Concorre nel reato di dichiarazioni fraudolente mediante artifici il commercialista che invia false dichiarazioni IVA con apposizione di mendace del visto di conformità

Si segnala ai lettori del blog la sentenza numero 26089.2020, depositata il 16.09.2020, resa dalla III Sezione penale della Corte di Cassazione che pronunciatasi in fase cautelare reale in ordine ad un caso di dichiarazioni fraudolente mediante altri artifici, enuncia il principio di diritto secondo il quale l’invio telematico da parte del consulente fiscale e commercialista di false dichiarazione IVA, con apposizione di visto di conformità mendace, configura concorso del professionista nel reato tributario.

I reati contestati e la fase cautelare reale di merito

Nel caso di specie, nell’ambito di un complesso procedimento penale a carico di una pluralità di soggetti per reati tributari, all’indagato, nella veste di consulente fiscale e commercialista delle società indagate, era provvisoriamente contestato il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici ex art. 3 D.lgs. 74/2000.

Il Tribunale del Riesame di Cosenza confermava l’impugnato decreto di sequestro preventivo con il quale il G.i.p. del Tribunale di Paola aveva disposto il sequestro preventivo finalizzato alla confisca di beni e disponibilità finanziarie costituenti profitti dei reati di dichiarazione fraudolenta e indebita compensazione provvisoriamente contestati anche al commercialista.

 

Il ricorso per cassazione, il giudizio di legittimità e il principio di diritto

La difesa del prevenuto proponeva ricorso per cassazione avverso la predetta ordinanza, articolando due motivi di impugnazione.

In particolare il ricorrente deduceva l’insussistenza della fattispecie di dichiarazione fraudolenta in ordine all’elemento materiale della falsa rappresentazione delle scritture contabili (in base alla struttura del reato vigente prima della riforma del 2015).

I Giudici di legittimità, nel rigettare il ricorso, validano le ragioni espresse dal Tribunale delle Libertà sulla ricorrenza del fumus commissi delicti del reato di dichiarazione fraudolenta da ritenersi consumato anche tenendo conto della formulazione precedente alla riforma del 2015 e sul riconosciuto  contributo alla realizzazione dell’illecito da parte del professionista.

Di seguito si riportano i passaggi più significativi tratti dalla parte motiva della decisione in commento:

(i) il concorso del commercialista nel reato tributario

sulla posizione del titolare di uno studio di consulenza fiscale, i giudici cautelari hanno rimarcato la circostanza che il ricorrente ha fornito un apprezzabile contributo al compimento delle attività illecite, avendo lo studio provveduto all’invio telematico delle false dichiarazioni iva, apponendovi un visto di conformità di sicuro mendace, in quanto il professionista incaricato aveva omesso qualsivoglia controllo, non trattenendo peraltro copia della documentazione contabile.

Alla stregua di tali elementi, il Tribunale, condividendo in ciò la valutazione del G.I.P., è dunque pervenuto alla coerente conclusione circa la configurabilità del reato di cui all’art. 3 del d.lgs. n. 74 del 2000 (“dichiarazione fraudolenta mediante altri artifizi”), essendo stata ritenuta ragionevolmente ravvisabile nel caso di specie una infedele asseverazione dei dati, senz’altro qualificabile come mezzo fraudolento idoneo a ostacolare l’accertamento e a indurre in errore l’amministrazione finanziaria, dopo che erano stati indicati nelle dichiarazioni iva elementi attivi per un importo inferiore a quello reale ed elementi passivi fittizi.

(II) la sussistenza del reato oggetto di provvisoria incolpazione:

Ora, se è vero che, come osservato dalla difesa, la riforma del 2015 ha parzialmente modificato la struttura del reato, richiedendosi, per i fatti antecedenti al d. lgs. n. 158 del 2015, anche che le dichiarazioni fraudolente avvenissero “sulla base di una falsa rappresentazione nelle scritture contabili obbligatorie”, è tuttavia altrettanto innegabile che, nel caso di specie, pur a voler riferire tutte le condotte contestate alla versione originaria dell’art. 3, la rilevanza penale dei fatti non appare suscettibile di essere messa in discussione in questa sede, essendo stato comunque sottolineato nel provvedimento impugnato che le dichiarazioni fraudolente per cui si procede, al pari delle indebite compensazioni contestate, si fondavano tutte su una mendace esposizione di dati economici nei bilanci e nelle scritture contabili delle società, il che consente di superare le obiezioni difensive circa la configurabilità del reato contestato, obiezioni sollevate peraltro solo con l’odierno ricorso per cassazione, e non anche dinanzi al Tribunale del Riesame, come sarebbe stato doveroso>.

 

La norma incriminatrice:

Art. 3 D.lgs. 74/2000 – Dichiarazioni fraudolente mediante altri artifici

È punito con la reclusione da quattro a otto anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, indica in una delle dichiarazioni [annuali] relative a dette imposte elementi passivi fittizi.

Il fatto si considera commesso avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti quando tali fatture o documenti sono registrati nelle scritture contabili obbligatorie, o sono detenuti a fine di prova nei confronti dell’amministrazione finanziaria.

Se l’ammontare degli elementi passivi fittizi è inferiore a euro centomila, si applica la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni. 

[Se l’ammontare degli elementi passivi fittizi è inferiore a euro 154.937,07, si applica la reclusione da sei mesi a due anni.]

 

Quadro giurisprudenziale di riferimento:

Cassazione penale sez. III, 29/03/2019, n.28158

Risponde in concorso con il cliente del reato di dichiarazione fraudolenta per utilizzo di fatture false il commercialista che, da precedenti controlli della Guardia di finanza, risulti a conoscenza della falsità dei documenti. La Cassazione ha rigettato il ricorso del professionista che si lamentava dell’assenza di prove relativamente al suo contributo nell’illecito commesso da terzi.

 

Cassazione penale sez. III, 13/03/2019, n.19672

Il rilascio, da parte di professionista abilitato, di un mendace visto di conformità o di un’infedele certificazione tributaria, di cui rispettivamente agli artt. 35 e 36 d.lg. 9 luglio 1997 n. 241, ai fini degli studi di settore, costituisce un mezzo fraudolento, idoneo ad ostacolare l’accertamento e ad indurre l’amministrazione finanziaria in errore, tale da integrare il concorso del professionista nel reato di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici. (In motivazione, la Corte ha precisato che, non trovando applicazione il principio di specialità di cui all’art. 15 c.p., il delitto indicato concorre con lo specifico reato previsto dall’art. 39 d.lg. n. 241 del 1997).

By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA