Nessuna condanna per il datore di lavoro che omette di inviare a visita medica il consulente se la prestazione di lavoro ha natura occasionale

Si segnala ai lettori del blog la sentenza numero 30923.2020, resa dalla III Sezione penale della Corte di Cassazione, pronunciatasi su un caso di violazione dell’obbligo del datore di lavoro di inviare il dipendente a visita medica secondo le scadenze previste dal programma di sorveglianza sanitaria.

In particolare, con la sentenza in commento, la Suprema Corte, enuncia il principio di diritto secondo il quale l’obbligo del datore di lavoro di inviare i dipendenti alla visita medica, investe i titolari di un rapporto di lavoro caratterizzato da una congrua durata temporale compatibile con le tempistiche prescritte dal programma di sorveglianza sanitaria, pena la perdita di significato della fattispecie incriminatrice riferita ad un programma, che presuppone un termine di durata.

Ne consegue, quindi, che tale disposizione non può estendersi al professionista che presti consulenza occasionale come nel caso oggetto di scrutinio.

 

Il reato contestato e il giudizio di merito.

Nel caso di specie all’imputato, nella qualità di datore di lavoro titolare di impresa individuale nel campo edile, era contestato il reato ex art. 18 co. 1 lett. g) D.lgs. 81/08, per aver omesso di inviare a visita medica, secondo le scadenze programmate, il dipendente chiamato a rendere un consulto tecnico.

Il Tribunale di Treviso condannava il prevenuto per il reato ascrittogli.

 

Il ricorso per cassazione, il giudizio di legittimità e il principio di diritto.

La difesa del giudicabile proponeva appello, convertito in ricorso per cassazione, articolando plurimi motivi di impugnazione.

In particolare il ricorrente contestava l’attribuzione da parte del giudice di primo grado della qualifica di lavoratore al soggetto non avviato alla visita medica dal datore di lavoro.

La Suprema Corte annulla con rinvio la sentenza impugnata per consentire al giudice di merito di valutare la natura occasionale o meno del rapporto, affermando il principio di diritto che segue tratto dalla parte motiva della pronuncia in commento:

<Si tratta, a questo punto, di verificare chi siano i soggetti che, sulla base della qualifica loro attribuita di “lavoratori”, debbano essere avviati dal “datore di lavoro” alla visita medica entro le predette scadenze.

Osserva al riguardo la Corte che, sebbene la giurisprudenza di legittimità abbia inteso attribuire alla qualifica in questione un’accezione piuttosto ampia, ad avviso di questo Collegio la medesima deve essere modulata in funzione della ratio che sottende alla singola norma. […]

Operazione questa, cioè la valutazione concreta del tipo di relazione che era intervenuta fra il [omissis]ed il [omissis], che il Tribunale di Treviso ha del tutto omesso di fare o, quanto meno, non ha fatto sapendone trarre le opportune conseguenze. […]

Infatti, la disposizione che lo prevede, la quale impone, per quanto ora interessa, che il datore di lavoro provveda ad “inviare i lavoratori alla visita medica entro le scadenze previste dal programma di sorveglianza sanitaria”, deve essere intesa nel senso che il predetto obbligo sia riferito solo all’ipotesi in cui il rapporto di lavoro sia caratterizzato da una certa durata nel tempo, posto che diversamente, ove la stessa si riferisse anche a prestazioni occasionali destinate ad esaurirsi uno actu, non avrebbe alcun senso il richiamo alle “scadenze previste dal programma di sorveglianza sanitaria”, le quali logicamente implicano una certa ampiezza del tempo in cui la prestazione lavorativa è svolta>.

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Quadro giurisprudenziale di riferimento:

Cassazione penale sez. III, 15/03/2017, n.18396

La definizione di “lavoratore”, di cui all’art. 2, comma primo, lett. a), D.Lgs. n. 81 del 2008, fa leva sullo svolgimento dell’attività lavorativa nell’ambito dell’organizzazione del datore di lavoro indipendentemente dalla tipologia contrattuale, ed è definizione più ampia di quelle previste dalla normativa pregressa, che si riferivano invece al “lavoratore subordinato” (art. 3, d.P.R. n. 547 del 1955) e alla “persona che presta il proprio lavoro alle dipendenze di un datore di lavoro” (art. 2, comma primo, lett. a, D.Lgs. n. 626 del 1994); ne consegue che, ai fini dell’applicazione delle norme incriminatrici previste nel decreto citato, rileva l’oggettivo espletamento di mansioni tipiche dell’impresa (anche eventualmente a titolo di favore) nel luogo deputato e su richiesta dell’imprenditore, a prescindere dal fatto che il “lavoratore” possa o meno essere titolare di impresa artigiana ovvero lavoratore autonomo. (Fattispecie di impiego di lavoratori che, pur formalmente titolari di ditte artigianali, prestavano in assenza di autonomia la propria attività alle dipendenze di soggetto imprenditore privo di propri dipendenti).

 

Cassazione penale sez. III, 19/06/2014, n.30919

In tema di sorveglianza sanitaria ex art. 41 d.lg. n. 81/2008, l’obbligo incombente sul datore di lavoro di sottoporre a visita preventiva i propri dipendenti è previsto esclusivamente nei confronti di lavoratori esposti a singoli rischi esplicitamente previsti, non anche per i lavoratori non sottoposti a rischio, quali i dipendenti amministrativi e di segreteria.

By ClaudioRamelli© RIPRODUZIONE RISERVATA