Decesso del paziente in conseguenza della contrazione dell’infezione nosocomiale: l’onere di provare la sterilità dell’ambiente operatorio grava sulla struttura sanitaria

Si segnala ai lettori del blog l’ordinanza numero 17696.2020, resa dalla III Sezione civile della Corte di Cassazione, che pronunciatasi in merito ad un caso di risarcimento del danno lamentato dai congiunti di una paziente deceduta a seguito di reiterati ricoveri ed interventi chirurgici, chiarisce che nell’ipotesi di decesso correlato a contrazione dell’infezione batterica, trattandosi nella maggior parte di evento non eccezionale ed imprevedibile, grava sulla struttura sanitaria l’onere di provare la sterilità e l’igiene nelle sale operatorie.

 

Il caso clinico, la domanda di risarcimento e il giudizio di merito

Nel caso di specie, la paziente, inizialmente sottoposta ad intervento chirurgico di riduzione e sintesi di una frattura della rotula, veniva nuovamente ricoverata per aver contratto un’infezione da stafilococco aureo che nella allegazione del fatto attoreo ne determinava il decesso.

I congiunti della vittima convenivano in giudizio l’Azienda ospedaliera dinanzi al Tribunale di Torino per ottenere il risarcimento dei danni conseguenti al decesso della paziente per responsabilità dell’ente ospedaliero, per non aver garantito ambienti sterili causa della contrazione dell’infezione e per non aver curato adeguatamente la vittima in occasione del successivo ricovero.

L’azienda ospedaliera si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto della domanda.

La Corte di appello di Torino confermava la sentenza con la quale il locale Tribunale aveva rigettato la domanda attorea.

 

Il ricorso per cassazione, il giudizio di legittimità e il principio di diritto

Uno degli attori proponeva ricorso per cassazione avverso la decisione della Corte territoriale, articolando due motivi di impugnazione.

L’Azienda ospedaliera convenuta resisteva con controricorso.

I Giudici di legittimità, nell’accogliere il ricorso e nell’annullare la sentenza impugnata con rinvio alla Corte territoriale per un nuovo esame, richiamano facendone applicazione al caso di specie  i consolidati principi giurisprudenziali in tema di ripartizione dell’onere della prova circa la responsabilità contrattuale della struttura per inadempimento della prestazione professionale e lesione del diritto alla salute.

Di seguito si riportano i passaggi più significativi tratti dal compendio motivazionale della pronuncia in commento:

<Com’è noto, la giurisprudenza di questa Corte ha in tempi recenti rivisitato alcuni principi in tema di responsabilità professionale medica, di nesso di causalità e di relativo onere della prova.

È stato al riguardo affermato, con un orientamento che può dirsi ormai consolidato, che, ove sia dedotta la responsabilità contrattuale del sanitario per l’inadempimento della prestazione di diligenza professionale e la lesione del diritto alla salute, è onere del danneggiato provare, anche a mezzo di presunzioni, il nesso di causalità fra l’aggravamento della situazione patologica (o l’insorgenza di nuove patologie) e la condotta del sanitario, mentre è onere della parte debitrice provare, ove il creditore abbia assolto il proprio onere probatorio, la causa imprevedibile ed inevitabile dell’impossibilità dell’esatta esecuzione della prestazione.

Ciò sul presupposto che nelle obbligazioni di diligenza professionale sanitaria il danno evento consta della lesione non dell’interesse strumentale alla cui soddisfazione è preposta l’obbligazione, cioè il perseguimento delle leges artis nella cura dell’interesse del creditore, ma del diritto alla salute, che è l’interesse primario presupposto a quello contrattualmente regolato (così, da ultimo, le sentenze 11 novembre 2019, n. 28991 e n. 28992, in linea con la sentenza 26 luglio 2017, n. 18392). Quest’orientamento, al quale l’odierno Collegio intende dare ulteriore continuità, ha posto, in definitiva, regole in tema di onere della prova, le quali assumono rilievo solo nel caso di causa rimasta ignota. Nel caso di cui alla citata sentenza n. 28991, infatti, si era in presenza di una causa di responsabilità professionale nella quale, anche dopo l’espletamento di una c.t.u., pur in presenza di alcuni possibili errori riconducibili ai sanitari, era rimasta incerta la correlazione tra la condotta dei medici e la morte della paziente.

Rileva perciò il Collegio che, a seguito del ricovero della signora [omissis] per l’esecuzione dell’intervento chirurgico alla rotula, gravava sulla struttura sanitaria la relativa responsabilità contrattuale, che esige l’adempimento di una serie di obbligazioni. Tra queste, pacificamente esiste anche l’obbligazione di garantire l’assoluta sterilità non soltanto dell’attrezzatura chirurgica ma anche dell’intero ambiente operatorio nel quale l’intervento ha luogo […]

Ora, che lo stafilococco aureo sia un batterio di frequente (anche se non esclusiva) origine nosocomiale è nozione che questa Corte può dare come pacifica; ed è altrettanto noto che proprio per questa sua frequente origine, lo stafilococco aureo è un batterio particolarmente resistente agli antibiotici, ivi compresi quelli affini alla penicillina. Ciò comporta la necessità, da parte della struttura sanitaria, di una particolare attenzione alla sterilità di tutto l’ambiente operatorio, proprio perché l’insorgenza di un’infezione del genere non può considerarsi un fatto né eccezionale né difficilmente prevedibile.

E l’onere della prova di avere approntato in concreto tutto quanto necessario per la perfetta igiene della sala operatoria è, ovviamente, a carico della struttura. Consegue dal complesso di tali argomenti che, non essendo stata, a quanto risulta, neppure prospettata la possibilità che l’infezione da stafilococco aureo abbia avuto una genesi diversa da quella nosocomiale, deve darsi per accertato, anche se in via presuntiva, che i danneggiati abbiano dimostrato che il contagio sia avvenuto in ospedale, con ogni probabilità in occasione dell’intervento chirurgico del 19 maggio 2009; né la sentenza impugnata sostiene alcunché di diverso su questo punto. Se così è, non assume rilevanza decisiva il problema della correttezza o meno della profilassi antibiotica in relazione al momento dell’intervento (primo motivo); anche dando per assodato ciò che la Corte d’appello afferma – e cioè che le linee guida non impedivano affatto la somministrazione contestuale dei narcotici e dell’antibiotico – resta comunque il dato pacifico che pochi giorni dopo l’intervento l’infezione si manifestò, con tutto quello che ne conseguì. Il che porta a ritenere, almeno a livello indiziario, che qualcosa non era andato a dovere in sala operatoria; e la stessa sentenza in esame riferisce, pur non collegando a tale constatazione alcuna conseguenza, che vi erano state negligenze nella tenuta della cartella clinica, per cui non sembra che l’Azienda ospedaliera abbia dimostrato (come sarebbe stato suo dovere) la regolarità dell’operato dei suoi dipendenti anche in relazione alla sterilizzazione dell’ambiente operatorio. Alla luce della giurisprudenza suindicata, infatti, una volta dimostrata, da parte del danneggiato, la sussistenza del nesso di causalità tra l’insorgere (in questo caso) della malattia ed il ricovero, era onere della struttura sanitaria provare l’inesistenza di quel nesso (ad esempio, dimostrando l’assoluta correttezza dell’attività di sterilizzazione) ovvero l’esistenza di un fattore esterno che rendeva impossibile quell’adempimento ai sensi dell’art. 1218 del codice civile>.

 

Quadro giurisprudenziale di riferimento:

Cassazione civile sez. III, 11/11/2019, n.28991

In tema di inadempimento di obbligazioni di diligenza professionale sanitaria, il danno evento consta della lesione non dell’interesse strumentale alla cui soddisfazione è preposta l’obbligazione (perseguimento delle “leges artis” nella cura dell’interesse del creditore) ma del diritto alla salute (interesse primario presupposto a quello contrattualmente regolato); sicché, ove sia dedotta la responsabilità contrattuale del sanitario per l’inadempimento della prestazione di diligenza professionale e la lesione del diritto alla salute, è onere del danneggiato provare, anche a mezzo di presunzioni, il nesso di causalità fra l’aggravamento della situazione patologica (o l’insorgenza di nuove patologie) e la condotta del sanitario, mentre è onere della parte debitrice provare, ove il creditore abbia assolto il proprio onere probatorio, la causa imprevedibile ed inevitabile dell’impossibilità dell’esatta esecuzione della prestazione.

 

Cassazione civile sez. III, 11/11/2019, n.28992

Ove sia dedotta la responsabilità contrattuale del sanitario per l’inadempimento della prestazione di diligenza professionale e la lesione del diritto alla salute, è onere del danneggiato provare, anche a mezzo di presunzioni, il nesso di causalità fra l’aggravamento della situazione patologica, o l’insorgenza di nuove patologie, e la condotta del sanitario, mentre è onere della parte debitrice provare, ove il creditore abbia assolto il proprio onere probatorio, che una causa imprevedibile ed inevitabile ha reso impossibile l’esatta esecuzione della prestazione.

 

Cassazione civile sez. III, 26/07/2017, n.18392

In tema di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria, incombe sul paziente che agisce per il risarcimento del danno l’onere di provare il nesso di causalità tra l’aggravamento della patologia (o l’insorgenza di una nuova malattia) e l’azione o l’omissione dei sanitari, mentre, ove il danneggiato abbia assolto a tale onere, spetta alla struttura dimostrare l’impossibilità della prestazione derivante da causa non imputabile, provando che l’inesatto adempimento è stato determinato da un impedimento imprevedibile ed inevitabile con l’ordinaria diligenza. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la sentenza di merito, che aveva rigettato la domanda di risarcimento del danno proposta dalla vedova di un paziente deceduto, per arresto cardiaco, in seguito ad un intervento chirurgico di asportazione della prostata cui era seguita un’emorragia, sul rilievo che la mancata dimostrazione, da parte dell’attrice, della riconducibilità eziologica dell’arresto cardiaco all’intervento chirurgico e all’emorragia insorta, escludeva in radice la configurabilità di un onere probatorio in capo alla struttura).

 

Cassazione civile sez. III, 14/06/2007, n.13953

II chirurgo risponde del danno patito dalla paziente in conseguenza di una infezione batterica dovuta alla imperfetta sepsi degli strumenti chirurgici, a nulla rilevando che l’incarico di sterilizzazione non gravasse su di lui direttamente ma sul personale sanitario, in quanto il chirurgo medesimo è tenuto a rispondere ex art. 1228 c.c. dell’operato delle persone di cui si avvale.

By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA