La responsabilità penale del prestanome nella bancarotta fraudolenta documentale discende dalla violazione dei doveri di vigilanza e controllo connessi alla accettazione della carica

Si segnala ai lettori del blog la sentenza numero 28372.2020, depositata il 12 ottobre 2020, resa dalla V Sezione penale della Corte di Cassazione, pronunciatasi su un caso di bancarotta fraudolenta documentale contestata all’amministratore di diritto della società fallita.

In particolare, la Suprema Corte, con la pronuncia in commento ha deciso il processo sottoposto allo scrutinio di legittimità aderendo all’orientamento dominante secondo il quale, ai fini dell’affermazione della responsabilità della “testa di legno” per il reato fallimentare, occorre che sia dimostrata l’assunzione formale della carica di amministratore della fallita (fonte diretta dell’obbligo di controllo sulle scritture contabili), nonché l’effettiva e concreta consapevolezza dello stato dei documenti contabili, tenuti in guisa tale da impedire la ricostruzione del movimento degli affari (dolo generico), ovvero in modo tale da procurare un ingiusto profitto nell’ipotesi (dolo specifico).

 

Il reato contestato e il doppio giudizio di merito.

Nel caso di specie all’imputato, nella veste di amministratore unico della società, erano stati  contestati i delitti di bancarotta fraudolenta documentale e patrimoniale.

La Corte di appello di Roma, in riforma della sentenza di primo grado resa dal Tribunale di Civitavecchia, assolveva il prevenuto dal reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, confermando la condanna solo per la bancarotta documentale.

 

Il ricorso per cassazione, il giudizio di legittimità e il principio di diritto.

La difesa del giudicabile proponeva ricorso per cassazione avverso la decisione della Corte territoriale, articolando due motivi di impugnazione.

In particolare, per quanto qui di interesse, il ricorrente deduceva il vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza della componente psicologica del reato fallimentare in capo all’imputato, il quale, secondo la tesi difensiva, si limitava a svolgere la funzione di prestanome e come tale non poteva conoscere lo stato delle scritture contabili.

La Suprema Corte annulla la sentenza impugnata limitatamente alle pene accessorie con rinvio ad altra sezione della Corte capitolina per la loro determinazione, rigettando nel resto il ricorso.

Di seguito si riportano i passaggi più significativi tratti dalla parte motiva della pronuncia in commento in linea con principi già sedimentati intorno alla responsabilità dell’amministratore di diritto e gli obblighi su di lui gravanti:

<In una prospettiva tesa a giustificare l’affermazione di responsabilità dell’amministratore/”testa di legno” per il fatto di bancarotta fraudolenta documentale solo in presenza di indici “individualizzanti” che escludano approcci ricostruttivi di tipo presuntivo, la recente giurisprudenza di legittimità ha richiamato adesivamente il principio di diritto affermato da Sez. 5, n. 44293 del 17/11/2005, secondo cui, in tema di bancarotta fraudolenta documentale, la responsabilità dell’amministratore, che risulti essere stato soltanto un prestanome, nasce dalla violazione dei doveri di vigilanza e di controllo che derivano dalla accettazione della carica, cui però va aggiunta la dimostrazione non solo astratta e presunta ma effettiva e concreta della consapevolezza dello stato delle scritture, tale da impedire la ricostruzione del movimento degli affari o, per le ipotesi con dolo specifico, di procurare un ingiusto profitto a taluno.

In questa prospettiva, si è dunque ribadito che l’amministratore di diritto risponde del reato di bancarotta fraudolenta documentale anche se sia investito solo formalmente dell’amministrazione della società fallita (cosiddetta “testa di legno”), in quanto sussiste il diretto e personale obbligo dell’amministratore di diritto di tenere e conservare le scritture sociali, purché sia fornita la dimostrazione della effettiva e concreta consapevolezza del loro stato, tale da impedire la ricostruzione del movimento degli affari (Sez. 5, n. 43977 del 14/07/2017; conf., ex plurimis, Sez. 5, n. 642 del 30/10/2013, dep. 2014, Sez. 5, n. 40176 del 02/07/2018, Sez. 5, n. 40487 del 28/05/2018, Bruccoleri; Sez. 5, 53718 del 02/10/2018, Novelli).

La sentenza impugnata ha fatto buon governo dei princìpi di diritto richiamati, argomentando l’effettiva e concreta consapevolezza in capo all’imputato del fatto di bancarotta documentale sulla base di plurimi elementi, quali l’assunzione della carica amministrativa della società quando la stessa era ormai in grave stato di dissesto, il mancato svolgimento di qualsiasi attività gestoria, l’irreperibilità successivamente al fallimento; elementi, questi, alla luce dei quali la Corte distrettuale ha argomentato, in termini esenti da vizi logici, la consapevolezza del ricorrente circa la grave carenza documentale integrante il fatto di bancarotta contestato.

La norma incriminatrice:

Art. 216 legge fallimentare – Bancarotta fraudolenta

È punito con la reclusione da tre a dieci anni, se è dichiarato fallito, l’imprenditore, che:

1) ha distratto, occultato, dissimulato, distrutto o dissipato in tutto o in parte i suoi beni ovvero, allo scopo di recare pregiudizio ai creditori, ha esposto o riconosciuto passività inesistenti;

2) ha sottratto, distrutto o falsificato, in tutto o in parte, con lo scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizi ai creditori, i libri o le altre scritture contabili o li ha tenuti in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari.

La stessa pena si applica all’imprenditore, dichiarato fallito, che, durante la procedura fallimentare, commette alcuno dei fatti preveduti dal n. 1 del comma precedente ovvero sottrae, distrugge o falsifica i libri o le altre scritture contabili.

È punito con la reclusione da uno a cinque anni il fallito, che, prima o durante la procedura fallimentare, a scopo di favorire, a danno dei creditori, taluno di essi, esegue pagamenti o simula titoli di prelazione.

Salve le altre pene accessorie, di cui al capo III, titolo II, libro I del codice penale, la condanna per uno dei fatti previsti nel presente articolo importa per la durata di dieci anni l’inabilitazione all’esercizio di una impresa commerciale e l’incapacità per la stessa durata ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa.

 

Quadro giurisprudenziale di riferimento:

Cassazione penale sez. V, 14/07/2017, n.43977

In tema di reati fallimentari, l’amministratore di diritto risponde del reato di bancarotta fraudolenta documentale per sottrazione o per omessa tenuta, in frode ai creditori, delle scritture contabili anche se sia investito solo formalmente dell’amministrazione della società fallita (cosiddetta testa di legno), in quanto sussiste il diretto e personale obbligo dell’amministratore di diritto di tenere e conservare le predette scritture, purché sia fornita la dimostrazione della effettiva e concreta consapevolezza del loro stato, tale da impedire la ricostruzione del movimento degli affari.

 

Cassazione penale sez. V, 30/10/2013, n.642

In tema di reati fallimentari, l’amministratore di diritto risponde del reato di bancarotta fraudolenta documentale per sottrazione o per omessa tenuta, in frode ai creditori, delle scritture contabili, anche laddove sia investito solo formalmente dell’amministrazione della società fallita (cosiddetta testa di legno), in quanto sussiste il diretto e personale obbligo dell’amministratore di diritto di tenere e conservare le predette scritture, purché sia fornita la dimostrazione della effettiva e concreta consapevolezza del loro stato, tale da impedire la ricostruzione del movimento degli affari.

 

Cassazione penale sez. V, 17/11/2005, n.44293

In tema di bancarotta fraudolenta documentale, la responsabilità dell’amministratore, che risulti essere stato soltanto un prestanome, nasce dalla violazione dei doveri di vigilanza e di controllo che derivano dalla accettazione della carica, cui però va aggiunta la dimostrazione non solo astratta e presunta ma effettiva e concreta della consapevolezza dello stato delle scritture, tale da impedire la ricostruzione del movimento degli affari o, per le ipotesi con dolo specifico, di procurare un ingiusto profitto a taluno.

By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA