Risponde di cooperazione in omicidio colposo il medico pneumologo presente all’intervento di toracentosi che non impedisce l’errore dei chirurghi
Si segnala ai lettori del blog la recente sentenza numero 28316.2020, resa dalla IV Sezione penale della Corte di Cassazione, pronunciatasi in merito ad un caso di omicidio colposo ascritto ad uno pneumologo che ha partecipato all’intervento sull’organo respiratorio offrendo un contributo minimo all’esecuzione dell’atto medico materialmente eseguito da colleghi.
In particolare, con la sentenza in commento, la Suprema Corte, richiamando la giurisprudenza sedimentata intorno alla figura del garante nei reati omissivi impropri, enuncia il principio di diritto secondo il quale il medico che partecipi all’attività di equipe per l’esecuzione di un intervento chirurgico, assume gli obblighi protettivi verso il paziente anche per omesso controllo sulla corretta esecuzione dell’atto medico da parte dei colleghi ai quali ha prestato solo aiuto materiale.
Il caso clinico, il reato contestato e il doppio giudizio di merito.
Nel caso di specie il paziente, affetto da empiema pleurico e focolaio bronco pneumonico destro, subiva un intervento di toracentesi e veniva ricoverato al reparto di pneumologia dell’ospedale.
Il medico pneumologo in servizio presso il reparto, accortosi dell’aggravamento delle condizioni del paziente, richiedeva consulenza chirurgica. I medici chirurghi decidevano di eseguire sul posto una toracentesi, senza l’ausilio della guida ecografica e i risultati delle TAC.
Lo pneumologo tratto a giudizio presente all’intervento si limitava a sostenere il paziente in modo da facilitare l’esecuzione dell’operazione da parte dei chirurghi, i quali, per errore, effettuavano la toracentesi sul polmone sano, cagionando così la morte del paziente per arresto cardiocircolatorio dovuto ad asfissia.
All’imputata, nella qualità di pneumologo in servizio nel reparto, veniva contestato il delitto di omicidio colposo per aver cagionato il decesso del paziente ex artt. 113, 589 c.p.
Il Tribunale di Vicenza assolveva l’imputata per non aver commesso il fatto, ritendendo che la giudicabile non potesse considerarsi parte dell’equipe che aveva eseguito l’intervento e che non potesse aver conoscenza dell’errore compiuto dai chirurghi.
La Corte di appello di Venezia, in accoglimento dell’impugnazione interposta dal Procuratore Generale e dalle parti civili costituite, riformava la sentenza di primo grado e condannava l’imputata per il reato ascrittole, in ragione della ritenuta partecipazione del medico all’intervento di equipe e della violazione di norme precauzionali.
Il ricorso per cassazione, il giudizio di legittimità e il principio di diritto
La difesa della prevenuta interponeva ricorso per cassazione avverso la decisione resa dalla Corte territoriale, articolando plurimi motivi di gravame.
In particolare il ricorrente deduceva la violazione di legge con riferimento all’inclusione dell’imputata nella cooperazione esecutiva dell’operazione (laddove il suo intervento si era limitato a sostenere il paziente per permettere ai chirurghi di eseguire l’operazione) e alla qualificazione dell’esecuzione della toracentesi sul polmone sano come comportamento abnorme, imprevedibile ed esorbitante, tale da interrompere il nesso causale tra la condotta e l’evento lesivo.
La Suprema Corte, nel rigettare il ricorso, con passaggi di estremo interesse giuridico, richiama diversi arresti della giurisprudenza apicale formatasi intorno alla figura del garante nel diritto penale del lavoro e della colpa medica, facendone applicazione al caso di specie.
(La posizione di garanzia del medico tra obblighi di protezione del paziente e dovere di controllo sull’operato degli altri sanitari sintetizzata nella sentenza in commento.
<Nel settore dell’attività medica, si è poi precisato che la posizione di garanzia esplica la sua funzionalità sia in relazione agli obblighi di protezione, che impongono di preservare il bene protetto da tutti i rischi che possano lederne l’integrità, sia in relazione agli obblighi di controllo e sorveglianza, che impongono di neutralizzare le eventuali fonti di pericolo che possano minacciare il bene protetto (cfr., in motivazione, Sez. 4, n. 7967 del 29/01/2013).
Ebbene, l’applicazione dei richiamati principi di diritto al caso di specie induce a ritenere che la [omissis] abbia assunto una posizione di garanzia nei confronti del paziente, derivante non soltanto dalla sua qualifica di medico pneumologo addetto al reparto in cui questi si trovava ricoverato, ma anche dalla intervenuta partecipazione all’intervento chirurgico, partecipazione sostanziatasi nell’avere prestato materiale ausilio alla sua realizzazione, sia pure attraverso il breve atto di reggere il paziente, facendogli assumere la posizione più idonea per l’intervento, quella cioè destinata a realizzare la maggiore espansione toracica.
La presa in carico del bene protetto, nel momento della effettuazione dell’intervento chirurgico, comportò la partecipazione della imputata all’attività di equipe, con conseguente assunzione degli obblighi protettivi nascenti dall’instaurato rapporto, di carattere protettivo e anche di controllo.
I sanitari, infatti, come adeguatamente rappresentato dalla Corte di merito, realizzarono una congiunta attività terapeutica, con una ripartizione di compiti e di ruoli: i chirurghi, a tergo, praticarono la toracentesi e la [omissis] resse il paziente per consentire la espansione toracica. Né è possibile affermare che la responsabilità della [omissis] sia venuta meno per il solo fatto che altri soggetti – titolari di altrettante posizioni di garanzia – abbiano agito sul paziente, ponendo in essere l’erronea attività invasiva che lo condusse a morte (intervento di toracentesi sul polmone sano).
Si è infatti ripetutamente affermato che, qualora vi siano più titolari della posizione di garanzia, ciascuno è per intero destinatario dell’obbligo di tutela finché non si sia esaurito il rapporto che ha legittimato la costituzione della singola posizione di garanzia (cfr. Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012; Sez. 4, n. 6507 del 11/01/2018).
Deve aggiungersi che, in caso di successione di posizioni di garanzia, in base al principio dell’equivalenza delle cause, il comportamento colposo del garante sopravvenuto non è sufficiente ad interrompere il rapporto di causalità tra la violazione di una norma precauzionale operata dal primo garante e l’evento, quando tale comportamento non abbia fatto venir meno la situazione di pericolo originariamente determinata (Sez. 4, n. 27959 del 05/06/2008). Il primo garante che aveva richiesto la consulenza dei chirurghi, condivisa la scelta di intervenire sul posto, come rimarcato dalla Corte di merito, avrebbe dovuto quindi pretendere che si effettuasse l’intervento con guida ecografica e avrebbe dovuto poi controllare l’operato dei colleghi nel corso dell’attività operatoria, verificando che si intervenisse sul polmone malato. Pertanto, le norme precauzionali violate sono da individuarsi nella mancata pretesa di un intervento con guida ecografica, che avrebbe certamente consentito di evitare il tragico errore, e nella mancata sorveglianza dell’operato dei chirurghi (in argomento Sez. 4, n. 46824 del 26/10/2011)>.
Quadro giurisprudenziale di riferimento:
Cassazione penale sez. IV, 11/01/2018, n.6507
In materia di prevenzione degli infortuni nei luoghi di lavoro, qualora vi siano più titolari della posizione di garanzia, ciascuno è per intero destinatario dell’obbligo di tutela impostogli dalla legge per cui l’omessa applicazione di una cautela antinfortunistica è addebitabile ad ognuno dei titolari di tale posizione.
Cassazione penale sez. IV, 29/01/2013, n.7967
La relazione terapeutica tra sanitario e paziente comporta l’investimento in capo al primo di una posizione di garanzia – sub specie di obblighi impeditivi – in favore del secondo. Ciò fa sì che si abbia omicidio colposo in caso di decesso del feto derivante da grave insufficienza respiratoria, verificatosi per l’omissione da parte dei sanitari dell’esecuzione delle azioni doverose (nel caso “de quo”: parto cesareo).
Cassazione penale sez. IV, 09/02/2012, n.18826
In tema di infortuni sul lavoro, qualora vi siano più titolari della posizione di garanzia, ciascuno è per intero destinatario dell’obbligo di tutela impostogli dalla legge fin quando si esaurisce il rapporto che ha legittimato la costituzione della singola posizione di garanzia, per cui l’omessa applicazione di una cautela antinfortunistica è addebitabile ad ognuno dei titolari di tale posizione.
Cassazione penale sez. IV, 26/10/2011, n.46824
In tema di colpa professionale, qualora ricorra l’ipotesi di cooperazione multidisciplinare, ancorché non svolta contestualmente, ogni sanitario è tenuto, oltre che al rispetto dei canoni di diligenza e prudenza connessi alle specifiche mansioni svolte, all’osservanza degli obblighi derivanti dalla convergenza di tutte le attività verso il fine comune ed unico. Ne consegue che ogni sanitario non può esimersi dal conoscere e valutare l’attività precedente o contestuale svolta da altro collega, sia pure specialista in altra disciplina, e dal controllarne la correttezza, se del caso ponendo rimedio ad errori altrui che siano evidenti e non settoriali, rilevabili ed emendabili con l’ausilio delle comuni conoscenze scientifiche del professionista medio. Né può invocare il principio di affidamento l’agente che non abbia osservato una regola precauzionale su cui si innesti l’altrui condotta colposa, poiché allorquando il garante precedente abbia posto in essere una condotta colposa che abbia avuto efficacia causale nella determinazione dell’evento, unitamente alla condotta colposa del garante successivo, persiste la responsabilità anche del primo in base al principio di equivalenza delle cause, a meno che possa affermarsi l’efficacia esclusiva della causa sopravvenuta, che deve avere carattere di eccezionalità ed imprevedibilità, ciò che si verifica solo allorquando la condotta sopravvenuta abbia fatto venire meno la situazione di pericolo originariamente provocata o l’abbia in tal modo modificata da escludere la riconducibilità al precedente garante della scelta operata.
Cassazione penale sez. IV, 05/06/2008, n.27959
In caso di successione di posizioni di garanzia, in base al principio dell’equivalenza delle cause, il comportamento colposo del garante sopravvenuto non è sufficiente ad interrompere il rapporto di causalità tra la violazione di una norma precauzionale operata dal primo garante e l’evento, quando tale comportamento non abbia fatto venir meno la situazione di pericolo originariamente determinata. (Fattispecie in tema di riconosciuta responsabilità concorrente del venditore e del datore di lavoro per l’infortunio cagionato al lavoratore dalla mancata installazione su di una macchina delle protezioni imposte dalla legge).
Cassazione penale sez. IV, 12/07/2006, n.33619
In materia di colpa medica nelle attività d’équipe, del decesso del paziente risponde ogni componente dell’équipe, che non osservi le regole di diligenza e perizia connesse alle specifiche ed effettive mansioni svolte, e che venga peraltro meno al dovere di conoscere e valutare le attività degli altri medici in modo da porre rimedio ad eventuali errori, che pur posti in essere da altri siano evidenti per un professionista medio.
By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA