La Suprema Corte torna a chiarire natura ed elementi costitutivi del delitto di indebita compensazione previsto e punito dall’art. 10 quater D.lgs. 74/2000

Si segnala ai lettori del blog la sentenza 18459.2020, resa dalla III Sezione penale della Corte di Cassazione, che esprimendosi in sede cautelare reale in merito ad un caso di indebita compensazione, traccia con estrema chiarezza il perimetro punitivo della norma e degli elementi costitutivi della fattispecie, connotata dall’intento fraudolento del contribuente.

 

Il reato provvisoriamente contestato e la fase cautelare reale

Nel caso di specie all’indagata era provvisoriamente contestato il concorso nel delitto di indebita compensazione ex art. 10 quater D.lgs. 74/2000.

Il Tribunale di Napoli –  sezione del Riesame – confermava il provvedimento di sequestro preventivo emesso dal GIP ed eseguito sugli immobili della prevenuta.

 

Il ricorso per cassazione, il giudizio di legittimità e il principio di diritto

La difesa della giudicabile proponeva ricorso per cassazione avverso la decisione del Tribunale delle libertà, articolando due motivi di impugnazione.

In particolare il ricorrente deduceva il vizio di motivazione in ordine alla omessa indicazione di elementi dai quali desumere la consapevole compartecipazione della prevenuta al reato tributario e la dimensione materiale del reato non rientrante nello schema tipico della norma incriminatrice.

I Giudici di legittimità, nel rigettare il ricorso, ripercorrono la ratio e la struttura degli elementi costitutivi del delitto tributario.

Di seguito si riportano i passaggi più significativi tratti dalla parte motiva della decisione in commento:

<Occorre osservare come il tribunale, ha poi più specificamente e congruamente illustrato gli elementi, anche logici, dimostrativi della contestata partecipazione, rinvenuti tra l’altro: – nella posizione soggettiva della [omissis], quale titolare di un consistente debito erariale; – nell’omesso versamento da parte della medesima della somma “compensata” con i crediti inesistenti; – nella mancata richiesta, anche successivamente all’inoltro degli F24, di informazioni sulla propria situazione tributaria e sulle modalità tecniche seguite per ottenere la cancellazione del debito ; – nell’inesistenza obiettiva dei crediti “compensati”; – nella predisposizione, da parte del [omissis] di dichiarazioni integrative relative ad anni di imposta precedenti e riguardanti i crediti inesistenti compensati.

Elementi ritenuti tali, dal collegio della cautela, da delineare in capo alla ricorrente la consapevolezza del meccanismo di indebita compensazione, ideato e realizzato dai suoi complici nei termini di cui al capo di incolpazione, così da avere inteso avvalersene, in accordo con i predetti, a proprio vantaggio, compulsandoli, dietro pagamento, verso la realizzazione della condotta criminosa.

In relazione alla ulteriore censura secondo cui il reato ex art. 10 quater del Dlgs. 74/2000 sarebbe inconfigurabile a fronte di crediti compensati non afferenti al medesimo periodo di imposta del debito erariale del 2017, […] La ratio della norma è quella di sanzionare quei comportamenti diretti a evitare il pagamento dell’imposta dovuta attraverso l’indebito ricorso al meccanismo della compensazione, istituto previsto in ambito tributario dall’art. 17 del Dlgs. n. 241 del 9 luglio 1997, secondo cui i contribuenti titolari di partita Iva eseguono versamenti unitari delle imposte, dei contributi dovuti all’Inps e delle altre somme a favore dello Stato, delle regioni e degli enti previdenziali, con eventuale compensazione dei crediti, dello stesso periodo, nei confronti dei medesimi soggetti, risultanti dalle dichiarazioni e dalle denunce periodiche.

L’intento perseguito dal legislatore del 2006 è stato, dunque, quello di sanzionare la condotta omissiva supportata dalla redazione di un documento ideologicamente falso, idoneo a prospettare una compensazione che non avrebbe potuto avere luogo, in particolare per l’inesistenza o la non spettanza del credito, dovendosi quindi incentrare la verifica giudiziaria non tanto sull’astratta regolarità formale della procedura compensativa, quanto piuttosto sulla tipologia degli strumenti adoperati in concreto dal contribuente per sottrarsi ai pagamenti dovuti.

In altri termini, l’essenza della condotta contestata è il ricorso a un istituto applicato nonostante l’assenza di un valido titolo di credito opponibile in compensazione, dovendosi sottolineare che la stessa denominazione del reato suggerisce di ritenere che la compensazione è “indebita” proprio qualora, per come messa in atto, si riveli estranea al modello legale dell’istituto delineato dalla legislazione tributaria e in particolare venga attuata attraverso una distorta rappresentazione della realtà inerente la tipologia dei crediti rivendicati (inesistenti o non spettanti); per cui a rilevare, più che la dimensione formale, è la natura sostanziale dell’operazione realizzata, con particolare riferimento alla circostanza dell’utilizzo, in compensazione, di titoli di credito connotati nei termini immediatamente prima evidenziati.

Consegue, per quanto detto, che nessun rilievo assume nel caso concreto la circostanza della riferibilità dei vari “crediti.”, inesistenti, a periodi di imposta diversi da quello del 2017 cui afferisce il debito falsamente “compensato”.

Ciò perché l’ipotesi disciplinata dall’art. 10 quater associa al disvalore di evento (omesso versamento di somme dovute) uno specifico disvalore di azione, consistente nell’abusiva utilizzazione dell’istituto della compensazione di cui al Dlgs. n. 241 del 1997 siccome incentrata sul dato sostanziale ed essenziale della rivendicazione infondata di crediti (perché inesistenti o non spettanti), venendo in rilievo un meccanismo che implica un elevato grado di affidamento nella correttezza del protagonista del versamento, chiamato ad effettuare, tramite la compilazione del modello, l’operazione di calcolo del dovuto (cfr. in tal senso Sez. 3, Sentenza n. 48017 del 2019, Bonetti, non massimata).

Del resto esplicativo è anche il riferimento nella norma alla condotta di “indebita” compensazione, che evidenzia come il disvalore del fatto non si incentri su una “frode” e dunque su una idoneità all’inganno della condotta criminosa quanto piuttosto e, ancor prima, sull’utilizzo strumentale e non consentito, e quindi “indebito”, dell’istituto citato della compensazione, con particolare riferimento alla rivendicazione non ammessa – all’interno del modulo procedurale utilizzato – di crediti, perché inesistenti o non spettanti>.

 

La norma incriminatrice:

Art. 10 quater D.lgs. 74/2000 – Indebita compensazione

È punito con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa le somme dovute, utilizzando in compensazione, ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, crediti non spettanti, per un importo annuo superiore a cinquantamila euro.

È punito con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni chiunque non versa le somme dovute, utilizzando in compensazione, ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, crediti inesistenti per un importo annuo superiore ai cinquantamila euro. 

 

Quadro giurisprudenziale di riferimento:

Cassazione penale sez. III, 03/03/2020, n.13149

La compensazione di cui al reato ex art. 10-quater d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, ricomprende sia quella c.d. verticale, riguardante crediti e debiti per tributi di natura omogenea, sia quella c.d. orizzontale, concernente crediti e debiti di imposta di natura diversa, anche non afferenti alle imposte dirette od all’IVA. (In motivazione, la Corte ha precisato che l’art.10-quater, d.lgs. n.74 del 2000, richiamando espressamente l’art.17, d.lgs. 9 luglio 1997, n.241, risulta applicabile anche alle ipotesi di indebita compensazione tra crediti risultanti da dichiarazioni fiscali ed altre imposte, contributi previdenziali ed assistenziali, premi Inail ed altre somme dovute allo Stato, alle Regioni, agli enti locali od altri enti).

 

Cassazione penale sez. III, 20/06/2019, n.44737

Integra il reato di cui all’art. 10-quater d.lg. 10 marzo 2000 n. 74 il comportamento fraudolento di porre in compensazione, ex art. 17 d.lg. 9 luglio 1997 n. 241, partite debitorie in favore del Fisco con crediti non spettanti o inesistenti. Non è dunque sufficiente a integrare il reato un mancato versamento, ma occorre che lo stesso risulti, a monte, formalmente “giustificato” da una operata compensazione tra le somme dovute all’Erario e crediti verso il contribuente, in realtà non spettanti o inesistenti. Infatti, è proprio la condotta, necessaria, di compensazione a esprimere la componente decettiva o di frode insita nella fattispecie, che rappresenta il quid pluris che differenzia il reato de quo rispetto a una fattispecie di semplice omesso versamento. Di conseguenza il delitto di indebita compensazione si consuma al momento della presentazione dell’ultimo modello F24 relativo all’anno interessato e non in quello della successiva dichiarazione dei redditi, in quanto, con l’utilizzo del modello indicato, si perfeziona la condotta decettiva del contribuente, realizzandosi il mancato versamento per effetto dell’indebita compensazione di crediti in realtà non spettanti in base alla normativa fiscale.

 

Cassazione penale sez. III, 12/09/2018, n.5934

In tema di reato di indebita compensazione di crediti previsto dall’art. 10 quater d.lg. n. 74 del 2000, sotto il profilo soggettivo, l’inesistenza del credito costituisce di per sé, salvo prova contraria, un indice rivelatore della coscienza e volontà del contribuente di bilanciare i propri debiti verso l’Erario con una posta creditoria artificiosamente creata, ingannando il fisco, mentre, nel caso in cui vengano dedotti crediti “non spettanti”, sebbene certi nella loro esistenza e ammontare, occorre provare la consapevolezza da parte del contribuente che il credito non sia utilizzabile in sede compensativa. (Fattispecie in cui era stata operata una compensazione “verticale”, ossia riguardante crediti e debiti afferenti la medesima imposta, realizzata mediante il trascinamento del credito da una dichiarazione annuale all’altra, con un asserito credito di 146 milioni di euro, nella quale la Corte ha ritenuto adeguatamente dimostrato il dolo del reato sulla base della mancata richiesta di rimborso di tale credito, pur di elevatissimo importo, che avrebbe esposto la società a immediati controlli).

 

Cassazione penale sez. III, 21/06/2018, n.43627

In tema di reati tributari, l’utilizzo in compensazione di un credito Iva derivante da una dichiarazione omessa integra il reato di indebita compensazione di crediti inesistenti. Ad affermarlo è la Cassazione che si è pronunciata sul caso di un legale rappresentante di una cooperativa, condannato per omessa presentazione della dichiarazione e indebita compensazione di crediti Iva inesistenti, ex articoli 5 e 10 quater del Dlgs 74/2000, per aver omesso il versamento delle imposte utilizzando un credito Iva scaturente dalla dichiarazione dell’anno precedente non presentata. In particolare, con una interpretazione molto rigida della disciplina, la Corte ha affermato che possono essere utilizzati in compensazione solo i crediti Iva risultanti dalle dichiarazioni e dalle denunce periodiche.

By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA