La diffamazione può configurarsi anche se per la comunicazione telematica è stata utilizzata la PEC sempre che sia prevedibile da parte dell’agente l’accessibilità del messaggio a terzi diversi dal destinatario.

Si segnala ai lettori del blog la sentenza numero 34831.2020, resa dalla V Sezione penale della Corte di Cassazione che, pronunciatasi su un caso di diffamazione a mezzo internet, si sofferma sull’idoneità delle comunicazioni trasmesse a mezzo PEC ad integrare il requisito della diffusione a più persone dell’addebito diffamatorio.

In particolare, la Suprema Corte, con la sentenza in commento, esprime il principio di diritto secondo cui l’invio di PEC a contenuto diffamatorio può integrare gli estremi del delitto contro l’onore, in quanto le caratteristiche di tale mezzo di comunicazione non escludono la potenziale accessibilità dei messaggi a terzi diversi dal destinatario.

Tuttavia, ai fini dell’accertamento della responsabilità penale, si richiede un onere di giustificazione rafforzato con riferimento all’elemento soggettivo del reato, dovendosi dimostrare la prevedibilità in concreto dell’accessibilità a terzi del messaggio diffamatorio e l’accettazione del rischio della relativa diffusione.

Per una migliore comprensione dell’argomento qui trattato, di seguito al commento della sentenza il lettore troverà:

(i) il testo della fattispecie incriminatrice;

(ii) gli arresti giurisprudenziali citati nella sentenza in commento;

(iii) la rassegna delle più significative e recenti massime riferite alle pronunce di legittimità in materia di diffamazione a mezzo internet, oltre agli approfondimenti sul tema che il lettore può trovare nell’area del sito dedicata ai reati informatici e reati comuni commessi con lo strumento informatico.

 

Il reato contestato e il doppio giudizio di merito

Nel caso di specie all’imputato era contestato il delitto di diffamazione ex art. 595 c.p. commesso a mezzo comunicazione trasmessa attraverso lo strumento della posta elettronica certificata.

Il Tribunale di Asti confermava la sentenza con la quale il Giudice di pace aveva condannato il prevenuto per il reato ascrittogli.

 

Il ricorso per cassazione, il giudizio di legittimità e il principio di diritto

La difesa del giudicabile proponeva ricorso per cassazione avverso la predetta decisione, articolando plurimi motivi di impugnazione.

Ai fini del presente commento riveste particolare interesse la doglianza del ricorrente dell’assenza del requisito della comunicazione a più persone, in ragione dell’utilizzo della posta elettronica certificata.

La Suprema Corte pur ritenendo infondato nel caso di specie la questione giuridica sollevata con il suddetto motivo di ricorso, ha annullato senza rinvio la sentenza impugnata ritenendo insussistente il fatto diffamatorio stante il corretto esercizio del diritto di critica ex art. 51 cod. pen.

Di seguito si riportano i passaggi più significativi tratti dalla parte motiva della pronuncia in commento:

“In tema di diffamazione, questa Corte ha reiteratamente affermato come l’invio di e-mail a contenuto diffamatorio, realizzato tramite l’utilizzo di internet, integra un’ipotesi di diffamazione aggravata, quando plurimi ne siano i destinatari (Sez. 5, n. 44980 del 16/10/2012), in presenza della prova dell’effettivo recapito dello stesso, ovvero che il messaggio sia stato “scaricato” mediante trasferimento sul dispositivo del destinatario (Sez. 5, n. 55386 del 22/10/2018).

In caso di invio multiplo, realizzato con lo strumento del “forward” a pluralità di destinatari, il reato di diffamazione si configura, invero, in forma aggravata ai sensi dell’art. 595, comma terzo, cod. pen., in considerazione del “particolare e formidabile mezzo di pubblicità della posta elettronica” (Sez. 5, n. 29221 del 06/04/2011). […]

Nel quadro così sommariamente delineato, si tratta qui di verificare se siffatti principi trovino applicazione tout court alle comunicazioni trasmesse a mezzo Posta Elettronica Certificata (c.d. PEC). […]

Le caratteristiche della PEC supra richiamate non escludono ex se la potenziale accessibilità a terzi, diversi dal destinatario, delle comunicazioni, attenendo la certificazione ai soli elementi estrinseci della comunicazione (data e ora di ricezione), e non già alla esclusiva conoscenza per il destinatario della e-mail originale.

Nondimeno, l’utilizzazione della PEC richiede un rafforzato onere di giustificazione riguardo l’elemento soggettivo del reato di diffamazione, in specie relativamente alla prevedibilità in concreto dell’accessibilità di terzi al contenuto dichiarativo, laddove il mittente opti per siffatto tipo di comunicazione proprio al fine della prova della ricevuta, avente valore legale, da parte del destinatario. Indici rivelatori, in tal senso, possono essere desunti dalla conoscenza delle prassi in uso al destinatario, ovvero dalla natura stessa dell’atto, se destinato all’esclusiva conoscenza del medesimo o se, invece, finalizzato all’attivazione di poteri propri di quest’ultimo che, necessariamente, implichino l’accessibilità delle informazioni da parte di terzi.

Nel caso in esame, la sentenza impugnata risolve, con argomentazione incensurabile, la prova dell’elemento strutturale di fattispecie (destinazione plurisoggettiva della comunicazione) e del dolo nelle osservazioni tecniche a firma dell’imputato ex se, che ne rendevano, alla stregua di una valutazione ex ante ed in concreto, del tutto prevedibile – ed anzi direttamente voluta – sia la destinazione plurisoggettiva del messaggio, che l’accettazione della diffusività”.

 

La fattispecie incriminatrice:

Art. 595 c.p. – Diffamazione

Chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo precedente, comunicando con più persone offende l’altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a 1.032 euro.

Se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato, la pena è della reclusione fino a due anni, ovvero della multa fino a 2.065 euro.

Se l’offesa è recata col mezzo della stampa [57-58-bis, 596-bis] o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità [615-bis], ovvero in atto pubblico [2699 c.c.], la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a 516 euro.

Se l’offesa è recata a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, o ad una sua rappresentanza, o ad una Autorità costituita in collegio [342], le pene sono aumentate [64, 596-599].

 

 

Le pronunce citate nella sentenza in commento:

Cassazione penale sez. V, 22/10/2018, n.55386

La diffamazione, che è reato di evento, si consuma nel momento e nel luogo in cui i terzi percepiscono le espressioni offensive e dunque, nel caso in cui frasi o immagini lesive siano state inserite in un messaggio di posta elettronica diretto a più destinatari, non è sufficiente il mero inserimento nella rete, ma occorre quanto meno la prova dell’effettivo recapito dello stesso, ovvero che il messaggio sia stato “scaricato” mediante trasferimento sul dispositivo del destinatario. (In motivazione la Corte ha precisato che tale prova non deve essere necessariamente frutto di accertamenti tecnici, potendo essere oggetto di testimonianza e anche di prova logica acquisita in via inferenziale, ad esempio facendo riferimento all’accertata abitudine del destinatario di accedere con frequenza al “server” di posta elettronica).

 

Cassazione penale sez. V, 16/10/2012, n.44980

L’invio di e-mail a contenuto diffamatorio, realizzato tramite l’utilizzo di internet, integra un’ipotesi di diffamazione aggravata e l’eventualità che fra i fruitori del messaggio vi sia anche la persona a cui si rivolgono le espressioni offensive, non consente di mutare il titolo del reato nella diversa ipotesi di ingiuria.

 

Cassazione penale sez. V, 06/04/2011, n.29221

Integra il reato di diffamazione aggravato ai sensi dell’art. 595, comma 3, c.p. (offese recate con la stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità), la diffusione delle espressioni offensive mediante il particolare e formidabile mezzo di pubblicità della posta elettronica, con lo strumento del “forward” a pluralità di destinatari.

 

La rassegna della giurisprudenza in materia di diffamazione a mezzo internet:

Cassazione penale sez. V, 25/02/2020, n.10905

Non costituisce reato di diffamazione rivolgere insulti attraverso una chat vocale sulla piattaforma Google Hangouts poiché destinatario del messaggio è unicamente la persona offesa.

 

Cassazione civile sez. VI, 06/02/2019, n.3540

Ai sensi degli artt. 214 e 215 c.p.c., in assenza di formale, tempestivo ed inequivoco disconoscimento, la copia fotostatica non autenticata prodotta in giudizio si ritiene riconosciuta tanto nella sua conformità all’originale quanto nella scrittura e sottoscrizione (confermata la condanna al risarcimento dei danni per diffamazione a mezzo mail proposta dagli attori nei confronti del ricorrente che lamenta la violazione degli artt. 2697 e 2712 c.c. Il giudice di merito aveva infatti ritenuto non tempestiva l’eccezione di disconoscimento delle fotocopie prodotte in giudizio quali riproduzione delle mail diffamatorie).

 

Cassazione penale sez. V, 22/10/2018, n.55386

Nell’ipotesi dell’invio di messaggi di posta elettronica, il requisito della comunicazione con più persone non può presumersi sulla base dell’inserimento del contenuto offensivo nella rete (e cioè, nel caso di specie, della loro spedizione), ma è necessaria quantomeno la prova dell’effettivo recapito degli stessi, sia esso la conseguenza di un’operazione automatica impostata dal destinatario ovvero di un accesso dedicato al server.

 

Cassazione penale sez. V, 23/01/2017, n.8482

L’uso dei social network, e quindi la diffusione di messaggi veicolati a mezzo internet integra un’ipotesi di diffamazione aggravata ai sensi dell’art. 595, comma 3, c.p., poiché trattasi di condotta potenzialmente capace di raggiungere un numero indeterminato o, comunque, quantitativamente apprezzabile di persone, qualunque sia la modalità informatica di condivisione e di trasmissione. Del resto, l’art. 595, comma 3, c.p., riferendo la diffamazione aggravata all’uso del mezzo della stampa ovvero disgiuntamente all’uso di ogni altro mezzo di pubblicità, rende evidente come la categoria dei mezzi di pubblicità sia più ampia del concetto di stampa, includendo tutti quei sistemi di comunicazione e, quindi, di diffusione – dal fax ai social media – che, grazie all’evoluzione tecnologica, rendono possibile la trasmissione di dati e notizie a un numero ampio o addirittura indeterminato di soggetti.

 

Cassazione penale sez. I, 02/12/2016, n.50

È del tribunale penale la competenza a giudicare la condotta consistente nella diffusione di messaggi minatori e offensivi attraverso il social network Facebook, configurando i reati di minacce e diffamazione aggravata ex art. 595, comma 3 c.p.

 

Cassazione penale sez. V, 14/11/2016, n.4873

La pubblicazione di un messaggio diffamatorio sulla bacheca Facebook con l’attribuzione di un fatto determinato configura il reato di cui all’art. 595, commi 2 e 3,c.p. ed è inclusa nella tipologia di qualsiasi altro mezzo di pubblicità e non nella diversa ipotesi del mezzo della stampa giustapposta dal Legislatore nel medesimo comma. Deve, infatti, tenersi distinta l’area dell’informazione di tipo professionale, diffusa per il tramite di una testata giornalistica online, dall’ambito – più vasto ed eterogeneo – della diffusione di notizie ed informazioni da parte di singoli soggetti in modo spontaneo. In caso di diffamazione mediante l’utilizzo di un social network, non è dunque applicabile la disciplina prevista dalla l. n. 47/1948, ed in particolare, l’aggravante ad effetto speciale di cui all’art. 13. L’uso dei social network, e quindi la diffusione di messaggi veicolati a mezzo internet, integra un’ipotesi di diffamazione aggravata con altro mezzo di pubblicità – anziché con il mezzo della stampa – ai sensi dell’art. 595, comma 3,c.p. in quanto rientrante in una categoria più ampia, comprensiva di tutti quei sistemi di comunicazione e, quindi, di diffusione – dai fax ai social media – che, grazie all’evoluzione tecnologica, rendono possibile la trasmissione di dati e notizie ad un consistente numero di persone. In caso di diffamazione mediante l’utilizzo di un social network, non è dunque applicabile la disciplina prevista dalla l. n. 47/1948, ed in particolare, l’aggravante ad effetto speciale di cui all’art. 13.

 

Cassazione penale sez. V, 13/07/2015, n.8328

La condotta di postare un commento sulla bacheca Facebook realizza la pubblicizzazione e la diffusione di esso, per la idoneità del mezzo utilizzato a determinare la circolazione del commento tra un gruppo di persone, comunque, apprezzabile per composizione numerica, sicché, se tale commento ha carattere offensivo, la relativa condotta rientra nella tipizzazione codicistica descritta dall’art. 595 c.p.

 

Cassazione penale sez. V, 18/03/2014, n.46458

Deve escludersi l’ipotesi di diffamazione nei confronti dell’imputato che a mezzo mail manifesti l’intenzione di perseguire in giudizio il destinatario a causa di gravi imperizie palesate nel corso di lavori di ristrutturazione di un immobile, commissionati dallo stesso imputato, e nella quale si addebitavano incapacità, millanterie ed imperizie “persino imbarazzanti”, atteso che, pur utilizzando senz’altro espressioni di forte censura, invocando la grossolanità delle imperizie che egli aveva ritenuto di riscontrare e parlando di incapacità e millanterie rispetto alla professionalità che gli era stata garantita, non ha valicato i limiti della continenza, da intendere superati solo al cospetto di espressioni che, in quanto gravemente infamanti e inutilmente umilianti, trasmodino in una mera aggressione verbale del soggetto criticato.

 

Cassazione penale sez. V, 30/10/2013, n.4031

In tema di diffamazione, è configurabile l’esimente dell’esercizio del diritto di critica politica nel caso in cui un consigliere di minoranza di un ordine professionale diffonda – a mezzo “e mail”- la notizia di aver presentato un esposto nei confronti di altri consiglieri del medesimo ordine, con l’accusa di aver percepito indebitamente rimborsi per la partecipazione ad un convegno, in quanto gli ordini professionali sono, ai sensi degli artt. 45-49 del d.P.R. n. 328 del 2001, enti di diritto pubblico, ferma restando la necessità di verificare che la riprovazione non trasmodi in un attacco personale portato direttamente alla sfera privata dell’offeso e non sconfini nella contumelia e nella lesione della reputazione dell’avversario.

By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA