L’imprenditore che non accantona l’imposta indiretta in previsione della scadenza fiscale commette volontariamente il reato di omesso versamento IVA

Si segnala ai lettori del blog la sentenza numero 23191.2020, resa dalla III Sezione penale della Corte di Cassazione, depositata il 30 luglio 2020, con la quale il Collegio del diritto scrutinando un caso di omesso versamento dell’IVA, torna a pronunciarsi sul tema cruciale per la difesa dell’imputato del dolo richiesto dalla norma incriminatrice per la Suprema corte pacificamente integrato dal mancato accantonamento da parte dell’imprenditore  dell’imposta indiretta  esposta nelle fatture in vista dell’adempimento dell’obbligazione tributaria.

La condotta fiscalmente omissiva legittima, quindi, la confisca per equivalente del profitto pari all’IVA non versata che ha natura sanzionatoria e prescinde dalla prova del vantaggio economici conseguito dal reo.

Il reato contestato e la doppia conforme di merito

Nel caso di specie all’imputata, nella qualità di legale rappresentante della società, era stato contestato il delitto di omesso versamento dell’IVA ex art. 10 ter D.lgs. 74/2000.

La Corte di appello di Milano confermava la sentenza con la quale il locale Tribunale aveva condannato la prevenuta per il reato ascrittole, all’esisto del rito abbreviato condizionato.

 

Il ricorso per cassazione, il giudizio di legittimità e il principio di diritto

La difesa della giudicabile proponeva ricorso per cassazione avverso la decisione della Corte territoriale, articolando tre motivi di impugnazione.

Ai fini del presente commento rivestono maggiore interesse le deduzioni del vizio di motivazione inerente all’affermazione della responsabilità penale dell’imputata (da escludere, secondo la tesi difensiva, in virtù dell’insussistenza del dolo del reato, in ragione della crisi di liquidità in cui versava l’impresa, non imputabile alla prevenuta) e della violazione di legge con riguardo alla confisca per equivalente del profitto del reato tributario (nel caso di specie non applicabile in ragione del mancato conseguimento di un vantaggio economico da parte della giudicabile).

La Suprema corte, dichiara inammissibile il ricorso, e richiama i sedimentati principi di diritto  sul del dolo richiesto per ritenere consumato il reato e sull’istituto della confisca per equivalente.

Di seguito si riportano i passaggi più significativi tratti dal compendio motivazionale della pronuncia in commento:

(i) Il dolo richiesto per il perfezionamento della fattispecie.

<La corte territoriale ha, poi del tutto correttamente, ritenuto che il dolo del reato non era escluso giacché l’imputata aveva omesso l’accantonamento delle somme ricevute e che dovevano essere accantonate in vista dell’adempimento dell’obbligazione tributaria.

La Corte d’appello ha fatto corretta applicazione dello ius receptum di questa Corte e lo ha argomentato in modo congruo e privo di illogicità. Deve rammentarsi che all’imputata è contestato l’omesso versamento dell’iva; il tributo da versare (l’iva) è costituito da una somma che il contribuente ha comunque ricevuto dalla controparte dell’operazione commerciale, e che avrebbe dovuto accantonare in vista della scadenza del debito erariale.

È ben vero che non vi è norma giuridica che imponga di accantonare la somma ricevuta e da versare, e che il reato sussiste allorché, entro il termine per il pagamento dell’acconto per l’anno di imposta successivo, non vengono versate le somme dovute in base alla dichiarazione Iva per l’anno di imposta di riferimento.

Ma certamente la scelta di accantonare la somma, che il contribuente ha ricevuto in controparte dell’operazione commerciale, costituisce scelta prudenziale, nel senso che onera il contribuente del rischio del mancato versamento alla scadenza del termine per l’adempimento dell’obbligazione tributaria, termine che, riferito all’anno di imposta successivo, costituisce il momento consumativo del reato, rispetto al quale sussistono gli elementi soggettivi e oggettivi.

 

(II) La natura sanzionatoria della confisca per equivalente.

<La confisca per equivalente consente di aggredire ugualmente il profitto illecito perché si riferisce al valore illecitamente acquisito. È evidente, quindi, come il nesso eziologico tra i beni oggetto di confisca e il fatto-reato dimostri una tendenza ad allentarsi fino a scomparire, in quanto il provvedimento ablatorio colpisce i beni indipendentemente dal loro collegamento, diretto o mediato, con il reato (Sez. 6, n. 18799 del 06/12/2012, Attianese, Rv. 255164 – 01).

In altri termini, la misura è parametrata al profitto o al prezzo del reato soltanto sotto un profilo quantitativo, sì che l’ablazione va a colpire una parte del patrimonio che, in sé, non ha alcun collegamento con il reato, né alcun rapporto di pertinenzialità con esso (per tutte, Sez. 3, n. 20887 del 15/4/2015, Aumenta, Rv. 263408); è l’imputato che viene ad essere direttamente colpito nelle sue disponibilità economiche, non la cosa in quanto derivante dal reato, dal che il carattere sanzionatorio, comune – “né più, né meno” (Sez. U, Lucci, cit.) – alla pena applicata con la sentenza di condanna e non è richiesta la prova del vantaggio patrimoniale in capo all’imputato il quale è colpito dalla confisca per equivalente.

Proprio le Sezioni Unite Lucci hanno infatti evidenziato, con riguardo alla confisca per equivalente, la funzione sostanzialmente ripristinatoria della situazione economica, modificata in favore del reo dalla commissione del fatto illecito, mediante l’imposizione di un sacrificio patrimoniale di corrispondente valore a carico del responsabile ed è pertanto connotata dal carattere afflittivo e da un rapporto consequenziale alla commissione del reato proprio della sanzione penale, mentre esula dalla stessa qualsiasi funzione di prevenzione che costituisce la finalità principale delle misure di sicurezza, essendo in definitiva la confisca di valore parametrata al profitto o al prezzo dell’illecito solo da un punto di vista “quantitativo”, per cui la stessa non può che essere disposta solo all’esito di un giudizio di condanna, dovendosi appunto declinare la funzione della misura in chiave marcatamente sanzionatoria.

Ciò comporta che ove non sia possibile l’apprensione in via diretta del profitto del reato, come nel caso di società beneficiaria del vantaggio economico derivante dal reato commesso dal suo legale rappresentante, si deve dar corso alla confisca di valore che non richiede il nesso di pertinenzialità tra la cosa e il reato e non richiede, come sostiene la difesa, che si sia verificato un incremento patrimoniale dell’autore del reato. Una volta che si sono materializzati i presupposti di legge della confisca obbligatoria del profitto del reato tributario per equivalente, non è richiesta la dimostrazione né la ricerca del vantaggio in capo all’autore del reato tributario commesso nell’esclusivo vantaggio dell’ente che ne ha beneficiato>.

La fattispecie incriminatrice:

Art. 10 ter D.lgs. 74/2000 – Omesso versamento di IVA

E’ punito con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa, entro il termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo d’imposta successivo, l’imposta sul valore aggiunto dovuta in base alla dichiarazione annuale, per un ammontare superiore a euro duecentocinquantamila per ciascun periodo d’imposta.

 

Quadro giurisprudenziale di riferimento:

Cassazione penale sez. III, 20/06/2019, n.38482

In tema di omesso versamento i.v.a., l’inadempimento della obbligazione tributaria può essere attribuito a forza maggiore solo quando derivi da fatti non imputabili all’imprenditore a cui egli non abbia potuto tempestivamente porvi rimedio per cause indipendenti dalla sua volontà e che sfuggono al suo dominio finalistico. Quindi, se l’omesso versamento è dovuto ad una libera scelta imprenditoriale, non può essere invocata la forza maggiore per escludere la sussistenza del dolo. (Fattispecie in cui l’imputato ha utilizzato il flusso finanziario derivante da una vendita sottocosto di un cespite immobiliare per far fronte alle spese correnti, invece che accantonarlo per il successivo versamento dell’imposta).

 

Cassazione penale sez. III, 01/12/2017, n.29873

Ai fini dell’accertamento del dolo generico del delitto di omesso versamento di IVA di cui all’art. 10-ter del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 occorre ravvisare la concreta possibilità di adempiere il pagamento nei termini di legge, che costituisce il presupposto della sussistenza della volontà del soggetto obbligato di non effettuare il versamento dovuto. (In motivazione la S.C. ha affermato che va escluso il dolo generico nell’ipotesi in cui l’omesso versamento derivi dalla mancanza della necessaria liquidità dovuta al mancato incasso delle fatture emesse con l’addebito d’imposta).

 

Cassazione penale sez. III, 15/04/2015, n.20887

In tema di reati tributari, il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, qualora sia stato perfezionato un accordo tra il contribuente e l’Amministrazione finanziaria per la rateizzazione del debito tributario, non può essere mantenuto sull’intero ammontare del profitto derivante dal mancato pagamento dell’imposta evasa, ma deve essere ridotto in misura corrispondente ai ratei versati per effetto della convenzione, poiché, altrimenti, verrebbe a determinarsi una inammissibile duplicazione sanzionatoria, in contrasto con il principio secondo il quale l’ablazione definitiva di un bene non può mai essere superiore al vantaggio economico conseguito dall’azione delittuosa.

By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA