D.lgs. 81/2008 e reati di pericolo: non è fatto tenue la condotta del datore di lavoro che viola le prescrizioni del Testo Unico ed adempie successivamente alle prescrizioni impartite dall’Ispettorato del Lavoro.

Si segnala ai lettori del blog la sentenza numero 23184.2020, resa dalla III Sezione penale della Corte di Cassazione, che pronunciatasi su un caso di violazione da parte del datore di lavoro delle prescrizioni dettate dal testo unico in materia di sicurezza sul lavoro, configuranti reati formali e di pericolo, illustra con estrema chiarezza i rapporti tra l’illecito penale consumato, l’adempimento successivo alle prescrizioni impartite dall’Ispettorato del Lavoro, il mancato pagamento dell’oblazione e l’inapplicabilità della causa di non punibilità prevista dall’art.131 bis cod. pen invocata dalla difesa dell’imputato.

Il reato contestato e il giudizio di merito

Nel caso di specie all’imputato era stato contestato il reato di cui agli artt. 122, 159 lett. A) D.lgs. 81/2008, per aver installato un ponteggio per l’intonacatura degli esterni di un fabbricato privo in alcuni punti di parapetti, con i piani di calpestio montati senza l’osservanza dello schema autorizzativo e con i ponti di servizio montati senza il rispetto della distanza dal sottoponte o comunque inclinati, in violazione di quanto prescritto dalla legge

Il Tribunale di Paola condannava il prevenuto per il reato ascrittogli.

 

Il ricorso per cassazione, il giudizio di legittimità e il principio di diritto

La difesa del giudicabile proponeva ricorso per cassazione avverso la decisione di primo grado (inappellabile trattandosi di reato contravvenzionale) articolando due motivi di impugnazione.

Segnatamente, il ricorrente, deduceva la violazione di legge seguente alla mancata applicazione dell’art. 131 bis c.p. relativo alla causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, lamentando che il giudice di merito non avesse considerato l’adempimento da parte del prevenuto delle prescrizioni impartite dall’organo di controllo, né l’assenza di danno o pericolo per i lavoratori.

La Suprema Corte, nel dichiarare inammissibile il ricorso richiama, facendone applicazione al processo scrutinato, i consolidati principi di legittimità in tema di diritto penale della sicurezza sul lavoro, reati di pericolo e causa di non punibilità.

Di seguito si riportano i passaggi più significativi tratti dalla parte motiva della pronuncia in commento:

<Quanto al primo elemento, occorre rilevare che se il pagamento dell’oblazione, cui il contravventore viene ammesso a seguito dell’eliminazione della violazione in conformità alle prescrizioni impartite dallo stesso ispettorato del lavoro che ha constatato l’irregolarità, configura una causa di estinzione del reato, così come previsto dall’art. 24 d. Igs. 758/1994, ne consegue che il mancato pagamento della somma prescritta in sede amministrativa non elimina, per effetto del successivo adempimento, la contravvenzione già perfezionatasi in tutti i suoi elementi costitutivi al momento della constatazione, coincidente con il sopralluogo eseguito nel cantiere dal competente organo di controllo.

Dal momento che la causa di non punibilità è riferibile, essendo l’esclusione della pena rimessa al potere discrezionale del giudice, soltanto a un momento successivo a quello del perfezionamento di tutti gli estremi del reato, per la cui ontologica e giuridica esistenza è necessariamente richiesta la presenza di un fatto tipico, antigiuridico e colpevole, e non anche l’assoggettamento, in concreto, alla sanzione penale di colui che lo ha commesso, ne consegue che il tardivo adempimento alle prescrizioni dell’organo amministrativo resta un post factum del tutto neutro rispetto al disvalore, anche in termini di offensività, dell’illecito penale.

La natura di reato di pericolo presunto rivestita dalla contravvenzione in esame implica infatti una valutazione complessiva della condotta criminosa, sulla base degli elementi indicati dal primo comma dell’art. 133 cod. pen., correlata alla lesione potenziale del bene giuridico tutelato dalla norma penale (la sicurezza sul lavoro) che prenda in esame tutte le peculiarità della fattispecie concreta in termini di possibile disvalore. Disamina questa che è stata puntualmente effettuata dal giudice di merito in relazione al primo indice-requisito, ovverosia alla particolare tenuità dell’offesa, che impone di valutare le modalità della condotta e l’entità del danno o del pericolo, facenti parte dei criteri afferenti alla gravità del reato previsti dal primo comma dell’art. 133: è stata infatti messa in luce la gravità del pericolo cui erano esposti gli operai rinvenuti sul ponteggio, considerata sia l’altezza dello stesso dal suolo (12 metri), sia le pluralità delle violazioni riscontrate nella sua installazione.

Destituita di fondamento è la contestazione difensiva secondo la quale trattandosi di reato di pericolo prontamente sanato dall’imputato, nessun danno sarebbe stato cagionato ai lavoratori dipendenti. Va al riguardo ricordato che per quanto concerne i reati di pericolo la valutazione in ordine all’offesa al bene giuridico protetto va retrocessa al momento della condotta secondo un giudizio prognostico “ex ante”, essendo irrilevante l’assenza in concreto, successivamente riscontrata, di qualsivoglia lesione (Sez. 3, n. 19439 del 17/01/2012, Miotti, Rv. 252908). In questo settore del diritto penale, il compito del giudice di merito si risolve in un accertamento diretto a verificare, specialmente nell’interpretazione dei reati formali e di pericolo presunto, che il fatto di reato abbia effettivamente leso o messo in pericolo il bene o l’interesse tutelato dalla disposizione incriminatrice. Infatti, nei reati di pericolo, l’offesa al bene giuridico protetto si traduce in un nocumento potenziale dello stesso, che viene soltanto minacciato. […] Alla stregua di tali principi, non può ritenersi che, nella specie, il reato sia stato ritenuto integrato nei suoi elementi costitutivi sulla base di una condotta formalmente inosservante ma totalmente inoffensiva, in quanto nelle condotte riscontrate nel caso in esame deve ritenersi contenuto un disvalore tale da concretizzare la messa in pericolo della sicurezza sul lavoro quale bene finale tutelato dalle norme incriminatrici. Non può parlarsi, infatti, di infrazioni aventi natura esclusivamente formale, poiché sicuramente l’inosservanza delle prescrizioni determina situazioni intrinseche di rischio, essendo suscettibili di mettere in pericolo l’incolumità e la stessa vita dei lavoratori che si trovino ad operare in assenza dei necessari presidi di sicurezza>.

 

Quadro giurisprudenziale di riferimento:

Cassazione penale sez. III, 18/01/2018, n.8854

La causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131 bis c.p., può trovare applicazione anche nel caso dell’omessa osservanza delle norme in tema di sicurezza sul lavoro ma, in quanto reato di pericolo presunto o astratto, l’accertamento del giudice deve fondarsi su una valutazione “ex ante” del pericolo.

 

Cassazione penale sez. III, 23/02/2017, n.45940

Il giudizio circa la particolare tenuità del fatto, ai fini dell’applicazione della causa di non punibilità prevista dall’art. 131 bis c.p., dev’essere correlato, quando ci si riferisca a reati di pericolo, ivi compresi quelli di natura omissiva, alla mera lesione potenziale del bene giuridico protetto dalla norma, da valutarsi sulla base dei criteri tutti di cui all’art. 133, comma primo, c.p., nulla rilevando l’eventuale condotta di adeguamento al precetto normativo posta in essere successivamente all’accertamento dell’illecito, rientrando la stessa nelle previsioni di cui al solo comma secondo del citato art. 133 c.p. (Nella specie, in applicazione di tale principio, la Corte ha censurato la sentenza di merito con la quale, in un caso in cui, trattandosi di contravvenzioni per omessa osservanza di norme per la prevenzione di infortuni sul lavoro, la sentenza di merito aveva riconosciuto l’applicabilità dell’art. 131 bis c.p. sulla base, essenzialmente, dell’avvenuta ottemperanza alle prescrizioni impartite, dopo l’accertamento del reato, dall’apposito Servizio di prevenzione e sicurezza negli ambienti di lavoro).

 

Cassazione penale sez. IV, 28/02/2013, n.43987

A prescindere dalla durata e dal tipo di lavoro richiesto, l’imprenditore, ai sensi dell’art. 2087 c.c., ha sempre l’obbligo di adottare tutte le misure che siano necessarie a tutelare l’integrità fisica e morale del lavoratore. Ancor di più, secondo il vigente art. 122 d.lg. n. 81/2008, quando si tratti di «lavori in quota», ossia quelli in cui il lavoratore si trova a svolgere mansioni non ad altezza d’uomo ma ad altezza superiore di metri due dal suolo. La norma, infatti, richiede l’adozione di particolari misure di prevenzione che evitino il rischio di cadute dall’alto.

By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA