Scatta il reato di favoreggiamento personale a carico della persona informata sui fatti che rende false dichiarazioni alla P.G. che indaga su un incidente sul lavoro

Si segnala ai lettori del blog la sentenza numero 22253, resa dalla VI Sezione penale della Corte di Cassazione, depositata il 23 luglio 2020, con la quale il Collegio del diritto ha validato in sede di legittimità le decisioni assunte dai giudici di merito che avevano ritenuto responsabile del delitto di favoreggiamento personale un testimone escusso dalla Polizia giudiziaria nella fase delle indagini preliminari a seguito di un incidente sul lavoro.

Secondo quanto è dato ricostruire dalla lettura della sentenza in commento l’imputato avrebbe reso dichiarazioni mendaci sulla dinamica del sinistro al fine di sviare le indagini condotte a carico del datore di lavoro e del responsabile della sicurezza.

 

Il reato contestato e il doppio giudizio di merito

Nel caso di specie all’imputato era contestato il delitto di favoreggiamento personale ex art. 378 c.p., per aver mentito alla P.G., nell’ambito delle indagini a carico del responsabile della sicurezza sul lavoro in ordine all’ipotesi di reato di lesioni colpose, in ordine alle circostanze dell’infortunio sul lavoro subito da un collega e avvenuto in sua presenza.

La Corte di appello di Milano riformava parzialmente, in punto di trattamento sanzionatorio, la sentenza con la quale il locale Tribunale aveva condannato il prevenuto per il reato ascrittogli  confermando il capo con il quale era stata affermata la penale responsabilità.

Il ricorso per cassazione, il giudizio di legittimità e il principio di diritto

La difesa del giudicabile proponeva ricorso per cassazione avverso la decisione della Corte territoriale, deducendo violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla sussistenza del reato di favoreggiamento ed alla  mancata applicazione della causa di non punibilità ex art. 384 c.p., laddove l’agente, secondo la tesi difensiva, avrebbe invece agito poiché spinto dal timore essere licenziato qualora avesse dichiarato agli investigatori il reale svolgimento dei fatti.

La Suprema Corte, nel dichiarare inammissibile il ricorso, si pronuncia sulla riconducibilità della  condotta contestata  al reato contestato; di seguito si riportano i passaggi più significativi tratti dalla parte motiva della sentenza in commento:

<Il primo motivo di ricorso non si attiene alle superiori indicazioni di principio. Non mira, in particolare, a disvelare errori percettivi tali da rendere la motivazione insanabilmente contraddittoria con le premesse fattuali del ragionamento così come illustrate nel provvedimento impugnato; piuttosto, tende a mettere in discussione il significato che i due giudici del merito, conformemente, hanno inteso dare delle risultanze probatorie poste a fondamento del reso giudizio di responsabilità, con l’obiettivo, non consentito, di ottenere dalla Corte una diversa valutazione, sia delle dichiarazioni del [omissis](contestate sotto il versante della credibilità), sia dei colleghi di lavoro dell’imputato, presenti sul cantiere al momento del fatto.

Anche il secondo motivo è inammissibile. In primo luogo perché evocando l’esimente in questione il ricorrente entra in immediato contrasto logico con la prospettiva difensiva sottesa al primo motivo di ricorso, tesa a negare il substrato fattuale a sostegno del contestato favoreggiamento. In secondo luogo perché, come del tutto correttamente segnalato dalla Corte territoriale, il pericolo addotto secondo la prospettiva difensiva offerta in appello (i.e., il pericolo di venire licenziato se avesse detto la verità), non risponde ad una concreta dimostrazione in punto di fatto ma ad una mera suggestione logica, peraltro immediatamente smentita dalla conferma delle dichiarazioni mendaci che hanno concretato il favoreggiamento contestato, ribadite dal ricorrente nel corso del giudizio, allorquando era già stato licenziato da tempo e pur potendo avvalersi della via d’uscita garantita dall’ad 376 cod. pen. Né, infine, vale riferirsi ad una situazione di necessità correlata all’esigenza di sottrarsi a diretti profili di responsabilità, per aver in qualche modo contribuito al sinistro del [omissis]>.

La norma incriminatrice:

Art. 378 c.p. – Favoreggiamento personale

Chiunque, dopo che fu commesso un delitto per il quale la legge stabilisce [la pena di morte o] l’ergastolo o la reclusione, e fuori dei casi di concorso nel medesimo [110], aiuta taluno a eludere le investigazioni dell’Autorità, comprese quelle svolte da organi della Corte penale internazionale, o a sottrarsi alle ricerche effettuate dai medesimi soggetti [418], è punito con la reclusione fino a quattro anni.

Quando il delitto commesso è quello previsto dall’articolo 416-bis, si applica, in ogni caso, la pena della reclusione non inferiore a due anni.

Se si tratta di delitti per i quali la legge stabilisce una pena diversa [307], ovvero di contravvenzioni, la pena è della multa fino a 516 euro.

Le disposizioni di questo articolo si applicano anche quando la persona aiutata non è imputabile [88, 97, 98] o risulta che non ha commesso il delitto [379, 384].

 

Quadro giurisprudenziale di riferimento:

Cassazione penale sez. VI, 29/11/2019, n.51910

In tema di favoreggiamento personale, la causa di esclusione della colpevolezza di cui all’art. 384, comma primo, cod. pen., basata sulla inesigibilità di contegni autolesivi, è applicabile anche quando la situazione di pericolo per la libertà o l’onore proprio o dei propri congiunti sia stata volontariamente cagionata dall’autore del reato, il quale abbia agito per evitare un procedimento penale a proprio carico.

 

Cassazione penale sez. V, 11/10/2019, n.50206

Per la sussistenza dell’elemento soggettivo del delitto di favoreggiamento personale è sufficiente il dolo generico, che consiste nella consapevole determinazione dell’agente di fuorviare, con la propria condotta, le investigazioni dirette all’acquisizione della prova di un delitto o le ricerche poste in essere dalla competente autorità nei confronti del soggetto latitante, a prescindere dalle finalità ulteriori perseguite dall’agente. (In applicazione del principio, la Corte ha annullato con rinvio la decisione del tribunale del riesame che aveva escluso il dolo di favoreggiamento personale, in considerazione dell’ipotetica finalità dell’indagato di ingraziarsi il mafioso, cui aveva rivelato il contenuto di alcune conversazioni intercettate, in modo da ottenere da lui informazioni relative al contesto mafioso di appartenenza, da riferire ad un ufficiale di polizia giudiziaria dal quale sperava di di essere aiutato in funzione della revisione di un processo che lo aveva riguardato).

 

Cassazione penale sez. VI, 24/09/2019, n.44698

In tema di false dichiarazioni al pubblico ministero, il reato di cui all’art. 371-bis c.p. si pone in rapporto di specialità unilaterale per specificazione rispetto al reato di favoreggiamento personale di cui all’art. 378 c.p., pertanto non è configurabile il concorso formale tra le due fattispecie, determinandosi l’assorbimento della meno grave ipotesi di favoreggiamento nel più grave reato di false dichiarazioni. (In motivazione, la Corte ha precisato che entrambe le fattispecie di reato tutelano il regolare svolgimento dell’attività investigativa con la differenza che l’art. 378 c.p. prevede una fattispecie a forma libera, rispetto alla quale l’art. 371-bis c.p. incrimina le condotte che si sostanziano in dichiarazioni false o reticenti rese al pubblico ministero).

By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA