Non si applica la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto alla truffa commessa dall’infermiere che reiteratamente attesta uno stato di servizio non rispondente al vero

Si segnala ai lettori del blog la sentenza numero 23354.2020, resa dalla II Sezione penale della Suprema Corte, che pronunciatasi in merito ad un caso di truffa ai danni dello Stato commessa da un professionista sanitario dipendente della ASL, si è espressa in ordine alla struttura e al raggio applicativo della fattispecie incriminatrice ed alla compatibilità o meno del reato continuato con la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto invocata dalla difesa dell’imputato.

Il reato contestato e il doppio giudizio di merito

Nel caso di specie all’imputato, nella qualità di infermiere dipendente della ASL, veniva contestato il delitto di truffa ai danni dello Stato, per aver attestato falsamente in più occasioni, orari e turni di lavoro a lui assegnati, indotto in errore l’amministrazione circa l’effettività e regolarità del relativo svolgimento del servizio e percepito emolumenti non spettanti.

La Corte di appello di L’Aquila, in parziale riforma della sentenza resa dal Tribunale di Lanciano, confermava la condanna inflitta al prevenuto per il reato ascrittogli.

Il ricorso per cassazione, il giudizio di legittimità e il principio di diritto

La difesa del giudicabile proponeva ricorso per cassazione avverso la decisione resa dalla Corte territoriale, articolando due motivi di impugnazione.

In particolare il ricorrente censurava la violazione di legge con riferimento all’art. 640 c.p., in ragione dell’insussistenza di un pregiudizio economicamente apprezzabile per la parte offesa necessario per configurare la truffa, nonché per la mancata applicazione dell’art. 131 bis c.p., per non aver riconosciuto la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, ritenuta dai giudici del merito incompatibile con l’istituto del reato continuato

La Suprema Corte, nel dichiarare inammissibile il ricorso, ha enunciato i seguenti principi di diritto:

(i) La configurazione del reato di truffa anche se il profitto corrisponde solo ad una parte della retribuzione mensile.

Con motivazione immune da vizi di logici, i giudici di merito, con cd. doppia conforme (pronuncia di condanna), hanno accertato l’esistenza della truffa in ragione anche del danno procurato all’amministrazione sanitaria consistito non già nel disservizio ma nella percezione di retribuzione relativa a frazioni temporali distolte dal servizio e destinate ad interessi personali, senza possibilità di autocompensazione da parte dello stesso dipendente con opposte pretese nei confronti della Asl (recupero ore, agevolazioni ex lege 104/1992), non comunicate all’ente datore di lavoro. Con tali argomentazioni il ricorrente non si confronta in termini critici, insistendo nell’insussistenza di una danno economicamente apprezzabile. Se è vero che la falsa attestazione del pubblico dipendente relativa alla sua presenza in ufficio, riportata sui cartellini marcatempo o nei fogli di presenza, integra il reato di truffa aggravata ove il soggetto si allontani senza far risultare, mediante timbratura del cartellino o della scheda magnetica, i periodi di assenza, sempre che questi ultimi siano economicamente apprezzabili, è altresì indubbio che anche una indebita percezione di poche centinaia di euro, corrispondente alla porzione di retribuzione conseguita in difetto di prestazione lavorativa, costituisce un danno economicamente apprezzabile per l’amministrazione pubblica (in termini Cass. sez. 5, sent. n. 8426 del 17/12/2013 – dep. 21/02/2014 – Rv. 258987).

Nel caso di specie, con accertamento in fatto insuscettibile di verifica in sede di legittimità, il danno è stato quantificato in mille euro, a fronte, nel breve periodo di osservazione, di assenze reiterate dal lavoro, ancorchè singolarmente contenute nei tempi.

 

(ii) La inapplicabilità della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto.

Il secondo motivo è manifestamente infondato in quanto la Corte territoriale non ha escluso l’applicazione dell’istituto di cui all’art. 131 bis cod. pen. per la riscontrata sussistenza del reato continuato; al contrario, ha effettuato una valutazione che prescinde da automatismi, allineandosi all’indirizzo giurisprudenziale secondo cui la continuazione non si identifica automaticamente con l’abitualità nel reato, ostativa al riconoscimento del beneficio, non individuando comportamenti di per se stessi espressivi del carattere seriale dell’attività criminosa e dell’abitudine del soggetto a violare la legge. Il giudice di appello ha infatti ritenuto “il ripetuto verificarsi degli episodi, anche se singolarmente di scarsa valenza criminale”, esplicativi di “una propensione nel delinquere indicativa di un modus operandi ormai consolidato da parte dell’imputato, incompatibile con un giudizio di particolare tenuità dell’offesa in tal modo arrecata”, con una valutazione quindi attinente al caso concreto ed alle modalità dell’azione delittuosa reiterata nel tempo.

La norma incriminatrice:

Art. 640 c.p. – Truffa

Chiunque, con artifizi o raggiri, inducendo taluno in errore, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da 51 euro a 1.032 euro [3812i, 3, 4 c.p.p.].

La pena è della reclusione da uno a cinque anni e della multa da 309 euro a 1.549 euro [3812i, 3, 4 c.p.p.]:

1) se il fatto è commesso a danno dello Stato o di un altro ente pubblico (1) o dell’Unione europea o col pretesto di far esonerare taluno dal servizio militare [162c.p.m.p.];

2) se il fatto è commesso ingenerando nella persona offesa il timore di un pericolo immaginario o l’erroneo convincimento di dovere eseguire un ordine dell’Autorità [649].

2-bis) se il fatto è commesso in presenza della circostanza di cui all’articolo 61, numero 5).

Il delitto è punibile a querela della persona offesa [120], salvo che ricorra taluna delle circostanze previste dal capoverso precedente o la circostanza aggravante prevista dall’articolo 61, primo comma, numero 7. 

Quadro giurisprudenziale di riferimento:

Cassazione penale sez. VI, 19/12/2019, n.6550

La causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto prevista dall’art. 131-bis c.p. non può essere dichiarata in presenza di più reati legati dal vincolo della continuazione, specie se consumati in un significativo arco temporale, in quanto anche il reato continuato configura un’ipotesi di “comportamento abituale”, ostativo al riconoscimento del beneficio (fattispecie relativa all’uso abusivo di una linea telefonica protrattosi per due anni).

Cassazione penale sez. III, 20/11/2018, n.16502

Il vincolo della continuazione nel reato non è incompatibile con l’esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, nel caso in cui si tratti di più azioni commesse nelle medesime circostanze di tempo e di luogo e nei confronti della stessa persona.

Cassazione penale sez. II, 28/05/2019, n.29628

La falsa attestazione del dirigente medico relativa alla sua presenza in ufficio, direttamente incidente sull’ammontare del c.d. “monte ore” in eccedenza, integra il reato di truffa ai danni dell’ente pubblico a prescindere dalla non remunerabilità di detto “monte ore”, poiché, mediante il sistema dei recuperi orari, ne deriva un danno immediato e diretto per la pubblica amministrazione conseguente alla mancata prestazione del servizio da parte del dipendente pubblico, considerato che l’amministrazione viene privata di prestazioni lavorative aventi contenuto patrimoniale, anche a carattere organizzativo, con ricadute sulla continuità ed efficienza del servizio.

Cassazione penale sez. V, 17/12/2013, n.8426

La falsa attestazione del pubblico dipendente relativa alla sua presenza in ufficio, riportata sui cartellini marcatempo o nei fogli di presenza, integra il reato di truffa aggravata ove il soggetto si allontani senza far risultare, mediante timbratura del cartellino o della scheda magnetica, i periodi di assenza, sempre che questi ultimi siano economicamente apprezzabili. (In motivazione, la Corte ha affermato che anche una indebita percezione di poche centinaia di euro, corrispondente alla porzione di retribuzione conseguita in difetto di prestazione lavorativa, costituisce un danno economicamente apprezzabile per l’amministrazione pubblica).

By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA