E’ illegittimo il sequestro delle somme rinvenute nella cassetta di sicurezza se non vi è prova del nesso tra contestata frode fiscale ed il denaro rinvenuto nel possesso dell’indagato
Si segnala ai lettori del blog la sentenza numero 29830.2020, depositata il 27 ottobre 2020, resa dalla III Sezione penale della Corte di Cassazione, pronunciatasi in sede cautelare reale in ordine ad un sequestro preventivo disposto ed eseguito per l’ipotesi di reato di frode fiscale.
In particolare, la Suprema Corte, con la sentenza in commento, enuncia il principio di diritto secondo cui, ai fini dell’adozione del sequestro preventivo funzionale alla confisca diretta, è necessario accertare che il denaro attinto dalla misura ablativa costituisca il profitto del reato.
Il reato provvisoriamente contestato e la fase cautelare reale di merito.
Nel caso di specie all’indagato era stato provvisoriamente contestato il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti ex art. 2 D.lgs. 74/2000.
Il Tribunale cautelare di Bergamo, in accoglimento dell’istanza di riesame presentata dall’indagato, annullava il decreto di sequestro preventivo reso dal GIP in sede.
Il ricorso per cassazione, il giudizio di legittimità e il principio di diritto.
Il Procuratore della Repubblica proponeva ricorso per cassazione contro l’ordinanza di annullamento della misura cautelare reale.
La Suprema Corte, nel dichiarare inammissibile il ricorso perché proposto al di fuori dei casi previsti dalla legge, nei seguenti passaggi tratti dalla parte motiva della pronuncia in commento richiama, facendone applicazione al caso di specie, i consolidati principii di diritto elaborati dalle Sezioni unite penali:
<L’ordinanza impugnata, pur sintetica, ha ritenuto che non vi fossero elementi obiettivi dai quali desumere che la somma sequestrata, rinvenuta nella cassetta di sicurezza e ivi depositata in epoca precedente al commesso reato, fosse “impinguata con il commercio illecito di denaro” derivante dall’emissione e utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti, e fosse, dunque, qualificabile quale profitto del reato, requisito necessario per l’adozione della misura ablativa. La esclusa natura di profitto del reato è rimasta priva di censura da parte del ricorrente che pone la questione diversa del nesso di pertinenzialità del profitto accrescitivo secondo la sentenza S.U. Lucci.
Per completezza osserva il Collegio, che, con riferimento al sequestro nei reati tributari, sulla scorta dei principi della S.U. Lucci, è stato affermato che laddove il profitto del reato sia costituito da denaro non più fisicamente identificabile, è sempre legittimo il sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta, senza che sia necessaria la dimostrazione del nesso di derivazione dal reato, delle somme di denaro di valore corrispondente che siano attribuibili all’indagato, cioè che siano presenti sui conti o sui depositi nella disponibilità diretta o indiretta dell’indagato, ivi compreso il deposito in cassetta di sicurezza, al momento della commissione del reato ovvero al momento del suo accertamento.
La medesima forma di sequestro è legittima anche sulle somme di valore corrispondente accreditate su quei conti o su quei depositi in epoca posteriore al momento della commissione o dell’accertamento del reato, purché si tratti di numerario che risulti dimostrato essere in qualche modo collegabile al reato, perciò allo stesso legato da un rapporto di derivazione anche indiretta (Sez. 3, n. 6348 del 04/10/2018; Sez. 3, n. 41104 del 12/07/2018)>.
Quadro giurisprudenziale di riferimento:
Cassazione penale sez. III, 04/10/2018, n.6348
In tema di reati tributari, ai fini della confisca diretta delle somme sequestrate sul conto corrente bancario dell’imputato, la natura fungibile del denaro non è sufficiente per qualificare come “profitto” del reato l’oggetto del sequestro, essendo necessario anche provare che la disponibilità delle somme, successivamente sequestrate, costituisca un risparmio di spesa conseguito con il mancato versamento dell’imposta. (In motivazione la Corte ha precisato che, per accertare se il denaro costituisce profitto del reato tributario, e, cioè, un risparmio di spesa aggredibile in via diretta, è necessario avere riguardo non all’identità fisica delle somme, ma al valore numerario delle disponibilità giacenti sul conto dell’imputato alla scadenza del termine per il versamento dell’imposta, mentre il denaro versato successivamente a detto termine, che fosse stato sequestrato, non può essere ritenuto “profitto” del reato, ma rappresenta un’unità di misura equivalente al debito fiscale scaduto e non onorato, confiscabile se ricorrono i presupposti per la confisca per equivalente).
Cassazione penale sez. III, 12/07/2018, n.41104
In tema di sequestro preventivo funzionale alla confisca, la natura fungibile del denaro non consente la confisca diretta delle somme depositate su conto corrente bancario del reo, ove si abbia la prova che le stesse, non derivando dal reato, non costituiscano profitto dell’illecito. (Fattispecie in tema di reato di omessa dichiarazione di cui all’art. 5 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, in cui è stato escluso che le somme di denaro depositate sul conto corrente dopo la scadenza del termine per la presentazione della dichiarazione IVA potessero rappresentare il profitto derivante dall’evasione fiscale).
Cassazione penale sez. un., 26/06/2015, n.31617
Qualora il prezzo o il profitto c.d. accrescitivo derivante dal reato sia costituito da denaro, la confisca delle somme depositate su conto corrente bancario, di cui il soggetto abbia la disponibilità, deve essere qualificata come confisca diretta e, in considerazione della natura del bene, non necessita della prova del nesso di derivazione diretta tra la somma materialmente oggetto della ablazione e il reato.
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