Risponde di diffamazione aggravata e di sostituzione di persona colui che crea falsi profili Facebook di soggetto ignaro offendendone con immagini caricaturali e commenti lesivi l’onore e del decoro

Si segnala ai lettori del blog la sentenza numero 22049.2020, resa dalla V Sezione penale della Corte di Cassazione, con la quale il Collegio del diritto, esprimendosi in merito ad un caso di contestata diffamazione e sostituzione di persona a mezzo Facebook, chiarisce il perimetro punitivo ed i rapporti tra i due delitti commessi a mezzo strumenti informatici, enunciando i principi di diritto secondo i quali ai fini dell’integrazione del reato ex art. 494 c.p. è sufficiente che il soggetto agente operi una illegittima sostituzione della propria all’altrui persona, creando e utilizzando falsi profili Facebook, mentre l’utilizzo di immagini caricaturali rileva ai fini della configurazione del distinto delitto di diffamazione ex art. 595 c.p.

 

I reati contestati e la doppia conforme di merito

Nel caso di specie all’imputato erano contestati i delitti di diffamazione (art.595 c.p.) e di sostituzione di persona (art.494 c.p.), per aver offeso la reputazione del soggetto passivo, creandone profili Facebook associati ad un nome falso, per poi veicolare sulla piattaforma immagini caricaturali ed e messaggi diffamatori resi visibili agli “amici” registrati sul social network

La Corte di appello di Messina confermava la sentenza con la quale il locale Tribunale aveva condannato il prevenuto per i reati ascrittigli.

 

Il ricorso per cassazione, il giudizio di legittimità e il principio di diritto

Il difensore del giudicabile proponeva ricorso per cassazione avverso la decisione resa dalla Corte territoriale, articolando tre motivi di impugnazione.

I Giudici di legittimità, nel dichiarare inammissibile il ricorso, chiariscono i rapporti tra i delitti di diffamazione e sostituzione di persona, in relazione alla fattispecie concretamente contestata di creazione di falsi profili Facebook con l’utilizzo di immagini negative e caricaturali.

Di seguito si riportano i passaggi più significativi tratti dalla parte motiva della pronuncia in commento:

(i) la responsabilità per diffamazione aggravata quando l’offesa è pubblicata sulla bacheca facebook.

“…Pacifico che la diffusione di un messaggio diffamatorio attraverso l’uso di una bacheca “facebook” integra un’ipotesi di diffamazione aggravata ai sensi dell’art. 595, comma terzo, cod. pen., sotto il profilo dell’offesa arrecata “con qualsiasi altro mezzo di pubblicità” diverso dalla stampa, poiché la condotta in tal modo realizzata è potenzialmente capace di raggiungere un numero indeterminato, o comunque quantitativamente apprezzabile, di persone e tuttavia non può dirsi posta in essere “col mezzo della stampa”, non essendo i social network destinati ad un’attività di informazione professionale diretta al pubblico (Sez. 5, n. 4873 del 14/11/2016, dep. 2017, Manduca, Rv. 269090), le doglianze proposte sono altresì manifestamente infondate.

Quanto al requisito della divulgazione, che non sussisterebbe in quanto l’agente avrebbe inviato dei ‘messaggi’ privati, visibili al solo destinatario, la doglianza è manifestamente infondata, essendo stato accertato, anche sulla base dell’acquisizione dei c.d. screenshot, che i messaggi offensivi erano stati divulgati tramite i falsi profili facebook mediante pubblicazione di post visibili ai c.d. “amici” del profilo, e non mediante invio di messaggi privati.

Altrettanto manifestamente infondata è la deduzione con cui si sostiene la configurabilità dell’ingiuria, per essere stati i messaggi inviati direttamente alla persona offesa; oltre a contraddire il tenore del ricorso, che sostiene che il destinatario del messaggio era la sorella della persona offesa, la sentenza impugnata ha al riguardo chiarito che i post offensivi erano stati pubblicati sui profili della sorella e del figlio della persona offesa.

(ii) la sostituzione di persona realizzata tramite la creazione di un falso profilo su social network

 

“…Il secondo motivo è manifestamente infondato, in quanto il reato di sostituzione di persona è integrato da colui che crea ed utilizza un profilo su social network, utilizzando abusivamente l’immagine di una persona del tutto inconsapevole, trattandosi di condotta idonea alla rappresentazione di una identità digitale non corrispondente al soggetto che lo utilizza (Sez. 5, n. 33862 del 08/06/2018, R, non massimata sul punto); secondo quanto precisato da Sez. 5, n. 25774 del 23/04/2014, Sarlo, Rv. 259303, integra il delitto di sostituzione di persona (art. 494 cod. pen.) la condotta di colui che crea ed utilizza un “profilo” su social network, utilizzando abusivamente l’immagine di una persona del tutto inconsapevole, associata ad un “nickname” di fantasia ed a caratteristiche personali negative, e la descrizione di un profilo poco lusinghiero sul “social network” evidenzia sia il fine di vantaggio, consistente nell’agevolazione delle comunicazioni e degli scambi di contenuti in rete, sia il fine di danno per il terzo, di cui è abusivamente utilizzata l’immagine. Ciò posto, non rileva, ai fini dell’integrazione del reato, che, attraverso la sostituzione di persona, sia stata divulgata una “immagine caricaturale” della persona offesa, che rileva ai fini della integrazione, altresì, del reato di diffamazione, essendo sufficiente, per la tipicità del delitto di cui all’art. 494 cod. pen., la illegittima sostituzione della propria all’altrui persona, mediante creazione ed utilizzo di un falso profilo facebook “.

 

Le norme incriminatrici:

Art. 494 c.p. – Sostituzione di persona

Chiunque, al fine di procurare a sé o ad altri un vantaggio o di recare ad altri un danno, induce taluno in errore, sostituendo illegittimamente la propria all’altrui persona, o attribuendo a sé o ad altri un falso nome, o un falso stato, ovvero una qualità a cui la legge attribuisce effetti giuridici, è punito, se il fatto non costituisce un altro delitto contro la fede pubblica, con la reclusione fino ad un anno [496; 1133 c. nav.].

 

Art. 595 c.p. – Diffamazione

Chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo precedente, comunicando con più persone offende l’altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a 1.032 euro.

Se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato, la pena è della reclusione fino a due anni, ovvero della multa fino a 2.065 euro.

Se l’offesa è recata col mezzo della stampa [57-58-bis, 596-bis] o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità [615-bis], ovvero in atto pubblico [2699 c.c.], la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a 516 euro.

Se l’offesa è recata a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, o ad una sua rappresentanza, o ad una Autorità costituita in collegio [342], le pene sono aumentate [64, 596-599].

 

Quadro giurisprudenziale di riferimento:

Cassazione penale sez. V, 19/11/2018, n.3148

A carico di un soggetto che pubblica un “post” su un social network (nella fattispecie Facebook) non si possono porre oneri informativi analoghi a quelli gravanti su di un giornalista professionista, tenuto conto della profonda differenza fra le due figure per ruolo, funzione, formazione, capacità espressive, spazio divulgativo e relativo contesto.

 

Cassazione penale sez. V, 08/06/2018, n.33862

Integra il delitto di sostituzione di persona (art. 494 cod. pen.) la creazione ed utilizzazione di un profilo su social network, utilizzando abusivamente l’immagine di una persona del tutto inconsapevole, trattandosi di condotta idonea alla rappresentazione di una identità digitale non corrispondente al soggetto che lo utilizza (nella specie, l’imputato aveva creato un profilo Facebook apponendovi la fotografia di una persona minorenne per ottenere contatti con persone minorenni e scambio di contenuti a sfondo erotico).

 

Cassazione penale, sez. V, 03/05/2018 , n. 40083

La diffusione di un messaggio diffamatorio attraverso l’uso di una bacheca “facebook” integra un’ipotesi di diffamazione aggravata ai sensi dell’ art. 595, comma terzo, cod. pen. , poiché trattasi di condotta potenzialmente capace di raggiungere un numero indeterminato o comunque quantitativamente apprezzabile di persone.

 

Cassazione penale sez. V, 14/11/2016, n.4873

La pubblicazione di un messaggio diffamatorio sulla bacheca Facebook con l’attribuzione di un fatto determinato configura il reato di cui all’art. 595, commi 2 e 3, c.p. ed è inclusa nella tipologia di qualsiasi altro mezzo di pubblicità e non nella diversa ipotesi del mezzo della stampa giustapposta dal Legislatore nel medesimo comma. Deve, infatti, tenersi distinta l’area dell’informazione di tipo professionale, diffusa per il tramite di una testata giornalistica online, dall’ambito – più vasto ed eterogeneo – della diffusione di notizie ed informazioni da parte di singoli soggetti in modo spontaneo. In caso di diffamazione mediante l’utilizzo di un social network, non è dunque applicabile la disciplina prevista dalla l. n. 47/1948, ed in particolare, l’aggravante ad effetto speciale di cui all’art. 13. L’uso dei social network, e quindi la diffusione di messaggi veicolati a mezzo internet, integra un’ipotesi di diffamazione aggravata con altro mezzo di pubblicità – anziché con il mezzo della stampa – ai sensi dell’art. 595, comma 3,c.p. in quanto rientrante in una categoria più ampia, comprensiva di tutti quei sistemi di comunicazione e, quindi, di diffusione – dai fax ai social media – che, grazie all’evoluzione tecnologica, rendono possibile la trasmissione di dati e notizie ad un consistente numero di persone. In caso di diffamazione mediante l’utilizzo di un social network, non è dunque applicabile la disciplina prevista dalla l. n. 47/1948, ed in particolare, l’aggravante ad effetto speciale di cui all’art. 13.

 

Cassazione penale sez. V, 23/04/2014, n.25774

Integra il reato di sostituzione di persona (art. 494 c.p.), la condotta di colui che crei ed utilizzi un “profilo” su social network, utilizzando abusivamente l’effige di una persona del tutto inconsapevole, al fine di comunicare con altri iscritti e di condividere materiale in rete.

By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA