Dichiarazione infedele e residenza fiscale: in caso di trasferimento in un Paese straniero a fiscalità privilegiata, il contribuente di nazionalità italiana deve provare lo spostamento effettivo e sostanziale del domicilio all’estero
Si segnala ai lettori del blog la sentenza numero 29095.2020, depositata il 21 ottobre 2020, resa dalla III Sezione penale della Corte di Cassazione, pronunciatasi nella fase cautelare reale in riferimento ad una fattispecie di dichiarazione infedele.
In particolare, la Suprema Corte, con la sentenza in commento, richiama i principio di diritto sulla base dei quali individuare i contribuenti da assoggettare alla imposizione fiscale su redditi in Italia, che attrae anche i cittadini trasferitisi in Stati a fiscalità privilegiata se mantengono il loro entro di interessi nel nostro Stato, salvo prova contraria di cui è onerata la difesa.
Il reato provvisoriamente contestato e la fase cautelare reale di merito.
Nel caso di specie all’indagato era provvisoriamente contestato il delitto di dichiarazione infedele previsto e punito dall’art. 4 D.lgs. 74/2000.
Il Tribunale per i riesame di Lecce confermava l’impugnato decreto di sequestro preventivo emesso dal G.I.P. in sede.
Il ricorso per cassazione, il giudizio di legittimità e il principio di diritto.
La difesa dell’indagato proponeva ricorso per cassazione avverso l’ordinanza resa dal Collegio cautelare leccese, deducendo, con un unico motivo di impugnazione, l’inosservanza e l’erronea applicazione degli artt. 4 D.lgs. 74/2000 e 321 c.p.p.
Segnatamente, il ricorrente negava che la residenza fiscale dell’indagato fosse in Italia in ragione del suo trasferimento e spostamento del centro degli interessi vitali all’estero.
La Suprema Corte, nel dichiarare inammissibile il ricorso, si esprime in merito ai criteri formali e sostanziali di individuazione della residenza fiscale in base alla normativa interna e alla Convenzione contro le doppie imposizioni
Di seguito si riportano i passaggi più significativi tratti dalla parte motiva della pronuncia in commento:
<Il Tribunale, in particolare, ha preso in esame la disciplina dell’art. 2, d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (Testo unico delle imposte dirette), in forza della quale “soggetti passivi dell’imposta sono le persone fisiche, residenti e non residenti nel territorio dello Stato (comma 1). Ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le persone che per la maggior parte del periodo d’imposta sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del codice civile (comma 2).
Si considerano altresì residenti, salvo prova contraria, i cittadini italiani cancellati dalle anagrafi della popolazione residente e trasferiti in Stati o territori diversi da quelli individuati con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale (comma 2-bis)”.
Muovendo da tale dato normativo – che richiama un criterio sia formale (iscrizione nell’anagrafe) che sostanziale (residenza fiscale effettiva, fondata tra l’altro sui legami familiari, sugli interessi economici, sulle movimentazioni di denaro) – il provvedimento ha dunque affermato che [omissis], negli anni di interesse, aveva mantenuto in Italia il centro dei propri interessi, come evidenziato – tra l’altro – dal fatto che la famiglia (moglie e figli) non avesse mai trasferito la residenza da Lecce.
Ancora, il Tribunale ha evidenziato che gli Emirati Arabi Uniti rappresentano un Paese a fiscalità privilegiata (giusta d.m. 4 maggio 1999), tale da far operare la presunzione relativa di residenza in Italia di cui al comma 2- bis, citato; presunzione che, dunque, ben può essere superata dall’interessato, dando prova della sussistenza degli indici di effettiva residenza all’estero, ossia, in sintesi, “della perdita di ogni significativo collegamento con lo Stato italiano e la parallela controprova di una reale e duratura localizzazione nel Paese fiscalmente privilegiato”.
Prova che – si legge nell’ordinanza, con valutazione di merito non sindacabile in sede di legittimità – il ricorrente non ha fornito, quanto agli anni in contestazione.
Di seguito, il Tribunale ha preso in esame anche la Convenzione contro le doppie imposizioni vigente tra la Repubblica italiana e gli Emirati Arabi Uniti, che – riprendendo il Modello OCSE di Convenzione – indica quali criteri debbano esser valutati per verificare quale Paese debba ritenersi di effettiva residenza del soggetto, e quale debba invece rinunciare al proprio potere impositivo: criteri (non alternativi) che sono stati così individuati 1) nel possesso di un’abitazione permanente, 2) nel centro degli interessi vitali (da intendersi quale luogo nel quale sono più stringenti le relazioni personali ed economiche, familiari, sociali, occupazionali, politiche, culturali ed altro) e 3) nel luogo in sui si soggiorna abitualmente, in termini affini alla nozione di residenza di cui all’art. 43 cod. civ>.
La norma incriminatrice:
Art. 4 D.lgs. 74/2000 – Dichiarazione infedele
Fuori dei casi previsti dagli articoli 2 e 3, è punito con la reclusione da due anni a quattro anni e sei mesi chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, indica in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi inesistenti, quando, congiuntamente:
- a) l’imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, a euro centomila;
- b) l’ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all’imposizione, anche mediante indicazione di elementi passivi inesistenti, è superiore al dieci per cento dell’ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione o, comunque, è superiore a euro due milioni.
1-bis. Ai fini dell’applicazione della disposizione del comma 1, non si tiene conto della non corretta classificazione, della valutazione di elementi attivi o passivi oggettivamente esistenti, rispetto ai quali i criteri concretamente applicati sono stati comunque indicati nel bilancio ovvero in altra documentazione rilevante ai fini fiscali, della violazione dei criteri di determinazione dell’esercizio di competenza, della non inerenza, della non deducibilita’ di elementi passivi reali.
1-ter. Fuori dei casi di cui al comma 1-bis, non danno luogo a fatti punibili le valutazioni che complessivamente considerate, differiscono in misura inferiore al 10 per cento da quelle corrette. Degli importi compresi in tale percentuale non si tiene conto nella verifica del superamento delle soglie di punibilita’ previste dal comma 1, lettere a) e b).
Quadro giurisprudenziale di riferimento:
Cassazione civile sez. trib., 20/12/2018, n.32992
Ai fini dell’individuazione della residenza fiscale del contribuente deve farsi riferimento al centro degli affari e degli interessi vitali dello stesso, dando prevalenza al luogo in cui la gestione di detti interessi è esercitata abitualmente in modo riconoscibile dai terzi, non rivestendo ruolo prioritario, invece, le relazioni affettive e familiari, le quali rilevano solo unitamente ad altri criteri attestanti univocamente il luogo col quale il soggetto ha il più stretto collegamento.
Cassazione civile sez. VI, 25/06/2018, n.16634
In tema di imposte dirette, le persone iscritte nell’anagrafe della popolazione residente si considerano, in applicazione del criterio di cui all’art. 2 del d.P.R. n. 917 del 1986, residenti in Italia e, pertanto, assoggettate alla relativa tassazione per tutti i redditi, ovunque prodotti, non assumendo peraltro rilevanza il trasferimento della residenza all’estero fino a quando non risulti la cancellazione del contribuente da detta anagrafe.
Cassazione penale sez. III, 29/03/2017, n.37849
In tema di reati tributari, ai sensi del combinato disposto dell’art. 2 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 e dell’art. 43 cod. civ., è obbligato a presentare una delle dichiarazioni relative alle imposte sui redditi o sul valore aggiunto colui che ha la residenza fiscale in Italia, per tale dovendosi intendere anche chi, pur risiedendo all’estero, stabilisca in Italia, per la maggior parte del periodo d’imposta, il suo domicilio, inteso come la sede principale degli affari ed interessi economici nonché delle relazioni personali. (In motivazione la Corte ha ritenuto inescusabile l’errore sulla sussistenza dell’obbligo di presentazione della dichiarazione dei redditi, compiuto dall’imputato, il quale, residente in Belgio, svolgeva l’attività di chiropratico in Italia).
Cassazione penale sez. III, 29/03/2017, n.37849
Deve considerarsi soggetto passivo il cittadino italiano che, pur risiedendo all’estero, stabilisca in Italia, per la maggior parte del periodo d’imposta, il suo domicilio, inteso come la sede principale degli affari ed interessi economici nonché delle relazioni personali (fattispecie relativa alla contestazione nei confronti di un medico del reato di cui all’art. 5, d.lg. n. 74 del 2000, perché quale soggetto residente in Italia ai sensi dell’art. 2, d.P.R. n. 917/86, al fine di evadere le imposte sui redditi delle persone fisiche, non presentava, essendovi obbligato, le dichiarazioni annuali relative a dette imposte dovute).
By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA