Omissione di referto per il medico che prolunga il periodo di malattia ad oltre 40 giorni dall’incidente stradale senza darne comunicazione all’Autorità giudiziaria.
Si segnala ai lettori del blog la sentenza numero 30456.2020, resa dalla VI Sezione penale della Corte di Cassazione che, pronunciatasi su un caso di omissione di referto (art. 365 c.p.), si sofferma sulla ratio e la struttura del reato contro l’amministrazione della giustizia.
In particolare, la Suprema Corte, con la pronuncia in commento, enuncia il principio di diritto secondo cui il delitto di omissione di referto, in quanto reato di pericolo, è integrato dalla condotta del sanitario che acquisisce elementi di fatto dai quali desumere l’astratta configurabilità di un delitto procedibile d’ufficio ed ometta, con coscienza e volontà, di redigere o ritardare il referto, ostacolando così l’attività di indagine e l’esercizio dell’azione penale.
Di conseguenza, il primo approccio del sanitario con una notizia di reato non ancora qualificata giuridicamente non esclude il sopravvenuto obbligo di referto.
Per una migliore comprensione dell’argomento qui trattato, di seguito al commento della sentenza il lettore troverà:
(i) il testo della fattispecie incriminatrice;
(ii) gli arresti giurisprudenziali citati nella parte motiva della sentenza numero 30456.2020;
(iii) la rassegna delle più significative massime riferite alle pronunce di legittimità in materia di omissione di referto, oltre agli approfondimenti in tema di reati contro l’amministrazione della giustizia ascrivibili ai professionisti sanitari, che il lettore può trovare nell’area del sito dedicata all’argomento.
Il reato contestato e il giudizio di merito
Nel caso di specie all’imputato era contestato il delitto di omissione di referto per aver omesso di redigere referto in riferimento al reato di lesioni stradali da qualificare gravi in occasione della prognosi secondaria di prolungamento della durata della malattia oltre i 40 giorni.
Il Tribunale di Grosseto assolveva il prevenuto dal delitto ascrittogli con la formula perché il fatto non costituisce reato, sulla base dell’assunto per cui l’obbligo di referto sorge in capo al sanitario con riferimento alla notizia di reato appresa originariamente.
Il ricorso per cassazione, il giudizio di legittimità e il principio di diritto
Il Pubblico Ministero presso il Tribunale di Grosseto proponeva ricorso per cassazione avverso la decisione di primo grado, deducendo la violazione dell’art. 365 c.p.
La tesi articolata con l’impugnazione di legittimità dalla Pubblica accusa riconosceva in capo al medico che aveva rilasciato un certificato di prolungamento della durata della malattia cagionata da un incidente stradale l’obbligo di referto, in quanto, in tale momento, il sanitario era posto in condizioni di percepire l’astratta configurabilità del delitto di lesioni stradali gravi, reato autonomo e procedibile di ufficio rispetto a quello originario perseguibile a querela così qualificato in ragione della più favorevole prognosi di guarigione valutata in un arco temporale inferiore a giorni 40.
La Suprema Corte, in accoglimento del ricorso della Pubblica accusa, annulla la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di appello di Firenze.
Di seguito si riportano i passaggi più significativi tratti dalla parte motiva della pronuncia in commento:
“Il delitto di omissione di referto, che ha natura di reato di pericolo, in quanto volto ad assicurare il corretto andamento dell’amministrazione della giustizia attraverso l’invio alla A.G. competente della notizia qualificata di un reato, includente elementi tecnici essenziali ai fini dello svolgimento delle indagini e dell’esercizio dell’azione penale (Sez. 6, n. 51780 del 29/10/2013), è ravvisabile con riguardo ad una condotta omissiva, che risulta apprezzabile nel momento in cui il sanitario viene a trovarsi di fronte ad un caso che può presentare i connotati di un reato perseguibile d’ufficio, dovendosi inoltre valutare se il sanitario abbia avuto conoscenza di elementi di fatto dai quali desumere in termini di astratta possibilità la configurabilità di un simile delitto e abbia avuto la coscienza e volontà di omettere o ritardare il referto (sul punto Sez. 6, n. 9721 del 9/7/1998).
Nel caso di specie non è contestato che l’imputato, a fronte di un sinistro stradale, dopo una prima diagnosi stilata al Pronto Soccorso da altro sanitario, avesse redatto nei confronti di [omissis]certificati di prolungamento della prognosi, […]
A ben guardare dunque non è dubbio che l’imputato avesse avuto contezza di un periodo di guarigione superiore a quaranta giorni, tale da rendere configurabile il delitto di lesioni stradali gravi, di cui all’art. 590-bis, cod. pen., che deve considerarsi reato autonomo, procedibile d’ufficio (Sez. 4, n. 27425 del 24/5/2018). Su tali basi la valutazione del primo Giudice deve ritenersi erronea, in quanto in contrasto con il tenore e la ratio dell’art. 365 cod. pen. Deve infatti ritenersi che non abbia valore assorbente, tale da esonerare dall’obbligo sopravvenuto di referto, il primo approccio con una notizia di reato non qualificata, ma rilevi il fatto che la prestazione sanitaria, non implicante l’assunzione della veste di pubblico ufficiale, abbia posto l’esercente la relativa professione in grado di avvedersi di un reato procedibile d’ufficio, tale a quel punto da imporre la redazione del referto. […]
Va del resto aggiunto che nel caso di specie non si trattava di mero mutamento del regime di procedibilità bensì di cognizione di un reato diverso, cioè l’autonomo reato di lesioni stradali gravi, in relazione al quale l’obbligo di referto era specificamente insorto al manifestarsi di un diverso periodo di guarigione”.
La fattispecie incriminatrice:
Art. 365 c.p. – Omissione di referto
Chiunque, avendo nell’esercizio di una professione sanitaria prestato la propria assistenza od opera in casi che possono presentare i caratteri di un delitto pel quale si debba procedere d’ufficio [502 c.p.p.], omette o ritarda di riferirne all’Autorità indicata nell’articolo 361, è punito con la multa fino a 516 euro [384; 334 c.p.p.].
Questa disposizione non si applica quando il referto esporrebbe la persona assistita a procedimento penale.
Le pronunce citate nella sentenza in commento:
Cassazione penale sez. IV, 24/05/2018, n.27425
L’art.590-bis (lesioni personali stradali gravi o gravissime) delinea una figura autonoma di reato e non una circostanza aggravante ad effetto speciale del delitto previsto e punito dall’art.590 cod.pen. e pertanto non necessita di querela di parte ai fini della sua procedibilità.
Cassazione penale sez. VI, 29/10/2013, n.51780
L’obbligo del referto, la cui omissione integra il reato di cui all’art. 365 c.p., sorge nel momento in cui il sanitario, prestando la propria opera, viene a trovarsi di fronte a un caso che può presentare i connotati di un delitto perseguibile di ufficio. A tal fine, occorre che il giudice accerti, tenendo conto della peculiarità del caso concreto e con valutazione “ex ante” (ossia riferita al momento della prestazione sanitaria), se il sanitario abbia avuto conoscenza di elementi di fatto dai quali desumere, in termini di teorica possibilità, la configurabilità di un delitto perseguibile d’ufficio. Mentre, dal punto di vista soggettivo, occorre il dolo generico, consistente nella coscienza e volontà di omettere (o ritardare) il referto, nella consapevolezza, cioè, di trovarsi in presenza di fatti che, sia pure in astratto, possono presentare i caratteri del delitto perseguibile d’ufficio. In questa prospettiva il medico può legittimamente omettere il referto solo allorquando abbia la ragionevole convinzione, con la certezza tecnica, desumibile da elementi di fatto certi e obiettivi, dell’insussistenza del reato. (Nella fattispecie il reato è stato ravvisato a carico dei due sanitari che avevano proceduto a un riscontro diagnostico autoptico sul cadavere di un bambino, omettendo di fare denuncia e referto all’autorità giudiziaria, nonostante che dal riscontro autoptico erano emersi elementi per ritenere che il caso presentasse i caratteri del delitto di omicidio colposo, procedibile d’ufficio, a carico del sanitario che aveva prestato le cure al bambino allorquando era stato ricoverato in ospedale).
Cassazione penale sez. VI, 09/07/1998, n.9721
L’obbligo del referto sorge nel momento in cui il sanitario viene a trovarsi di fronte a un caso che può presentare i connotati di un delitto perseguibile di ufficio. Occorre pertanto che il giudice accerti, tenendo conto della peculiarità del caso concreto, sia pure con valutazione “ex ante”, se il sanitario abbia avuto conoscenza di elementi di fatto dai quali desumere, in termini di astratta possibilità, la configurabilità di un simile delitto e abbia avuto la coscienza e volontà di omettere o ritardare il referto. (Fattispecie nella quale la S.C. ha ritenuto ineccepibile la valutazione operata dal giudice di merito circa la sussistenza della responsabilità per il reato di cui all’art. 365 c.p., essendo stato accertato che l’imputato aveva riscontrato l’esistenza nel paziente di lesioni gravi, era stato informato sulle circostanze di tempo e di luogo in cui il fatto lesivo si era verificato, ed aveva appreso che il paziente, nel momento dell’infortunio, non indossava, come prescritto dalle norme antinfortunistiche, i guanti protettivi: circostanze queste che permettevano ragionevolmente di ipotizzare la configurabilità del delitto di lesioni colpose gravi perseguibile di ufficio, e che pertanto imponevano la trasmissione del referto, adempimento al quale l’imputato non aveva dato corso).
La rassegna degli arresti giurisprudenziali in materia di omissione di referto:
Cassazione penale sez. VI, 03/10/2019, n.44620
In tema di omissione di referto, riveste la qualifica di esercente una professione sanitaria lo psicologo o psicoterapeuta ancorché operi nello svolgimento di un rapporto professionale di natura privatistica, con la conseguenza che, avuta notizia, nell’ambito dell’assistenza prestata, di fatti che possono presentare la caratteristiche di un delitto, egli è tenuto a riferirne all’autorità giudiziaria, salvo il caso in cui la segnalazione esponga la persona assistita a procedimento penale.
Cassazione penale sez. VI, 29/10/2013, n.51780
L’obbligo del referto, la cui omissione integra il reato di cui all’art. 365 c.p., sorge nel momento in cui il sanitario, prestando la propria opera, viene a trovarsi di fronte a un caso che può presentare i connotati di un delitto perseguibile di ufficio. A tal fine, occorre che il giudice accerti, tenendo conto della peculiarità del caso concreto e con valutazione “ex ante” (ossia riferita al momento della prestazione sanitaria), se il sanitario abbia avuto conoscenza di elementi di fatto dai quali desumere, in termini di teorica possibilità, la configurabilità di un delitto perseguibile d’ufficio. Mentre, dal punto di vista soggettivo, occorre il dolo generico, consistente nella coscienza e volontà di omettere (o ritardare) il referto, nella consapevolezza, cioè, di trovarsi in presenza di fatti che, sia pure in astratto, possono presentare i caratteri del delitto perseguibile d’ufficio. In questa prospettiva il medico può legittimamente omettere il referto solo allorquando abbia la ragionevole convinzione, con la certezza tecnica, desumibile da elementi di fatto certi e obiettivi, dell’insussistenza del reato. (Nella fattispecie il reato è stato ravvisato a carico dei due sanitari che avevano proceduto a un riscontro diagnostico autoptico sul cadavere di un bambino, omettendo di fare denuncia e referto all’autorità giudiziaria, nonostante che dal riscontro autoptico erano emersi elementi per ritenere che il caso presentasse i caratteri del delitto di omicidio colposo, procedibile d’ufficio, a carico del sanitario che aveva prestato le cure al bambino allorquando era stato ricoverato in ospedale).
Cassazione civile sez. III, 26/03/2004, n.6051
Ai fini della sussistenza dell’elemento psicologico del delitto di omissione di referto (art. 365 c.p.), che è reato di pericolo e non di danno, occorre, oltre alla coscienza e volontà di omettere o ritardare il referto da parte dell’esercente la professione sanitaria, che questi si trovi in presenza di fatti i quali presentino i caratteri di un delitto perseguibile d’ufficio; per verificare la configurabilità di tale reato, e della responsabilità anche civile che ne discende a carico del sanitario, occorre che il giudice accerti (come affermato dalle sezioni penali di questa corte, tra le altre, con sentenze n. 3447 e n. 9721 del 1998), con valutazione “ex ante” e tenendo conto delle peculiarità del caso concreto, se il sanitario abbia avuto conoscenza di elementi di fatto dai quali desumere, in termini di astratta possibilità, di omettere o ritardare il referto, rimanendo esclusa la configurabilità del dolo qualora dalle circostanze del caso concreto cui egli si trovi di fronte emerga la ragionevole probabilità che l’accadimento si sia verificato per cause naturali o accidentali, (Nella specie, 19 Corte suprema ha confermato la sentenza di merito che aveva escluso la responsabilità del sanitario che non aveva sospeso l’autopsia per dare immediata notizia all’autorità giudiziaria, in quanto dalle circostanze di fatto non erano emersi elementi atti a far ritenere che la morte della paziente non fosse dovuta a cause naturali).
Cassazione penale sez. VI, 09/04/2001, n.18052
L’obbligo di referto sorge con la certezza da parte dell’esercente della professione sanitaria circa la realizzazione di un reato, mentre il venire meno dell’obbligo è correlato alla certezza che il soggetto assistito sarebbe sottoposto a procedimento penale. Il dubbio sulla possibilità che il paziente sia sottoposto a un tale procedimento, in ragione delle cause per le quali è richiesto l’intervento del medico stesso, non esime il professionista dalla presentazione del referto.
Cassazione penale sez. VI, 18/12/1998, n.1473
In tema di omissione di referto riferibile a lesioni conseguenti ad infortunio sul lavoro, non compete al sanitario alcun potere di delibazione della configurabilità di estremi di reato, dovendo la sua valutazione limitarsi al solo esame delle modalità del fatto portato a sua conoscenza. Ove non risulti, in base ad elementi certi ed obiettivi (che quindi non necessitano di alcuna verifica in sede di indagine) che il fatto si sia verificato indipendentemente da condotte commissive od omissive di chi aveva l’obbligo giuridico di impedire l’evento, il sanitario è tenuto all’obbligo del referto. Pertanto, se non sia possibile escludere, in astratto, l’esistenza di nesso causale tra l’infortunio e la violazione di norme antinfortunistiche, l’omessa segnalazione alla competente autorità da parte del sanitario di ipotesi di reato perseguibili d’ufficio, integra gli estremi del delitto di cui all’art. 365 c.p. (Nella fattispecie la Corte ha annullato con rinvio la sentenza del pretore, che aveva escluso la responsabilità del sanitario sulla base delle sole dichiarazioni dell’infortunato, il quale aveva descritto quanto occorsogli come fatto meramente accidentale).
Cassazione penale sez. VI, 29/04/1998, n.7034
In tema di elemento psicologico del reato di omissione di referto, la valutazione da parte dell’esercente la professione sanitaria della perseguibilità di ufficio del delitto ravvisabile nel caso a lui sottoposto non deve essere fatta in astratto, ma in concreto, ossia con l’adozione di ogni criterio di giudizio che tenga conto delle peculiarità della situazione effettiva, dovendosi riconoscere al sanitario un margine di discrezionalità nell’apprezzamento della natura dell’infortunio in relazione al tipo di lesione riscontrata, alla descrizione dei fatti fornita dal paziente o dai suoi eventuali accompagnatori e agli altri possibili elementi di riscontro. (Fattispecie di lesioni da infortunio sul lavoro nella quale la S.C. ha escluso il dolo in capo al medico in ordine al contestato reato di cui all’art. 365 c.p., avuto riguardo alla totale assenza di indicazioni da parte del paziente circa la dinamica dell’infortunio, ed essendo stata anzi fornita dal medesimo una versione del fatto tale da escludere qualunque violazione delle norme a tutela della prevenzione degli infortuni sul lavoro).
Cassazione penale sez. II, 18/12/1998, n.1631
In tema di omissione di referto (art. 365 c.p.) – che costituisce reato di pericolo e non di danno – non può ritenersi consentito al medico, quando gli risulti che l’ambiente in cui si sono verificate lesioni personali gravi sia quello ove venga prestata, da parte del soggetto passivo, attività di lavoro subordinato, di valutare se il fatto lesivo sia da porre o meno in relazione all’avvenuta violazione, da parte del datore di lavoro, di norme concernenti la prevenzione degli infortuni; detta valutazione, infatti, è riservata al giudice e proprio ad essa è strumentale l’obbligatorietà della segnalazione da parte del sanitario. (In applicazione di tale principio la Corte ha annullato la decisione di merito che aveva assolto l’imputato sotto il profilo della carenza dell’elemento psicologico in ordine alla genesi delle lesioni da lui riscontrate in sede di visita).
Cassazione penale sez. VI, 29/04/1998, n.7034
L’elemento psicologico del reato di omissione di referto è il dolo, che richiede non solo la coscienza e volontà di omettere il referto, ma altresì la consapevolezza in capo al sanitario della sussistenza di un fatto delittuoso perseguibile d’ufficio, da ravvisare sulla base di una valutazione concreta del fatto da cui è derivata la lesione.
Cassazione penale sez. VI, 06/04/1998, n.499
Nell’ipotesi criminosa di cui all’art. 365 c.p., per stabilire se il caso in cui il sanitario ha prestato la propria assistenza od opera presenti i caratteri di un delitto perseguibile d’ufficio, è necessario adottare un criterio di valutazione che tenga conto della peculiarità in concreto di tale caso, agli effetti della possibilità che esso dia luogo alle condizioni richieste “ex lege” per la punibilità del delitto di omissione di referto.
Cassazione penale sez. VI, 06/04/1998, n.4829
In materia di omissione di referto, che è reato di pericolo e non di danno, per stabilire se il caso in merito al quale il sanitario ha prestato la propria assistenza o opera possa presentare i caratteri di un reato perseguibile di ufficio, è necessario far ricorso ad un criterio di valutazione che tenga conto della peculiarità in concreto di tale caso, agli effetti della possibilità che esso dia luogo alle condizioni richieste “ex lege” per la punibilità del delitto di cui all’art. 365 c.p.
Cassazione penale sez. VI, 20/03/1998, n.5829
In tema di omissione di referto, il convincimento del medico che all’onere di referto abbiano già adempiuto i sanitari intervenuti subito dopo la causazione delle lesioni si configura come erronea rappresentazione di un elemento di fatto idoneo ad escludere il dolo del delitto, inteso come rappresentazione ed intenzione dell’evento di pericolo proprio della fattispecie legale di cui all’art. 365 c.p., cioè la mancata immediata informazione dell’autorità giudiziaria.
Cassazione penale sez. VI, 27/02/1998, n.5949
Nel caso di lesioni gravi o gravissime riportate dal lavoratore subordinato nel corso della prestazione lavorativa, la possibilità di violazione di norme antinfortunistiche è “in re ipsa” e comporta di conseguenza l’obbligo di referto di cui all’art. 365 c.p. per il sanitario che intervenga a prestare la propria assistenza, senza che lo stesso debba accertare se e quale violazione si sia in concreto verificata. Quanto all’elemento soggettivo del reato, esso potrà escludersi solo quando l’agente abbia la certezza piena della inesistenza di qualunque possibilità di violazione di norme antinfortunistiche.
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