Non può rispondere di omicidio volontario con dolo eventuale il naturopata che curi la paziente affetta da cancro con una terapia a base di diete e fanghi

Si segnala ai lettori del blog la sentenza numero 26951.2020, resa dalla I Sezione penale della Corte di Cassazione, pronunciatasi su una contestazione del reato di omicidio volontario al naturopata che ha prescritto alla paziente affetta da cancro una terapia a base di diete e fanghi, si sofferma sul tema della configurazione dell’elemento psicologico del delitto, dato dal dolo eventuale, delineandone le caratteristiche elaborate dalla giurisprudenza di legittimità e le differenze rispetto alla colpa cosciente.

Alla luce di tale ricostruzione, secondo la Suprema Corte, l’adesione del naturopata ad un orientamento culturale che considera la naturopatia come scienza non complementare, ma alternativa alla medicina e la conseguente mancanza di conoscenze mediche tali da prevedere il rischio di decesso cui andava incontro la vittima, sono tali da escludere la configurazione del dolo eventuale in suo capo, traducendosi esso nella accettazione di un evento definito e concreto che deve essere stato ponderato dal soggetto agente come costo dell’azione realizzata per conseguire il fine perseguito.

 

Il caso clinico, il reato contestato e la doppia conforme di merito

Nel caso di specie la vittima, alla quale era stato diagnosticato un sospetto tumore maligno al seno, iniziava una terapia a base di diete e applicazioni di terre, fanghi e decotti naturali, prescritta dal naturopata – che distoglieva la donna dal seguire terapie oncologiche – con conseguente decesso dovuto all’aggravarsi delle condizioni della paziente a causa della malattia neoplastica.

Al naturopata che aveva consigliato la terapia alternativa rispetto ai protocolli validati scientificamente veniva contestato il delitto di omicidio volontario, aggravato dall’aver profittato delle condizioni di minorata difesa della vittima e dal perseguimento di obiettivi abietti.

La Corte di assise di appello di Bologna confermava la sentenza con la quale il Primo giudice aveva dichiarato di non doversi procedere nei confronti del prevenuto, in ragione dell’estinzione del reato per intervenuta prescrizione inquadrato con la doppia conforme nel reato previsto e punito  dall’art. 586 cod. pen., quale morte come conseguenza di altro reato, segnatamente l’esercizio abusivo della professione ex art. 348 cod. pen

Il ricorso per cassazione, il giudizio di legittimità e il principio di diritto

Il Procuratore Generale presso la Corte di assise di appello di Bologna e il difensore della costituita parte civile proponevano ricorso per cassazione avverso la decisione di secondo grado, entrambi deducendo il vizio di motivazione della sentenza, sotto plurimi profili.

La Suprema Corte, nel rigettare il ricorso, ricostruisce la struttura del dolo eventuale argomentazioni validando le argomentazioni dei giudici del merito in ordine che concordemente avevano escluso la possibilità di ravvisare gli estremi del dolo eventuale nella condotta posta in essere dal giudicabile.

Di seguito si riportano i passaggi più significativi tratti dal compendio motivazionale della pronuncia in commento:

<Dunque, mentre nella colpa cosciente il soggetto ha previsto l’evento, come conseguenza della condotta, ma ha agito nella convinzione del suo non verificarsi, dato che se fosse stato certo del verificarsi non avrebbe agito, nel dolo eventuale ha previsto l’evento ed ha agito anche a costo di cagionare l’evento. Per la configurabilità del dolo eventuale, occorre, dunque, la dimostrazione che l’agente si sia confrontato con la specifica categoria di evento che si è verificata nella fattispecie concreta (rappresentata, nel caso in esame, dalla morte del paziente come conseguenza del ritardo nell’accesso alle terapie oncologiche), aderendo psicologicamente ad essa; il momento volontaristico, consistente nella determinazione di aderire all’evento oggetto di rappresentazione, costituisce – anche nel dolo eventuale – una componente fondamentale dell’atteggiamento psichico dell’agente, nel senso che il dolo eventuale implica non già la semplice accettazione di una situazione di rischio, ma l’accettazione di un evento definito e concreto, che deve essere stato ponderato dall’autore del reato come costo (accettato) dell’azione realizzata per conseguire il fine perseguito.

 

Le sentenze di merito hanno escluso la sussistenza del dolo di omicidio sul rilievo che l’imputato, pur a conoscenza della diagnosi oncologica, non fosse in grado, per assenza di cognizioni mediche, di rendersi conto della gravità della diagnosi iniziale, né del processo di aggravamento della patologia e quindi del carattere necessario ed indifferibile delle terapie mediche, e non fosse consapevole della completa adesione della donna alle sue indicazioni.

È stato quindi escluso il presupposto rappresentativo del dolo, la consapevolezza della probabilità che l’evento morte si verificasse come conseguenza del ritardo nell’accesso alle terapie mediche. Di converso, l’elemento colposo – violazione delle norme cautelari – è stato ravvisato proprio nel processo rappresentativo concernente la gravità della diagnosi oncologica e nella relazione istaurata con la persona offesa: l’imputato, privo di abilitazione professionale come medico e privo di competenze mediche, aveva prescritto una terapia della patologia tumorale non riconosciuta dalla scienza medica. I motivi in esame riguardano la motivazione del giudizio in ordine alla assenza di consapevolezza del livello di gravità della patologia e del grado di affidamento riconosciuto dalla vittima all’imputato.

La motivazione del giudizio sull’elemento psicologico del reato, e quindi sulla esclusione del dolo di omicidio resiste, dunque, ai rilievi critici formulati dalle parti ricorrenti. Non solo il giudizio sulla mancata rappresentazione, da parte dell’imputato, della elevata probabilità del verificarsi della morte come conseguenza del ritardo nell’accesso alle terapie della scienza medica, è stato adeguatamente motivato sulla base della assenza di conoscenze mediche, nemmeno generiche, da parte dell’imputato, ma anche il giudizio sulla non volontà dell’evento è stato, congruamente, collegato all’adesione, da parte dell’imputato, all’orientamento che considera la naturopatia come alternativa, e non complementare, alla scienza medica.

Si tratta, in definitiva, di un orientamento culturale che integra, nel momento in cui assume la gestione di una condizione patologica, la colpa, ma che è, di per sé, incompatibile con la volontà di cagionare la morte del paziente. Con riferimento ai fini della condotta dell’imputato, la sentenza di primo grado ha dato atto della natura onerosa delle prestazioni erogate dall’imputato, ma non è stata prospettata alcuna finalità così significativa per l’imputato da caratterizzare la valutazione del rischio – morte come un “costo” da sopportare in funzione del fine perseguito>.

By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA