Non si applica il sequestro preventivo funzionale alla confisca sul patrimonio del terzo estraneo al reato, salva l’ipotesi in cui il PM ne dimostri l’intestazione fittizia a vantaggio dell’indagato
Si segnala ai lettori del blog la sentenza numero 29583.2020, resa dalla III Sezione penale della Corte di Cassazione, pronunciatasi in fase cautelare reale in riferimento ad un procedimento penale pendente per l’ipotesi di reato di frode fiscale.
In particolare, la Suprema Corte, con la sentenza in commento, richiama, facendone applicazione al caso di specie, i consolidati principi di diritto elaborati in tema di applicazione della sequestro prodromico alla confisca diretta al terzo estraneo al reato e dell’onere che grava sull’Ufficio del Pubblico Ministero di dimostrare l’esistenza di una discrasia tra l’intestazione formale e l’effettiva disponibilità dei beni da parte dell’indagato.
Il reato provvisoriamente contestato e la fase cautelare reale di merito.
Nel caso di specie all’indagato, nella qualità di legale rappresentante della società, era contestato in via provvisoria il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti ex art. 2 D.lgs. 74/2000.
Il G.I.P. presso il Tribunale di Treviso disponeva il sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta delle disponibilità finanziarie della società, nonché il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente dei beni del prevenuto, delle disponibilità finanziarie di altro soggetto – estraneo all’indagine penale – perché moglie e socia dell’indagato.
Il Tribunale cautelare di Treviso, rigettando le richieste di riesame proposte dagli istanti, confermava il decreto di sequestro preventivo emesso dal GIP in sede.
Il ricorso per cassazione, il giudizio di legittimità e il principio di diritto.
I difensori dei destinatari del provvedimento cautelare proponevano ricorso per cassazione avverso la predetta ordinanza, articolando plurimi motivi di impugnazione.
Ai fini del presente commento riveste maggiore interesse il ricorso interposto dal difensore del socio dell’indagato, con il quale deduceva la violazione e l’erronea applicazione degli artt. 12 bis D.lgs. 74/2000 e 321 co. 2 c.p.p. in ragione della qualità di terzo estraneo al reato del ricorrente.
La Suprema Corte, nell’annullare con rinvio l’ordinanza impugnata con riferimento alla posizione del terzo estraneo dichiarando, al contempo, inammissibile il ricorso proposto nell’intesse della società, enuncia i seguenti principi di diritto dettati in materia di limiti del sequestro preventivo funzionale alla confisca quando l’ablazione investe il patrimonio del terzo estraneo dal reato:
<Ai sensi dell’art. 321 comma 2 cod. proc. pen. il sequestro preventivo è possibile rispetto ai beni per i quali è possibile procedere alla confisca.
La confisca diretta ex art. 12-bis d.lgs: 74/2000, che ha natura di misura di sicurezza, e quella subordinata per equivalente, che ha natura di sanzione, possono essere disposte solo in caso di condanna dell’imputato o di definizione del processo ex art. 444 cod. proc. pen.
La ricorrente non risulta neanche indagata, in concorso con il marito, sicché nei suoi confronti non è neanche ipotizzabile, allo stato degli atti, la definizione del processo con la condanna o il patteggiamento presupposto per la confisca.
Il riferimento alla persona estranea al reato contenuto nell’art.12-bis d.lgs. 74/2000, per altro con riferimento alla sola confisca diretta, non significa che la confisca diretta possa essere disposta a prescindere dalla condanna, ma che dei beni costituenti il profitto o il prezzo del reato deve sempre essere disposta la confisca a meno che essi non siano usciti dalla disponibilità dell’imputato e siano entrati nella sfera giuridica del soggetto estraneo al reato.
Va poi ricordato il costante orientamento della giurisprudenza sul sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente per cui quando il bene è formalmente intestato a terzi, incombe sul pubblico ministero l’onere di dimostrare situazioni da cui desumere concretamente l’esistenza di una discrasia tra intestazione formale e disponibilità effettiva del cespite (cfr. in tal senso Sez. 3, n. 14605 del 24/03/2015). Inoltre, incombe sul giudice una pregnante valutazione sulla disponibilità effettiva dei beni da parte dell’indagato; a tal fine, non è sufficiente la dimostrazione della mancanza, in capo al terzo intestatario, delle risorse finanziarie necessarie per acquisire il possesso dei cespiti, essendo invece necessaria la prova, con onere a carico del pubblico ministero, della riferibilità concreta degli stessi all’indagato (Sez. 3, n. 35771 del 20/01/2017)>.
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Quadro giurisprudenziale di riferimento:
Cassazione penale sez. III, 25/10/2018, n.57595
Il sequestro preventivo non finalizzato alla confisca implica l’esistenza di un collegamento tra il reato e la cosa e non tra il reato e il suo autore, sicché possono essere oggetto del provvedimento anche le cose in proprietà di un terzo, estraneo all’illecito ed in buona fede, se la loro libera disponibilità sia idonea a costituire pericolo di aggravamento o di protrazione delle conseguenze del reato ovvero di agevolazione della commissione di ulteriori fatti penalmente rilevanti. (In motivazione la Corte ha precisato che, diversamente, lo stato di buona fede del terzo estraneo al reato rileva ove il sequestro sia stato disposto esclusivamente ai sensi dell’art. 321, comma 2, c.p.p. in quanto funzionale alla confisca).
Cassazione penale sez. III, 20/01/2017, n.35771
In caso di sequestro preventivo per equivalente avente ad oggetto beni formalmente intestati a persona estranea al reato, incombe sul giudice una pregnante valutazione sulla disponibilità effettiva degli stessi; a tal fine, non è sufficiente la dimostrazione della mancanza, in capo al terzo intestatario, delle risorse finanziarie necessarie per acquisire il possesso dei cespiti, essendo invece necessaria la prova, con onere a carico del pubblico ministero, della riferibilità concreta degli stessi all’indagato.
Cassazione penale sez. III, 24/03/2015, n.14605
In tema di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente prevista dall’art. 322 ter c.p., grava sul pubblico ministero, qualora trattisi di beni formalmente intestati a soggetti diversi dall’imputato, l’onere di dimostrare che sia quest’ultimo ad averne la effettiva disponibilità, la quale può desumersi, quando si trattisi di quote di una società della quale si assuma essere stato amministratore di fatto lo stesso imputato, solo a condizione che venga dimostrato che egli abbia “esercitato in modo continuativo e significativo i poteri tipici inerenti alla qualità o alla funzione”, come previsto dall’art. 2639 c.c., restando quindi escluso che sia all’uopo sufficiente l’avvenuto esercizio di attività di gestione in modo occasionale ed episodico.
Cassazione penale sez. III, 02/07/2014, n.43321
Legittimamente vengono sottoposti a sequestro per equivalente i beni rientranti nella disponibilità dell’indagato, anche se cointestati con terze persone estranee al reato. Alla base dell’adozione del provvedimento cautelare ablatorio vi è il concetto di disponibilità, come potere di fatto sul bene, che legittima dunque il sequestro per equivalente di somme di denaro su conto corrente cointestato all’indagato e a terze persone estranee al reato, così come nel caso di intestazione del conto corrente esclusiva del terzo, ma con delega all’indagato ad operare su di esso (nella specie, la Corte ha ritenuto sufficiente la mera delega dell’evasore fiscale ad operare sul conto corrente di terzo estraneo al reato per legittimare l’adozione del sequestro per equivalente di tutte le somme ivi contenute).
By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA