L’entrata in vigore del d.l. 34/2020 non esclude retroattivamente la responsabilità penale per peculato dell’albergatore che non ha versato all’ente locale le somme riscosse a titolo di imposta di soggiorno

Si segnala ai lettori del blog la sentenza numero 30227.2020, resa dalla VI Sezione penale della Corte di Cassazione, pronunciatasi in ordine alla sussistenza o meno del reato di peculato contestato all’albergatore con riferimento alla riscossione e mancato versamento dell’imposta di soggiorno e ciò in riferimento alle recenti modifiche normative.

In particolare, con la sentenza in commento, la Suprema Corte ha chiarito che permane la penale responsabilità per il reato di peculato se la condotta posta in essere dall’imputato, consistente nell’appropriazione illecita delle somme raccolte dal gestore delle strutture ricettivo-alberghiere, risale ad epoca antecedente l’entrata in vigore del d.l.34/2020, sussistendo in capo al soggetto attivo del reato la funzione di  ausiliario dell’ente locale nella riscossione del tributo dalla quale deriva la qualifica di incaricato di pubblico servizio e quindi la consumazione del reato contro la pubblica amministrazione.

Secondo la Corte di legittimità, la novella legislativa del 2020, nel modificare la posizione giuridica e i connessi obblighi del gestore delle strutture ricettive, determina una successione temporale di norme extrapenali che non incide sul profilo della rilevanza penale del fatto, con la conseguenza che non può aver luogo un fenomeno di abolitio criminis con effetto retroattivo.

Viceversa, per le condotte poste in essere successivamente all’entrata in vigore del d.l.34/2020, venendo meno la qualifica pubblicistica del gestore delle strutture ricettive e mutando il meccanismo di riscossione dell’imposta il fatto non assume più il disvalore penale sussumibile nel reato di peculato.

Il reato contestato e il giudizio di merito.

Nel caso di specie all’imputata, in qualità di gestore di un residence, era stato contestato il delitto di peculato, previsto e punito dall’art. 314 c.p., per essersi appropriata indebitamente delle somme corrisposte dai clienti a titolo di imposta di soggiorno, anziché versarle all’ente comunale preposto alla riscossione del tributo.

Il GIP del Tribunale di Trapani, con sentenza resa ai sensi dell’art. 444 c.p.p., applicava all’imputata la pena concordata tra le parti.

 

Il ricorso per cassazione, il giudizio di legittimità e il principio di diritto.

La difesa della giudicabile proponeva ricorso per cassazione avverso la predetta sentenza, deducendo l’erronea applicazione dell’art. 314 c.p. per l’erronea qualificazione del fatto.

La Suprema Corte, nel dichiarare inammissibile il ricorso, si sofferma sugli effetti penali della modifica normativa intervenuta tra il deposito del ricorso e la celebrazione del processo.

Di seguito si riportano i passaggi più significativi tratti dal compendio motivazionale della pronuncia in commento:

 

(i) La figura del gestore delle strutture ricettive ed il reato proprio.

<È evidente come ai sensi della novella il gestore della struttura venga oggi ad essere individuato, per il futuro, quale responsabile del pagamento dell’imposta (figura prevista e definita dall’art. 64 d.P.R. n. 600 del 29 settembre 1973) di soggiorno e sottoposto alle sanzioni amministrative derivanti dal mancato versamento della stessa.

A partire dall’entrata in vigore della modifica normativa è, pertanto, escluso in radice che possa ulteriormente configurarsi il delitto di peculato, posto che il denaro ancora non versato a titolo d’imposta per definizione non costituisce denaro altrui né quale soggetto giuridico onerato del tributo, il gestore può essere ritenuto incaricato di pubblico servizio (art. 358 cod. pen.). Diverso era, invece, il ruolo attribuito al gestore della struttura ricettiva dalla previgente e composita normativa di riferimento […] poiché egli operava da ausiliario dell’ente locale nella riscossione del tributo e nel maneggiare pubblico denaro, fungeva da agente contabile con obbligo di rendiconto.

In estrema sintesi, in precedenza il gestore raccoglieva e custodiva il denaro (pubblico) versato dai clienti a titolo di imposta di soggiorno per poi riversarlo all’ente titolare della riscossione, mentre oggi deve versare il tributo a prescindere dal pagamento da parte opera degli ospiti della struttura ricettiva, sui quali può esercitare diritto di rivalsa secondo modalità tipiche della figura del responsabile d’imposta di cui all’art. 64 TUIR e in particolare del suo comma 3>.

 

(ii) La successione di leggi extrapenali nel tempo ed il mancato effetto retroattivo di abolitio criminis.

<Si deve di conseguenza escludere che la modifica del quadro di riferimento normativo di natura extra penale che regola il versamento dell’imposta di soggiorno abbia comportato un fenomeno di abolitio criminis, poiché tale effetto si determina solo quando la modifica abbia riguardato norme realmente integratrici della legge penale, come quelle di riempimento di norme penali in bianco o le norme definitorie, ma non anche le norme richiamate da elementi normativi della fattispecie penale, nessuna di tali tra loro differenti situazioni essendosi, peraltro, determinata nella vicenda normativa in esame.

Ma, come anticipato, nella vicenda in esame si deve registrare un caso di successione di norme extrapenali che pure collocandosi in rapporto di interferenza applicativa sia con la norma che definisce la qualifica soggettiva dell’agente (art. 358 cod. pen.) sia con quella che stabilisce la struttura del reato (art. 314 cod. pen.), lasciano, però, entrambe inalterate, potendo al più dirsi richiamate in maniera implicita da elementi normativi contenuti sia nella norma definitoria che nella fattispecie penale>.

La norma incriminatrice:

Art. 314 c.p. – Peculato

Il pubblico ufficiale [357] o l’incaricato di un pubblico servizio [358], che, avendo per ragione del suo ufficio o servizio il possesso o comunque la disponibilità di denaro o di altra cosa mobile altrui, se ne appropria, è punito con la reclusione da quattro anni a dieci anni e sei mesi [316-bis, 317-bis, 323-bis].

Si applica la pena della reclusione da sei mesi a tre anni quando il colpevole ha agito al solo scopo di fare uso momentaneo della cosa, e questa, dopo l’uso momentaneo, è stata immediatamente restituita [316-bis, 317-bis, 323-bis].

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Quadro giurisprudenziale di riferimento relativo al reato di peculato contestato per mancato versamento dell’imposta di soggiorno (prima della novella del maggio 2020):

Cassazione penale sez. VI, 26/03/2019, n.27707

Integra il delitto di peculato la condotta posta in essere dal gestore di una struttura ricettiva che si appropri delle somme riscosse a titolo di imposta di soggiorno omettendo di riversarle al Comune, in quanto lo svolgimento dell’attività ausiliaria di responsabile del versamento, strumentale all’esecuzione dell’obbligazione tributaria intercorrente tra l’ente impositore e il cliente della struttura, determina l’attribuzione della qualifica di incaricato di pubblico servizio in capo al privato cui è demandata la materiale riscossione dell’imposta.

Cassazione penale sez. VI, 13/11/2018, n.6130

Nella disciplina legislativa dell’imposta di soggiorno, il rapporto tributario intercorre esclusivamente tra il comune (come soggetto attivo) e colui che alloggia nella struttura ricettiva (soggetto passivo), mentre il gestore della struttura è tenuto (ove previsto dai regolamenti comunali e, comunque, nell’ambito di un rapporto completamente avulso da quello tributario) alla riscossione dell’imposta e al suo riversamento nelle casse comunali; pertanto, siccome l’attività di riscossione ha natura di servizio pubblico e l’obbligazione di versare all’ente locale le somme incassate ha natura pubblicistica, il gestore assume, in quanto agente contabile dell’ente, la qualifica di incaricato di un pubblico servizio, onde risponde del reato di peculato per l’appropriazione delle somme dovute al comune e non versate.

Cassazione penale sez. VI, 17/05/2018, n.32058

Riveste la qualità di incaricato di pubblico servizio il gestore di struttura ricettiva residenziale che, anche in assenza di un preventivo specifico incarico da parte della pubblica amministrazione, procede alla riscossione dell’imposta di soggiorno per conto dell’ente comunale, trattandosi di agente contabile, e non di un sostituto di imposta, che svolge un’attività ausiliaria nei confronti dell’ente impositore ed oggettivamente strumentale all’esecuzione dell’obbligazione tributaria intercorrente esclusivamente tra il Comune ed il soggetto che alloggia nella struttura ricettiva. (In motivazione la Corte ha aggiunto che il denaro entra nella disponibilità della pubblica amministrazione nel momento stesso dell’incasso dell’imposta di soggiorno cosicché ogni imputazione delle somme riscosse dai contribuenti alla copertura di voci di altra natura, esulanti dal fine pubblico per il quale sono state versate e ricevute, integra la condotta appropriativa di cui all’art. 314 c.p.).

By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA