall’attore, è stato determinato da causa non imputabile” (così, nuovamente, Cass. Sez. 3, sent. n. 18392 del 2017, cit.; nello stesso senso anche Cass. Sez. 3, sent. 4 novembre 2017, n. 26824, non massimata; Cass. Sez. 3, sent. 7 dicembre 2017, n. 29315, Rv. 646653-01; Cass. Sez. 3, sent. 15 febbraio 2018, n. 3704, Rv. 647948-01; Cass. Sez. 3, ord. 23 ottobre 2018, n. 26700, Rv. 651166-01, nonché, da ultimo, Cass. Sez. 3, sent. 11 novembre 2019, n. 28991, Rv. 655828-01).

 

Non essendo l’aggravamento della situazione patologica o l’insorgenza di nuove patologie (ovvero la morte) “immanenti alla violazione delle «leges artis»”, potendo “avere una diversa eziologia”, all’onere del creditore/danneggiato “di allegare la connessione puramente naturalistica fra la lesione della salute, in termini di aggravamento della situazione patologica o insorgenza di nuove patologie, e la condotta del medico”, si affianca – “posto che il danno evento non è immanente all’inadempimento”, anche quello “di provare quella connessione” (così Cass. Sez. 3, sent. n. 28991 del 2019, cit.). Da quanto precede, dunque, deriva che – nel caso che occupa – l’onere di provare il nesso tra la morte della [omissis]e la condotta dei medici dell’Azienda Ospedaliera gravava sui suoi eredi, già attori ed odierni ricorrenti, sicché, solo una volta assolto tale onere, assume rilievo quello della convenuta di dimostrare che l’inadempimento, fonte del pregiudizio lamentato dagli attori, è stato determinato da causa ad essa non imputabile.

 

(II) La differente regola probatoria che opera nel giudizio civile rispetto al processo penale.

Tuttavia, se discutere della causalità materiale (soprattutto, come si dirà meglio di seguito, di quella definita come “individuale”, o “specifica”) significa interrogarsi su di una regola probatoria, è proprio su questo piano che vanno apprezzate le differenti soluzioni offerte dalla giurisprudenza di legittimità, penale e civile, al problema della verifica del nesso causale, costituendo le stesse null’altro che il riflesso della diversità — morfologica e funzionale — dei due sistemi di responsabilità, con i quali il giudice si confronta. Difatti, nella “ricostruzione del nesso causale, ciò che muta sostanzialmente tra il processo penale e quello civile è la regola probatoria, in quanto nel primo vige la regola della prova «oltre il ragionevole dubbio» (cfr. Cass. Pen. S.U. 11 settembre 2002, n. 30328, Franzese), mentre nel secondo vige la regola della preponderanza dell’evidenza o «del più probabile che non», stante la diversità dei valori in gioco nel processo penale tra accusa e difesa, e l’equivalenza di quelli in gioco nel processo civile tra le due parti contendenti” (così, in particolare, in motivazione, Cass. Sez. Un., sent. n. 576 del 2008, cit.; in senso conforme, tra le più recenti, si vedano Cass. Sez. 3, ord. 27 settembre 2018, n. 23197, Rv. 650602- 01, in motivazione, nonché Cass. Sez. Lav., sent. 3 gennaio 2017, n. 47, Rv. 642263-01).

(iii) I criteri applicativi della regola probatoria del “più probabile che non” o della “preponderanza dell’evidenza”.  

Chiarite, pertanto, le ragioni dell’operatività – nel giudizio civile di danno – della regola probatoria del “più probabile che non”, occorre illustrarne le modalità di applicazione. Essa – anche denominata, forse in modo preferibile, come “preponderanza dell’evidenza” – costituisce, in realtà la “combinazione di due regole: la regola del «più probabile che non» e la regola della «prevalenza relativa» della probabilità”.

La regola del “più probabile che non”, in particolare – per riprendere tale impostazione dommatica – “implica che rispetto ad ogni enunciato si consideri l’eventualità che esso possa essere vero o falso, ossia che sul medesimo fatto vi siano un’ipotesi positiva ed una complementare ipotesi negativa”, sicché, tra queste due ipotesi alternative, “il giudice deve scegliere quella che, in base alle prove disponibili, ha un grado di conferma logica superiore all’altra: sarebbe infatti irrazionale preferire l’ipotesi che è meno probabile dell’ipotesi inversa”. In altri termini, l’affermazione della verità dell’enunciato implica “che vi siano prove preponderanti a sostegno di essa: ciò accade quando vi sono una o più prove dirette – di cui è sicura la credibilità o l’autenticità – che confermano quell’ipotesi, oppure vi sono una o più prove indirette dalle quali si possono derivare validamente inferenze convergenti a sostegno di essa”. Per parte propria, la regola della “prevalenza relativa” della probabilità, rileva – quanto al nesso causale, nel caso di cd. “multifattorialità” nella produzione di un evento dannoso (ovvero quando all’ipotesi, formulata dall’attore, in ordine all’eziologia dell’evento stesso, possano affiancarsene altre) – allorché “sullo stesso fatto esistano diverse ipotesi, ossia diversi enunciati che narrano il fatto in modi diversi, e che queste ipotesi abbiano ricevuto qualche conferma positiva dalle prove acquisite al giudizio”, dovendo, invero, essere prese in considerazione “solo le ipotesi che sono risultate «più probabili che non», poiché le ipotesi negative prevalenti non rilevano”. Orbene, ricorrendo tale evenienza, vale a dire se “vi sono più enunciati sullo stesso fatto che hanno ricevuto conferma probatoria, la regola della prevalenza relativa” – sempre secondo l’impostazione dottrinaria di cui sopra – “implica che il giudice scelga come «vero» l’enunciato che ha ricevuto il grado relativamente maggiore di conferma sulla base delle prove disponibili”>.

 

Quadro giurisprudenziale di riferimento:

Cassazione civile sez. III, 11/11/2019, n.28991

Ove sia dedotta la responsabilità contrattuale del sanitario per l’inadempimento della prestazione di diligenza professionale e la lesione del diritto alla salute, è onere del danneggiato provare, anche a mezzo di presunzioni, il nesso di causalità fra l’aggravamento della situazione patologica, o l’insorgenza di nuove patologie, e la condotta del sanitario, mentre è onere della parte debitrice provare, ove il creditore abbia assolto il proprio onere probatorio, che una causa imprevedibile ed inevitabile ha reso impossibile l’esatta esecuzione della prestazione.

Cassazione civile sez. III, 23/10/2018, n.26700       

In tema di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria, incombe sul paziente che agisce per il risarcimento del danno l’onere di provare il nesso di causalità tra l’aggravamento della patologia (o l’insorgenza di una nuova malattia) e l’azione o l’omissione dei sanitari, mentre, ove il danneggiato abbia assolto a tale onere, spetta alla struttura dimostrare l’impossibilità della prestazione derivante da causa non imputabile, provando che l’inesatto adempimento è stato determinato da un impedimento imprevedibile ed inevitabile con l’ordinaria diligenza. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva rigettato la domanda di risarcimento del danno proposta dalla paziente e dai suoi stretti congiunti, in relazione a un ictus cerebrale che aveva colpito la prima a seguito di un esame angiografico, sul rilievo che era mancata la prova, da parte degli attori, della riconducibilità eziologica della patologia insorta alla condotta dei sanitari, ed anzi la CTU espletata aveva evidenziato l’esistenza di diversi fattori, indipendenti dalla suddetta condotta, che avevano verosimilmente favorito l’evento lesivo).

 

Cassazione civile sez. III, 27/09/2018, n.23197

In tema di responsabilità civile, la verifica del nesso causale tra condotta omissiva e fatto dannoso si sostanzia nell’accertamento della probabilità positiva o negativa del conseguimento del risultato idoneo ad evitare il rischio specifico di danno, riconosciuta alla condotta omessa, da compiersi mediante un giudizio controfattuale, che pone al posto dell’omissione il comportamento dovuto. Tale giudizio deve essere effettuato sulla scorta del criterio del “più probabile che non”, conformandosi ad uno standard di certezza probabilistica, che, in materia civile, non può essere ancorato alla determinazione quantitativa-statistica delle frequenze di classi di eventi (cd. probabilità quantitativa o pascaliana), la quale potrebbe anche mancare o essere inconferente, ma va verificato riconducendone il grado di fondatezza all’ambito degli elementi di conferma (e, nel contempo, di esclusione di altri possibili alternativi) disponibili nel caso concreto (cd. probabilità logica o baconiana). (Nel dare applicazione al principio, in un caso in cui alla omessa diagnosi di appendicite acuta era comunque seguita la risoluzione della patologia mediante intervento chirurgico, all’esito del quale era peraltro insorto uno stato di coma con pericolo di vita, la S.C. ha affermato che, sostituendo alla omessa diagnosi la corretta rilevazione della patologia, sarebbe rimasto immutato, nella sequenza sopra indicata, il segmento causale successivo, posto che l’intervento chirurgico aveva trovato il diretto antecedente causale nella malattia non altrimenti trattabile e il successivo stato di coma aveva costituito un evento del tutto anomalo ed eccezionale, la cui genesi eziologica era stata assorbita nella efficienza deterministica esclusiva della condotta gravemente imperita dell’anestesista nel corso dell’intervento).

Cassazione civile sez. III, 26/07/2017, n.18392

In tema di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria per l’inesatto adempimento della prestazione assistenziale, l’onere di provare l’impossibilità sopravvenuta della prestazione per causa imprevedibile, inevitabile e non imputabile alla stessa sorge solo ove il danneggiato abbia provato la sussistenza del nesso causale tra la condotta attiva od omissiva dei sanitari e il danno sofferto.

Cassazione civile sez. III, 14/11/2017, n.26824

Sia nei giudizi di risarcimento del danno derivante da inadempimento contrattuale, sia in quelli di risarcimento del danno da fatto illecito, la condotta colposa del responsabile ed il nesso di causa tra questa ed il danno costituiscono l’oggetto di due accertamenti concettualmente distinti, sicché la sussistenza della prima non dimostra, di per sé, anche la sussistenza del secondo, e viceversa.

By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA