Frode fiscale e bancarotta fraudolenta: la prova dell’assunzione della veste di amministratore di fatto da parte dell’agente può essere valorizzata, ma non esaurita, dalla circostanza che il soggetto figura come destinatario delle fatture per operazioni soggettivamente inesistenti

Si segnala ai lettori del blog la sentenza numero 27557.2020, resa dalla V Sezione penale della Corte di Cassazione, pronunciatasi su un caso di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti e bancarotta fraudolenta patrimoniale.

In particolare, con la sentenza in commento, la Suprema Corte chiarisce la struttura del reato di frode fiscale laddove venga contestato per l’utilizzo di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, ed enuncia il principio di diritto secondo cui, in tema i reati fallimentari, l’essere il destinatario della fattura soggettivamente inesistente rappresenta un  mero indice di attività gestoria, di per sé non sufficiente a provare l’assunzione della qualifica di amministratore di fatto della fallita da parte dell’imputato.

I reati contestati e il doppio giudizio di merito.

Nel caso di specie all’imputato, nella qualità di amministratore di fatto della società fallita, erano addebitati i delitti di frode fiscale continuata e di bancarotta fraudolenta patrimoniale, per aver distratto beni e servizi della fallita e per averli fatturati in favore della ditta individuale allo stesso intestata.

La Corte di appello di Trento Sezione distaccata di Bolzano, riformando la sentenza di primo grado, appellata dall’Ufficio del PM, condannava il prevenuto per i reati a lui contestati.

 

Il ricorso per cassazione, il giudizio di legittimità e il principio di diritto.

La difesa del giudicabile proponeva ricorso per cassazione avverso la decisione di secondo grado, articolando due motivi di impugnazione.

Con il primo motivo il ricorrente lamentava la violazione dell’obbligo di motivazione rafforzata cui la Corte territoriale era tenuta per confutare l’esclusione della qualifica di amministratore di fatto in capo al prevenuto operata dal G.U.P.

Con il secondo motivo il difensore dell’imputato deduceva l’erronea applicazione della legge penale in merito alla ritenuta configurazione del reato di frode fiscale, nonostante i costi oggetto delle fatture non potessero considerarsi fittizi poiché effettivamente sostenuti dalla fallita.

La Suprema Corte, nell’annullare senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente all’anno di imposta 2011 per intervenuta prescrizione del reato e nell’annullare la sentenza impugnata con rinvio per un nuovo esame alla Corte di appello di Trento, si è espressa in merito al concetto di fattura per operazioni soggettivamente inesistenti ed alla prova in ordine alla qualità di amministratore di fatto nell’ambito dei reati fallimentari.

Di seguito si riportano i passaggi più significativi tratti dalla parte motiva della pronuncia in commento:

(i) Frode fiscale e fatture soggettivamente inesistenti.

<In tal senso questa Corte ha avuto ripetutamente modo di precisare che soggettivamente inesistente è l’operazione non realmente intercorsa tra i soggetti che figurano quale emittente e percettore della fattura. La diversità può riguardare chi abbia emesso il documento ma non abbia in realtà effettuato alcuna prestazione, ovvero il caso in cui essa sia stata effettuata non in favore di colui che risulta destinatario del documento fiscale. In tal caso la diversità riguarda il destinatario della fattura, che quindi la utilizza pur non essendo committente, né beneficiario di alcuna prestazione, annotando nella contabilità i costi sostenuti ed i crediti d’IVA senza che ciò corrisponda ad una operazione realmente intercorsa tra le parti: il beneficiario reale della prestazione è un altro (Sez. 3, n. 10394 del 14/01/2010), mentre nel documento è indicato un soggetto che non ha preso parte all’operazione economica. Quando la falsità ha ad oggetto l’indicazione dei soggetti tra i quali è intercorsa l’operazione (“soggetti diversi da quelli effettivi”, cfr. Sez.3, n. 27392 del 27/04/2012), viene integrato il reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti (ex multis Sez. 3, n. 20353 del 17/03/2010; Sez. 3, n. 19012 del 11/02/2015; Sez. 3, n. 34534 del 21/04/2017; Sez. 3, n. 49806 del 18/05/2018; Sez. 3, n. 53319 del 28/09/2018,; Sez. 3, n. 4236 del 18/10/2018, dep. 2019; Sez. 3, n. 1998 del 15/11/2019, dep. 2020; Sez. 3, n. 10916 del 12/11/2019 – dep. 2020). È dunque ,irrilevante che la fallita abbia eventualmente ed effettivamente sostenuto il costo, una volta accertata che la stessa non è stata la reale cessionaria dei beni e dei servizi acquistati, circostanza che nel caso di specie il ricorrente nemmeno ha seriamente messo in dubbio, mentre la sentenza impugnata ha dimostrato come la reale destinataria delle operazioni fatturate sia stata la ditta individuale dell’imputato>.

 

(ii) Qualifica di amministratore di fatto della società fallita.

 

< La Corte territoriale ha altresì esaltato il fatto che l'[omissis] sia stato l’effettivo destinatario delle operazioni soggettivamente inesistenti e della distrazione, omettendo però di spiegare le ragioni per cui tale circostanza, nel contesto dato, sarebbe di per sé sintomatica, secondo il consolidato insegnamento del giudice di legittimità, dell’esercizio in modo continuativo e significativo dei poteri tipici inerenti alla qualifica od alla funzione, ancorchè non di tutti i poteri propri dell’organo di gestione, ma quantomeno dell’esercizio di un’apprezzabile attività gestoria, svolta in modo non episodico o occasionale, in grado di giustificare l’attribuzione della qualifica di amministratore di fatto (ex multis Sez. 5, n. 35346 del 20/06/2013).

In altri termini non è dubbio che l’essere stato l'[omissis] – come detto coniuge dell’amministratore di diritto – il destinatario dei beni oggetto delle imputazioni può essere valorizzato come indice del suo coinvolgimento quale concorrente nella consumazione dei reati addebitatigli, ma non è in grado di per sé di esaurire, sul piano logico ed alla luce dei principi testè evocati, la prova dell’assunzione della qualifica dalla quale i giudici del merito hanno fatto dipendere l’affermazione della sua responsabilità per entrambi i reati contestati>.

Le norme incriminatrici:

Art. 2 D.lgs. 74/2000 – Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti

È punito con la reclusione da quattro a otto anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, indica in una delle dichiarazioni [annuali] relative a dette imposte elementi passivi fittizi.

Il fatto si considera commesso avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti quando tali fatture o documenti sono registrati nelle scritture contabili obbligatorie, o sono detenuti a fine di prova nei confronti dell’amministrazione finanziaria.

Se l’ammontare degli elementi passivi fittizi è inferiore a euro centomila, si applica la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni. 

[ Se l’ammontare degli elementi passivi fittizi è inferiore a euro 154.937,07, si applica la reclusione da sei mesi a due anni.] 

Art. 216 legge fallimentare – Bancarotta fraudolenta

È punito con la reclusione da tre a dieci anni, se è dichiarato fallito, l’imprenditore, che:

1) ha distratto, occultato, dissimulato, distrutto o dissipato in tutto o in parte i suoi beni ovvero, allo scopo di recare pregiudizio ai creditori, ha esposto o riconosciuto passività inesistenti;

2) ha sottratto, distrutto o falsificato, in tutto o in parte, con lo scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizi ai creditori, i libri o le altre scritture contabili o li ha tenuti in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari.

La stessa pena si applica all’imprenditore, dichiarato fallito, che, durante la procedura fallimentare, commette alcuno dei fatti preveduti dal n. 1 del comma precedente ovvero sottrae, distrugge o falsifica i libri o le altre scritture contabili.

È punito con la reclusione da uno a cinque anni il fallito, che, prima o durante la procedura fallimentare, a scopo di favorire, a danno dei creditori, taluno di essi, esegue pagamenti o simula titoli di prelazione.

Salve le altre pene accessorie, di cui al capo III, titolo II, libro I del codice penale, la condanna per uno dei fatti previsti nel presente articolo importa per la durata di dieci anni l’inabilitazione all’esercizio di una impresa commerciale e l’incapacità per la stessa durata ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa.

 

Quadro giurisprudenziale di riferimento:

Cassazione penale sez. III, 15/11/2019, n.1998

Il reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti sussiste sia nell’ipotesi di inesistenza oggettiva dell’operazione, cioè quando non sia stata posta mai in essere nella realtà, sia in quella di inesistenza soggettiva, ossia quando l’operazione vi sia stata ma per quantitativi inferiori a quelli indicati in fattura, sia infine nel caso di sovrafatturazione qualitativa, nel quale la fattura attesti la cessione di beni e/o servizi aventi un prezzo maggiore di quelli forniti, in quanto oggetto di repressione penale è ogni tipo di divergenza tra la realtà commerciale e la sua espressione documentale. (In motivazione, la Corte ha precisato che l’esposizione nella dichiarazione di dati fittizi anche solo soggettivamente implica la creazione delle premesse per un rimborso al quale non si ha diritto e l’indicazione di un soggetto diverso da quello che ha effettuato la fornitura non è circostanza indifferente ai fini dell’Iva, dal momento che la qualità del venditore può incidere sulla misura dell’aliquota e, conseguentemente, sull’entità dell’imposta che l’acquirente può legittimamente detrarre).

 

Cassazione penale sez. III, 28/09/2018, n.53319

In tema di reati tributari, il delitto di emissione di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti è configurabile esclusivamente in caso di fatturazione che presenta una diversità tra uno o entrambi i soggetti indicati nel documento e coloro che hanno posto in essere l’operazione oggetto di imposizione fiscale e, pertanto, ha rilievo penale la sola identità individuale del soggetto e non le diverse qualifiche, qualità o altri elementi che connotano il soggetto dell’operazione inesistente. (Fattispecie in cui la Corte ha annullato la sentenza di merito che aveva ravvisato l’inesistenza soggettiva con riguardo alla mancanza nell’acquirente della qualità di soggetto esente IVA).

 

Cassazione penale sez. III, 21/04/2017, n.34534

Ai fini della configurabilità del delitto di emissione di fatture od altri documenti per operazioni soggettivamente inesistenti, quando risulti provata dalla pubblica accusa la fittizietà dell’intestazione delle fatture, è onere del soggetto emittente dimostrare la corrispondenza fra il dato fattuale, relativo ai rapporti giuridici che si affermano essere effettivamente intercorsi, e quello documentale, attraverso il quale tali rapporti sono attestati. (Nella specie, la Corte ha confermato la decisione di merito che aveva ritenuto sprovvista di prova la mera allegazione difensiva circa l’esistenza di una delegazione di pagamento intercorsa fra l’intestatario delle fatture di vendita di alcune autovetture ed i diversi soggetti che avevano versato il relativo prezzo).

 

Cassazione penale sez. III, 11/02/2015, n.19012

In tema di reati tributari, il dolo nel delitto di utilizzazione di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, di cui all’art. 2 del D.Lgs. n. 74 del 2000, è ravvisabile nella consapevolezza, in chi utilizza il documento in dichiarazione, che colui che ha effettivamente reso la prestazione non ha provveduto alla fatturazione del corrispettivo versato dall’emittente, conseguendo in tal modo un indebito vantaggio fiscale in quanto l’Iva versata dall’utilizzatore della fattura non è stata pagata dall’esecutore della prestazione medesima. (In motivazione, la Corte ha precisato che il principio di diritto tributario, per il quale incombe sull’Erario l’onere di provare che il contribuente sapeva o avrebbe dovuto sapere che l’operazione invocata a fondamento della detrazione si inseriva in una evasione commessa dal fornitore, non può essere automaticamente trasposto in sede penale, attesa l’autonomia fra i relativi procedimenti).

 

Cassazione penale sez. V, 30/10/2014, n.51008

Una volta accertato il ruolo di puntuale consapevole esecutore del meccanismo realizzativo della ‘frode carosello’ in capo all’imputato ed aver accertato la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza per il reato di frode fiscale che hanno portato al fallimento della società, appare illogica la conclusione adottata dai giudici del merito, con riferimento al reato di bancarotta fraudolenta, di esclusione di tali indizi.

 

Cassazione penale sez. V, 20/06/2013, n.35346

La nozione di amministratore di fatto, introdotta dall’art. 2639 c.c., postula l’esercizio in modo continuativo e significativo dei poteri tipici inerenti alla qualifica od alla funzione; nondimeno, significatività e continuità non comportano necessariamente l’esercizio di tutti i poteri propri dell’organo di gestione, ma richiedono l’esercizio di un’apprezzabile attività gestoria, svolta in modo non episodico o occasionale. Ne consegue che la prova della posizione di amministratore di fatto si traduce nell’accertamento di elementi sintomatici dell’inserimento organico del soggetto con funzioni direttive – in qualsiasi fase della sequenza organizzativa, produttiva o commerciale dell’attività della società, quali sono i rapporti con i dipendenti, i fornitori o i clienti ovvero in qualunque settore gestionale di detta attività, sia esso aziendale, produttivo, amministrativo, contrattuale o disciplinare – il quale costituisce oggetto di una valutazione di fatto insindacabile in sede di legittimità, ove sostenuta da congrua e logica motivazione.

 

Cassazione penale sez. III, 27/04/2012, n.27392

Nel reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (art. 2 del d.lg. 10 marzo 2000, n. 74) la falsità può essere riferita anche all’indicazione dei soggetti con cui è intercorsa l’operazione, intendendosi per “soggetti diversi da quelli effettivi”, ai sensi dell’art. 1 lett. a), del citato d.lg., coloro che, pur avendo apparentemente emesso il documento, non hanno effettuato la prestazione, sono irreali, come nel caso di nomi di fantasia, o non hanno avuto alcun rapporto con il contribuente finale.

 

Cassazione penale sez. III, 17/03/2010, n.20353

In tema di reati finanziari e tributari, il reato di emissione di fatture od altri documenti per operazioni inesistenti (art. 8 d.lg. 10 marzo 2000 n. 74) è configurabile anche in caso di fatturazione solo soggettivamente falsa, sia per l’ampiezza della norma che si riferisce genericamente ad “operazioni inesistenti”, sia perché anche in tal caso è possibile conseguire il fine illecito indicato dalla norma in esame, ovvero consentire a terzi l’evasione delle imposte sui redditi e sul valore aggiunto. (Fattispecie di indicazione in fattura di acquirente diverso da quello effettivo).

Cassazione penale sez. III, 14/01/2010, n.10394

Il reato di utilizzazione fraudolenta in dichiarazione di fatture per operazioni inesistenti (art. 2, d.lg. n. 74 del 2000) è integrato, con riguardo alle imposte dirette, dalla sola inesistenza oggettiva, ovvero quella relativa alla diversità, totale o parziale, tra costi indicati e costi sostenuti, mentre, con riguardo all’i.v.a., esso comprende anche la inesistenza soggettiva, ovvero quella relativa alla diversità tra soggetto che ha effettuato la prestazione e quello indicato in fattura.

By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA