Non risponde di stalking colui che attraverso una pagina pubblica di Facebook si limita ad esercitare una critica aspra ed irriverente senza compiere atti persecutori ed invasivi della altrui vita privata.

Si segnala ai lettori del blog l’interessante sentenza numero 34512.2020, resa dalla V Sezione penale della Corte di Cassazione, pronunciatasi su un caso di atti persecutori ex art. 612 bis c.p., commessi a mezzo Facebook.

In particolare, la Suprema Corte, con la sentenza in commento,  esprime il principio di diritto secondo cui non integra la fattispecie di stalking la pubblicazione di post canzonatori e irridenti rivolti ad un soggetto identificato su una pagina pubblica di Facebook, in ragione della mancanza dell’elemento costitutivo della condotta persecutoria e invasiva, idonea ad ingenerare uno stato di ansia ovvero a cagionare il mutamento delle abitudini di vita della vittima – come si verificherebbe, invece, nell’ipotesi in cui tali messaggi fossero inviati in privato alla persona offesa (tramite SMS, messaggi Whatsapp o telefonate).

Per una migliore comprensione dell’argomento qui trattato, di seguito al commento della sentenza il lettore troverà:

(i) il testo della fattispecie incriminatrice;

(ii) la rassegna delle più significative massime riferite alle pronunce di legittimità in materia di stalking a mezzo internet, oltre agli approfondimenti sui reati informatici che il lettore può trovare nell’area del sito dedicata al tema.

Il reato contestato e il doppio giudizio di merito

Nel caso di specie all’imputato era contestato il delitto di atti persecutori ex art. 612 bis c.p., per aver minacciato e molestato le persone offese, mediante messaggi telefonici e sui social networks (attraverso la creazione di una pagina Facebook), a contenuto ingiurioso e diffamatorio, cagionando loro uno stato di grave e perdurante ansia e costringendoli a modificare le proprie abitudini di vita (cambiando numero telefonico e profilo Facebook).

La Corte di appello di Milano, in riforma della sentenza resa dal locale Tribunale, assolveva il prevenuto dal reato ascrittogli, ritendo no provati gli atti persecutori ritenuti sussistente dal primo giudice.

 

Il ricorso per cassazione, il giudizio di legittimità e il principio di diritto

Il Procuratore Generale presso la Corte di appello di Milano proponeva ricorso per cassazione avverso la decisione della Corte territoriale, deducendo violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al mancato riconoscimento da parte dei Giudici di merito della fattispecie contestata.

La Suprema Corte ha dichiara il ricorso inammissibile perché aspecifico.

Di seguito si riporta il principio di diritto espresso dalla Corte di Cassazione in materia di configurazione del delitto di atti persecutori a mezzo Facebook:

In tema di stalking, la pubblicazione di post meramente canzonatori ed irridenti su una pagina Facebook accessibile a chiunque non integra la condotta di atti persecutori di cui all’art. 612 bis cod. pen., mancando il requisito della invasività inevitabile connessa all’invio di messaggi ‘privati’ (mediante SMS, Whatsapp, e telefonate), e, se rientra nei limiti della legittima liberà di manifestazione del pensiero e del diritto di critica, è legittima”.

La fattispecie incriminatrice:

Art. 612 bis c.p. – Atti persecutori:

Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da un anno a sei anni e sei mesi chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita.

La pena è aumentata se il fatto è commesso dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa ovvero se il fatto è commesso attraverso strumenti informatici o telematici.

La pena è aumentata fino alla metà se il fatto è commesso a danno di un minore, di una donna in stato di gravidanza o di una persona con disabilità di cui all’articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ovvero con armi o da persona travisata.

Il delitto è punito a querela della persona offesa. Il termine per la proposizione della querela è di sei mesi. La remissione della querela può essere soltanto processuale. La querela è comunque irrevocabile se il fatto è stato commesso mediante minacce reiterate nei modi di cui all’articolo 612, secondo comma. Si procede tuttavia d’ufficio se il fatto è commesso nei confronti di un minore o di una persona con disabilità di cui all’articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, nonché quando il fatto è connesso con altro delitto per il quale si deve procedere d’ufficio.

 

La rassegna delle più significative massime in materia di atti persecutori:

Cassazione penale sez. V, 12/10/2020, n.31612

È abnorme il provvedimento con cui il giudice per le indagini preliminari, investito della richiesta di archiviazione per il reato di cui all’art. 612-bis cod. pen., ordini l’imputazione coatta anche per una frazione di condotta di atti persecutori oggetto di un diverso procedimento già archiviato.

 

Cassazione penale sez. I, 25/09/2020, n.28682

Nel delitto di atti persecutori, che ha natura di reato abituale di evento, l’elemento soggettivo è integrato dal dolo generico, il cui contenuto richiede la volontà di porre in essere più condotte di minaccia e molestia, nella consapevolezza della loro idoneità a produrre uno degli eventi alternativamente previsti dalla norma incriminatrice e dell’abitualità del proprio agire, ma non postula la preordinazione di tali condotte – elemento non previsto sul fronte della tipicità normativa – potendo queste ultime, invece, essere in tutto o in parte anche meramente casuali e realizzate qualora se ne presenti l’occasione.

 

Cassazione penale sez. V, 20/01/2020, n.17350

L’ammonimento del questore contenente l’invito a tenere una condotta conforme alla legge, diretto a colui che pone in essere condotte di stalking, non ha contenuto precettivo ma svolge una funzione preventiva e rafforzativa del precetto penale; infatti l’ammonito può aderire o meno al sopradetto provvedimento senza che da ciò derivi sanzione penale, essendo questa ricollegabile alle condotte illecite che egli dovesse eventualmente porre in essere nonostante l’ammonimento.

 

Cassazione penale sez. V, 17/09/2019, n.45141

Rischia il carcere per il reato di atti persecutori lo stalker che per diversi anni tormenta con offese, minacce e molestie la vittima, anche tramite social network, attaccandola con post pubblici offensivi e minacciosi. Le reiterate condotte dello stalker hanno ingenerato nella vittima un perdurante stato d’ansia, portandola a temere per la sua incolumità e a modificare le sue abitudini di vita. Per i Giudici, costituendo la fattispecie di atti persecutori, un reato abituale ad evento di danno, che prevede più eventi in posizione di equivalenza, uno solo di questi è sufficiente ad integrarne gli elementi costitutivi necessari, ovvero cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura, costringendo la vittima ad alterare le proprie abitudini di vita.

 

Cassazione penale sez. V, 01/03/2019, n.26049

Integra l’elemento materiale del delitto di atti persecutori la condotta di chi reiteratamente pubblica sui “social network” foto o messaggi aventi contenuto denigratorio della persona offesa – con riferimenti alla sfera della sua libertà sentimentale e sessuale – in violazione del suo diritto alla riservatezza .

 

Cassazione penale sez. V, 16/05/2018, n.40153

Si configura il delitto di atti persecutori nella ipotesi in cui, pur essendosi la condotta persecutoria instaurata in epoca antecedente, si accerti, anche dopo l’entrata in vigore del D.L. 23 febbraio 2009, n. 11, convertito con L. 23 aprile 2009, n. 38, la reiterazione di atti di aggressione e di molestia idonei a creare nella vittima lo status di persona lesa nella libertà morale in quanto condizionata da costante stato di ansia e di paura.

 

Cassazione penale sez. V, 28/11/2017, n.57764

Messaggi o filmati postati sui social network possono integrare l’elemento oggettivo del delitto di atti persecutori e l’attitudine dannosa di tale condotte non è tanto quella di costringere la vittima a subire offese o minaccia per via telematica, quanto quella di diffondere su internet dati, veri o falsi, fortemente dannosi.

 

Cassazione penale sez. V, 16/12/2015, n.21407

Nella fattispecie di stalking assume rilievo la reiterazione delle condotte e non il singolo episodio che pur potendo in ipotesi integrare in sé un autonomo reato va letto nell’ambito delle complessive attività persecutorie (nella specie, l’imputato aveva ingiuriato e denigrato anche attraverso il social network Facebook, seguendone gli spostamenti e limitando la loro vita di relazione, i genitori dell’ex convivente, affidatari dei figli della coppia).

 

Cassazione penale sez. V, 14/07/2014, n.46510

In tema di reato di atti persecutori (art. 612 bis c.p.), la prova dell’evento del delitto, ossia della causazione nella persona offesa di un grave e perdurante stato d’ansia o di paura, deve essere ancorata ad elementi sintomatici di tale turbamento psicologico ricavabili : dalle dichiarazioni della stessa vittima; dai suoi comportamenti conseguenti alla condotta posta in essere dall’agente; ed, infine, considerando anche la condotta del persecutore (nella specie, l’ossessività della condotta dell’imputato era stata rilevata dalla lettere di minacce e insulti, dalle numerose telefonate, dai pedinamenti, dalle continue molestie verbali e fisiche e dall’invio di sms e messaggi via Internet recapitati alla persona offesa, la quale aveva dovuto cambiare abitudini di vita e viveva in uno stato d’ansia e di paura).

 

Cassazione penale sez. V, 19/05/2011, n.29872

Il delitto di atti persecutori cd. stalking (art. 612 bis c.p.) è un reato che prevede eventi alternativi, la realizzazione di ciascuno dei quali è idonea ad integrarlo; pertanto, ai fini della sua configurazione non è essenziale il mutamento delle abitudini di vita della persona offesa, essendo sufficiente che la condotta incriminata abbia indotto nella vittima uno stato di ansia e di timore per la propria incolumità.

By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA