Va assolto il datore di lavoro se non vi è prova che l’incidente occorso al lavoratore sia stata ispirato ad prassi lavorativa pericolosa tollerata all’interno dell’azienda

Si segnala ai lettori del blog la sentenza numero 29585.2020, depositata il 26 ottobre 2020, resa dalla IV Sezione penale della Corte di Cassazione, pronunciatasi su un caso di omicidio colposo commesso in violazione della normativa a tutela della sicurezza sul lavoro.

In particolare, la Suprema Corte, con la sentenza in commento, riafferma la validità del principio di diritto secondo il quale l’interruzione del nesso causale nei reati omissivi colposi è determinata solo da una condotta del lavoratore esorbitante dalle relative mansioni, ovvero  nell’ambito delle mansioni a lui affidate quando sia tale da attivare un pericolo eccentrico rispetto alla sfera di rischio governata dal garante della sicurezza.

L’applicazione del superiore principio al caso concreto ha indotto la Corte di legittimità ad assolvere l’imputato perché all’esito delle prove assunte in dibattimento sussisteva un più che ragionevole dubbio in merito all’adozione da parte del lavoratore di una iniziativa conforme ad una prassi lavorativa pericolosa – non provata dalle testimonianze assunte – fatto questo indispensabile per individuare una culpa in vigilando in capo al datore di lavoro.

 

L’infortunio sul lavoro, il reato contestato e la doppia conforme di merito

Nel caso di specie i lavoratori, impegnati nel taglio di una siepe posta ad un’altezza di 5 metri, utilizzavano un carrello elevatore sulle cui forche era posizionata una gabbia composta da quattro pareti di griglia metallica appoggiata su un bancale, dalla quale uno dei dipendenti cadeva, riportando trauma cranico che ne cagionava il decesso.

Agli imputati, tratti a giudizio, rispettivamente, nella qualità di legale rappresentante della società e dell’azienda agricola e di direttore di fatto, era stato contestato il delitto di omicidio colposo per aver omesso di fornire ai lavoratori le attrezzature e i presidi necessari per l’esecuzione di lavori in quota.

La Corte di appello di Venezia confermava la sentenza con la quale il Tribunale di Treviso aveva condannato i prevenuti per il reato loro ascritto.

 

Il ricorso per cassazione, il giudizio di legittimità e il principio di diritto

I difensori dei giudicabili proponevano distinti ricorsi per cassazione avverso la decisione di secondo grado, articolando plurimi motivi di impugnazione.

Ai fini del presente commento riveste particolare interesse la deduzione, comune ad entrambi i ricorsi, della violazione di legge e del vizio di motivazione in ordine alla ritenuta esclusione della condotta abnorme del lavoratore e alla pronuncia di una sentenza di condanna pur in presenza di un ragionevole dubbio in merito alla responsabilità degli imputati.

La Suprema Corte, nel riformare la sentenza impugnata, annulla la decisione della Corte territoriale perché il fatto non sussiste, non ritenendo sussistente il nesso causale tra l’evento avverso e la condotta antidoverosa contestata al datore di lavoro.

Di seguito si riportano i passaggi più significativi tratti dalla parte motiva della pronuncia in commento:

<È noto infatti che il datore di lavoro, destinatario delle norme antinfortunistiche, è esonerato da responsabilità quando il comportamento del dipendente, rientrante nelle mansioni che gli sono proprie, sia abnorme, dovendo definirsi tale il comportamento imprudente del lavoratore che sia consistito in qualcosa di radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro (ex multis, Sez.4, n.7188 del 10/01/2018; Sez.4, n.7267 del 10/11/2009 – dep.23/02/2010) […]

La condotta esorbitante ed imprevedibilmente colposa del lavoratore, idonea ad escludere il nesso causale, non è solo quella che esorbita dalle mansioni affidate al lavoratore, ma anche quella che, nell’ambito delle stesse, attiva un rischio eccentrico od esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia.

La Corte territoriale, in base a tale materiale probatorio, ha escluso l’imprevedibilità del comportamento dei dipendenti dell’azienda, sottolineando l’esistenza di una prassi – cioè non il solo taglio basso della siepe effettuato da terra ma anche un taglio più in alto utilizzando il pianale di un camion sotto gli occhi di tutti, senza che nessuno rilevasse alcunché o impedisse tale improprio comportamento.

Secondo i giudici di appello dunque, il fatto che gli imputati avessero sostenuto di non avere avuto conoscenza della modalità rischiosa con cui avveniva il taglio della siepe, non poteva costituire causa di esonero da responsabilità.

È corretto affermare […] che incombe sul datore di lavoro il compito di vigilare, anche mediante la nomina di un preposto, sulle modalità di svolgimento del lavoro in modo da garantire la corretta osservanza delle disposizioni atte a prevenire infortuni sul lavoro (cfr. in argomento Sez. 4, n. 10123 del 15/01/2020). Ma la prassi di cui si parla in sentenza non corrisponde alla modalità operativa seguita il giorno del fatto.

 Infatti, la Corte di Venezia, quando parla della prassi, si riferisce ad altro, al fatto cioè che i lavoratori interni operavano da terra o al massimo sul furgone aziendale sulla parte bassa della siepe ed il giardiniere sulla parte alta con il carrello elevatore.

L’utilizzo del muletto con sovrastante gabbia costituisce modalità operativa assai diversa e sicuramente ben più rischiosa, data la instabilità del mezzo, non utilizzabile per il sollevamento di una persona, dato il non improbabile brandeggio dell’intera struttura.

Conclusivamente, mancando la prova certa di una pericolosa prassi invalsa in azienda nell’uso del muletto con la gabbia per effettuare in quota il taglio della siepe, e non potendosi escludere – per altro verso – una iniziativa estemporanea dei lavoratori, imprevedibile da parte datoriale, e dunque non essendo superato “ogni ragionevole dubbio” nel rapporto di causalità tra le omissioni contestate in imputazione e l’evento mortale, la sentenza impugnata va annullata senza rinvio perché il fatto non sussiste>.

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Quadro giurisprudenziale di riferimento:

Cassazione penale sez. IV, 15/01/2020, n.10123

In tema di prevenzione di infortuni sul lavoro, il datore di lavoro deve vigilare per impedire l’instaurazione di prassi “contra legem” foriere di pericoli per i lavoratori, con la conseguenza che, in caso di infortunio del dipendente, la condotta del datore di lavoro che abbia omesso ogni forma di sorveglianza circa la pericolosa prassi operativa instauratasi, integra il reato di omicidio colposo aggravato dalla violazione delle norme antinfortunistiche. (Nella fattispecie, relativa al decesso di un lavoratore colpito da una macchina escavatrice perché, in violazione dell’art. 12, comma 3, d.P.R. 7 gennaio 1956, n. 164, si trovava nel campo di azione di tale mezzo, la Corte ha annullato con rinvio la sentenza di assoluzione del datore di lavoro che aveva escluso l’obbligo giuridico del datore di lavoro di impedire la presenza dei lavoratori nello scavo, secondo la prassi instauratasi in contrasto con la legge).

 

Cassazione penale sez. IV, 10/01/2018, n.7188

Il datore di lavoro, destinatario delle norme antinfortunistiche, è esonerato da responsabilità solo quando il comportamento del dipendente sia abnorme, dovendo definirsi tale il comportamento imprudente del lavoratore che sia stato posto in essere del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli – e, pertanto, al di fuori di ogni prevedibilità per il datore di lavoro – o rientri nelle mansioni che gli sono proprie ma sia consistito in qualcosa radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro.

 

Cassazione penale sez. IV, 13/12/2016, n.15124

In tema di prevenzione antinfortunistica, perché la condotta colposa del lavoratore possa ritenersi abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l’evento lesivo, è necessario non tanto che essa sia imprevedibile, quanto, piuttosto, che sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia. (Fattispecie in cui la S.C. ha escluso l’abnormità della condotta di due lavoratori che erano deceduti, per mancanza di ossigeno, all’interno di una cisterna in cui si erano calati per svolgere le proprie mansioni, ma senza attendere l’arrivo del responsabile della manutenzione e senza utilizzare dispositivi di protezione).

By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA