Le fatture soggettivamente inesistenti non consentono mai la deducibilità dei costi esposti in fattura la cui indicazione nella dichiarazione fiscale è sintomatica del dolo di evasione.
Si segnala ai lettori del blog la sentenza numero 23025/2020 – depositata il 27.09.2020, con la quale la Suprema Corte – III Sezione Penale, chiamata a pronunciarsi in sede cautelare reale su una fattispecie per la quale era stata formulata incolpazione per il reato previsto e punito dall’art. 2 d.lgs 74/2000, censura l’infondatezza del ricorso richiamando il noto orientamento della sezione Tributaria che afferma la indeducibilità dei costi portati dal documento fiscale mendace il cui utilizzo in sede penale è indice di sussistenza del dolo di evasione.
L’imputazione e il doppio grado di giudizio.
Il Tribunale della Libertà di Brescia confermava il decreto di sequestro preventivo emesso dal G.I.P. in sede che aveva attinto il profitto di reato derivante p. e p. dall’art 10-ter d.lgs. 74/2000 per operazioni inesistenti realizzati mediante l’emissione di fatture da parte di società cartiere società cartiere.
Il ricorso ex art. 335 c.p.p.
Avverso il provvedimento emesso dal Collegio cautelare bresciano interponeva ricorso per cassazione la difesa dell’imputato affidando l’impugnazione a tre motivi, uno dei quali censurava il l’insussistenza del reato per avere la società oggetto di indagine effettivamente sostenuto i costi annotati in contabilità ed esposti in dichiarazione.
Il Supremo Collegio ha dichiarato la inammissibilità del ricorso.
Di seguito si riportano i passaggi estratti dal compendio motivazionale della sentenza in commento che affrontano il tema della indeducibilità dei costi indicati nel documento fiscale nell’ipotesi in cui la contestazione penale (provvisoria) censura la natura fittizia del documento fiscale. :
“….in ogni caso, come correttamente osserva il PG, in tema di utilizzazione di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, i costi relativi alle stesse non sono mai deducibili, con la conseguenza che la loro indicazione in dichiarazione configura una finalità di evasione e realizza un corrispondente profitto senza che rilevi in senso contrario la circostanza che, pur avendo sostenuto tali costi nei confronti del soggetto fittiziamente interposto, il destinatario della fattura sia tenuto a corrispondere nuovamente l’Iva al soggetto che ha realmente fornito la prestazione, quale normale conseguenza di ogni interposizione fittizia (Sez. 3, n. 29977 del 12/02/2019 – dep. 09/07/2019, ROMANO VINCENZO, Rv. 276289).
Al riguardo va infatti puntualizzato che l’indeducibilità dei costi documentati da fatture soggettivamente inesistenti, secondo l’interpretazione consolidata della Sezione tributaria questa Corte, dal rilievo che l’intero meccanismo dell’Iva poggia sul presupposto che il tributo sia versato a chi ha eseguito prestazioni imponibili e che a sua volta potrà compensarla con l’Iva corrisposta per l’acquisto di beni e di servizi, non sussistendo alcuna simmetria tra pagamento dell’Iva e diritto al rimborso, stante l’applicabilità dell’imposta alle sole operazioni che oggettivamente e soggettivamente sono comprese nella sfera di operatività del tributo (cfr. Sez. 5 civile, n. 5719 del 12/03/2007, Rv. 596605; Sez. 5, ord. n. 6 ,o Corte di Cassazione – copia non ufficiale 23987 del 13/11/2009, Rv. 610032; Sez. 5 civile, n. 2 735 del 19/01/2010, Rv. 611260).
E poiché l’esposizione di dati fittizi anche solo soggettivamente implica la creazione delle premesse per un rimborso al quale non si ha diritto, deve ribadirsi che la detrazione Iva è ammessa solo in presenza di fatture provenienti dal soggetto che effettua la cessione o la prestazione, senza che possano entrare in gioco quelle emesse da chi non è stato controparte nel rapporto relativo alle operazioni fatturate, indipendentemente dalla circostanza che le medesime fatture costituiscano la “copertura” di prestazioni acquisite da altri soggetti”.
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