Dichiarazione infedele e società di persone: il superamento della soglia di punibilità va verificato con riferimento alle imposte sui redditi evase dai singoli soci.

Si segnala ai lettori del blog la sentenza numero 31195.2020, resa dalla III Sezione penale della Corte di Cassazione che, pronunciatasi in sede cautelare reale in merito ad un caso di dichiarazione infedele, affronta il tema della realizzazione del reato tributario da parte di società di persone.

In particolare, la Suprema Corte enuncia il principio di diritto, difforme rispetto ad un precedente orientamento di legittimità, secondo cui ai fini dell’accertamento del delitto di dichiarazione infedele, si deve calcolare l’imposta sui redditi evasa dai singoli soci della società in accomandita semplice, anziché quella complessivamente evasa dalla persona giuridica.

Il reato in provvisoria contestazione e la fase cautelare reale di merito.

Nel caso di specie agli indagati, nelle rispettive qualità di amministratore di fatto e legale rappresentante della società in accomandita semplice, era provvisoriamente contestato il delitto di dichiarazione infedele ex art. 4 D.lgs. 74/2000.

Il Tribunale del riesame di Torino confermava il decreto con il quale il GIP del Tribunale di Vibo Valentia aveva disposto il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente del denaro e dei beni nella disponibilità dei prevenuti.

Il ricorso per cassazione, il giudizio di legittimità e il principio di diritto.

La difesa dei giudicabili proponeva ricorso per cassazione avverso l’ordinanza resa dal Tribunale cautelare, articolando plurimi motivi di impugnazione.

Ai fini del presente commento riveste particolare interesse la doglianza con la quale i ricorrenti deducono l’omessa analisi dei riflessi dell’evasione sui singoli soci e la mancata individuazione del profitto del reato nella disponibilità diretta della società, prima di procedere a quello per equivalente sul patrimonio personale dei soci.

La Suprema Corte, nel dichiarare inammissibile il ricorso, enuncia un principio di diritto in materia di reati tributari commessi da società personali.

Di seguito si riportano i passaggi più significativi tratti dalla parte motiva della pronuncia in commento:

<L’art. 1, comma 1, d.lgs. n. 74 del 2000, nell’elencare le definizioni dei termini e dei sintagmi qualificanti la «Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto», prevede, alla lett. c), che «per “dichiarazioni” si intendono anche le dichiarazioni presentate in qualità di amministratore, liquidatore o rappresentante di società […] nei casi previsti dalla legge», e, alla lett. f), che «per “imposta evasa” si intende la differenza tra l’imposta effettivamente dovuta e quella indicata nella dichiarazione […]». Queste previsioni implicano, anche esplicitamente, un rinvio alla legislazione tributaria. In forza di questa disciplina, innanzitutto, a norma dell’art. 6 d.P.R. 29 settembre 1973, n.,600, le società in accomandita semplice, come tutte le società di persone, sono tenute a presentare la dichiarazione «agli effetti dell’imposta sul reddito delle persone fisiche e dell’imposta sul reddito delle persone giuridiche dovute dai soci […]» […]

In conseguenza del sintetizzato sistema normativo, le società in accomandita semplice sono tenute a presentare le dichiarazioni ai fini delle imposte sui redditi, ma il risultato di esercizio deve essere imputato direttamente ai singoli soci, ovviamente ciascuno per la sua quota di partecipazione.

Ne deriva che il reato di cui all’art. 4 d.P.R. n,. 74 del 2000 può essere integrato anche mediante la presentazione della dichiarazione in nome della società in accomandita semplice, e che, però, in tal caso, l’imposta sui redditi evasa deve essere calcolata avendo riguardo al reddito dei singoli soci. […]

La norma incriminatrice:

Art. 4 D.lgs. 74/2000 – Dichiarazione infedele

Fuori dei casi previsti dagli articoli 2 e 3, è punito con la reclusione da due anni a quattro anni e sei mesi chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, indica in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi inesistenti, quando, congiuntamente:

  1. a) l’imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, a euro centomila;
  2. b) l’ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all’imposizione, anche mediante indicazione di elementi passivi inesistenti, è superiore al dieci per cento dell’ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione o, comunque, è superiore a euro due milioni.

Ai fini dell’applicazione della disposizione del comma 1, non si tiene conto della non corretta classificazione, della valutazione di elementi attivi o passivi oggettivamente esistenti, rispetto ai quali i criteri concretamente applicati sono stati comunque indicati nel bilancio ovvero in altra documentazione rilevante ai fini fiscali, della violazione dei criteri di determinazione dell’esercizio di competenza, della non inerenza, della non deducibilità di elementi passivi reali.

Fuori dei casi di cui al comma 1-bis, non danno luogo a fatti punibili le valutazioni che complessivamente considerate, differiscono in misura inferiore al 10 per cento da quelle corrette. Degli importi compresi in tale percentuale non si tiene conto nella verifica del superamento delle soglie di punibilità previste dal comma 1, lettere a) e b).

Quadro giurisprudenziale di riferimento:

Cassazione penale sez. III, 27/03/2019, n.19228

Per la verifica della sussistenza del reato di dichiarazione infedele delle imposte sui redditi nei confronti di un amministratore di società di persone la quantificazione dell’imposta evasa va riferita all’intera somma non dichiarata dai soci e non soltanto dal sodo amministratore. Ad affermarlo è la Cassazione che scioglie il dubbio se il rappresentante legale risponda del reato di dichiarazione infedele quando la soglia di imposta evasa superi quella penalmente rilevante (150mila euro) calcolandola come somma dell’Irpef non dichiarata dai singoli soci ovvero soltanto considerando l’Irpef non dichiarata nella propria dichiarazione quale persona fisica/socio. Secondo i giudici per la dichiarazione infedele, presentata da chi amministri una società di persone, si impone una valutazione unitaria dell’imposta evasa, anche ai fini della verifica della soglia di punibilità.

 

Cassazione civile sez. trib., 28/06/2017, n.16116

Il maggior reddito risultante dalla rettifica operata nei confronti di una società di persone, ed imputato al socio ai fini dell’IRPEF, giusta l’art. 5 d.P.R. n. 597 del 1973, in proporzione della relativa quota di partecipazione, comporta anche l’applicazione allo stesso socio della sanzione per infedele dichiarazione prevista dall’art. 46 d.P.R. n. 600 del 1973. Tale principio si applica anche al socio accomandante di società in accomandita semplice, essendo irrilevante l’estraneità di tale specie di soci all’amministrazione della società, in quanto ad essi è sempre consentito di verificare l’effettivo ammontare degli utili conseguiti; la sanzione non viene, quindi, irrogata all’accomandante sulla base della mera volontarietà, in contrasto con l’elemento della colpevolezza introdotto dall’art. 5 d.lg. n. 472 del 1997, consistendo, nel suo caso, la colpa nell’omesso o insufficiente esercizio del potere di controllo sull’esattezza dei bilanci della società, ai sensi dell’art. 2320, ultimo comma, c.c.

 

Cassazione penale sez. III, 21/06/2016, n.35330

In tema di reati tributari, il pubblico ministero è legittimato, sulla base del compendio indiziario emergente dagli atti processuali, a chiedere al giudice il sequestro preventivo nella forma per “equivalente”, invece che in quella “diretta”, all’esito di una valutazione allo stato degli atti della capienza patrimoniale dell’ente che ha tratto vantaggio dalla commissione del reato, dovendosi escludere, peraltro, che in tale valutazione possano rientrare considerazioni di “prudenza investigativa” estranee alla concrete difficoltà di accertamento del patrimonio dell’ente beneficiato.

 

Cassazione penale sez. un., 30/01/2014, n.10561

Il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente può essere disposto anche quando l’impossibilità del reperimento dei beni, costituenti il profitto del reato, sia transitoria e reversibile, purché sussistente al momento della richiesta e dell’adozione della misura, non essendo necessaria la loro preventiva ricerca generalizzata.

By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA