Frode informatica e riciclaggio: ai fini della configurazione del reato di riciclaggio è sufficiente accertare la provenienza delittuosa del denaro riciclato a prescindere dalla qualificazione giuridica del reato presupposto consumato all’estero
Si segnala ai lettori del blog la sentenza numero 23679.2020, resa dalla II Sezione penale della Corte di Cassazione, pronunciatasi in merito ad un caso di riciclaggio di somme di denaro provento dei reati di frode informatica.
La Suprema Corte, nella sentenza in commento, afferma il principio secondo il quale è pacificamente ammesso che i reati presupposto possano essere interamente consumati all’estero statuendo, altresì, l’irrilevanza della qualificazione del crimine come delitto o contravvenzione secondo la legge straniera.
I reati contestati e il doppio giudizio di merito
Nel caso di specie agli imputati erano stati contestati i delitti di associazione a delinquere e riciclaggio, per aver riciclato somme di denaro provenienti da reati di frode informatica e truffa, realizzati attraverso la negoziazione di assegni contraffatti e il compimento di operazioni bancarie sul circuito di money transfer finalizzate ad ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa del denaro.
La Corte di appello di Brescia riformava parzialmente la sentenza con la quale il Giudice per l’udienza preliminare presso il locale Tribunale, all’esito del giudizio abbreviato, aveva condannato i prevenuti per i reati loro ascritti alla pena ritenuta di giustizia.
Il ricorso per cassazione, il giudizio di legittimità e il principio di diritto
Il difensore dei giudicabili proponeva ricorso per cassazione avverso la decisione di secondo grado, articolando come unico motivo di gravame la violazione di legge in ordine alla ritenuta configurazione del reato di riciclaggio e del concorso tra tale delitto e quello di associazione a delinquere.
In particolare, ai fini del presente commento riveste maggiore interesse la deduzione relativa alla sussistenza del reato di riciclaggio, contestata dalla difesa secondo la quale la Corte territoriale avrebbe dovuto individuare specificamente quali fossero i reati presupposto del delitto di riciclaggio interamente consumati all’estero e dar conto della relativa qualificazione giuridica secondo il diritto americano, poiché laddove si trattasse di contravvenzioni, il reato previsto e punito dall’art. 648 bis cod. pen. non potrebbe configurarsi, mancando il presupposto della commissione di un delitto.
La Suprema Corte nel dichiarare inammissibili i ricorsi, richiama i principi i passaggi più significativi tratti dalla parte motiva della pronuncia in commento:
<Deve sul punto essere innanzitutto ricordato che l’affermazione di responsabilità per il delitto di riciclaggio non richiede l’accertamento dell’esatta tipologia del delitto non colposo presupposto e, in particolare, la precisa identificazione del soggetto passivo, essendo sufficiente la prova logica della provenienza delittuosa delle utilità oggetto delle operazioni compiute, anche se il delitto presupposto sia delineato per sommi capi quanto alle esatte modalità di commissione (Cass. sez. 2, sent. n. 546 del 07/01/2011, Berruti, Rv. 249444).
Nel caso in esame dalle motivazioni delle sentenze di merito emerge che il denaro riciclato dagli odierni imputati era provento di attività di deposito nelle singole banche nordamericane di assegni contraffatti apparentemente emessi da società primarie e che venivano posti all’incasso con modalità truffaldine.
La difesa dei ricorrenti non contesta tale costruzione dei fatti che, indubbiamente, secondo la legge italiana costituiscono delitti e che quindi ben possono costituire il presupposto del reato di riciclaggio. La qualificazione di tali azioni, comunque penalmente rilevanti anche secondo la legge americana, non rileva in quanto non è neppure dato sapere se la normativa di quel Paese distingue – come la legge italiana – tra “delitti” e “contravvenzioni” e la difesa dei ricorrenti si limita ad una affermazione ipotetica sul punto non supportata da idonea documentazione o da idonei riferimenti.
È poi pacifico nella giurisprudenza di questa Corte di legittimità che il reato presupposto di quello di riciclaggio può essere anche commesso all’estero (ex multis, Cass. Sez. 2, n. 42120 del 09/10/2012, Scimone, Rv. 253830)>.
La norma incriminatrice:
Art. 648 bis c.p. – Riciclaggio
Fuori dei casi di concorso nel reato, chiunque sostituisce o trasferisce denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto non colposo, ovvero compie in relazione ad essi altre operazioni, in modo da ostacolare l’identificazione della loro provenienza delittuosa, è punito con la reclusione da quattro a dodici anni e con la multa da 5.000 euro a 25.000 euro.
La pena è aumentata [64] quando il fatto è commesso nell’esercizio di un’attività professionale.
La pena è diminuita [65] se il denaro, i beni o le altre utilità provengono da delitto per il quale è stabilita la pena della reclusione inferiore nel massimo a cinque anni.
Si applica l’ultimo comma dell’articolo 648.
Quadro giurisprudenziale di riferimento:
Cassazione penale sez. V, 18/01/2018, n.5459
Ai fini della configurabilità del reato di riciclaggio non sono richiesti l’esatta individuazione e l’accertamento giudiziale del delitto presupposto, essendo sufficiente che lo stesso risulti, alla stregua degli elementi di fatto acquisiti e interpretati secondo logica, almeno astrattamente configurabile.
Cassazione penale sez. II, 09/10/2012, n.42120
In tema di riciclaggio, può fungere da reato presupposto anche l’illecito fiscale commesso all’estero e penalmente rilevante per l’ordinamento dello Stato straniero.
Cassazione penale sez. II, 17/11/2009, n.49427
L’illecito fiscale penalmente rilevante per l’ordinamento del paese straniero nel cui territorio viene integralmente consumato può costituire il reato presupposto necessario per la configurabilità del delitto di riciclaggio dei relativi proventi commesso successivamente nel territorio italiano.
By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA