Incidente mortale sul lavoro: la responsabilità penale non può essere affermata se nella contestazione non è individuata la posizione di garanzia e la regola cautelare violata dall’imputato

Si segnala ai lettori del blog la sentenza numero 36778.2020, resa dalla IV Sezione penale della Corte di Cassazione che, pronunciatasi su un caso di omicidio colposo aggravato dalla violazione della normativa a tutela della sicurezza sul lavoro, si sofferma sul tema della culpa in vigilando ascrivibile al datore di lavoro, con riferimento a prassi incaute adottate dai lavoratori.

In particolare, la Suprema Corte, con la sentenza in commento, dando continuità al più recente orientamento giurisprudenziale sedimentato sul punto di diritto, esprime il principio secondo cui, ai fini del riconoscimento della responsabilità penale per culpa in vigilando del datore di lavoro, è necessario accertare la conoscenza o conoscibilità da parte del garante della sicurezza di prassi incaute, elusive delle prescrizioni a tutela dell’incolumità dei lavoratori, come presupposto per l’esigibilità del comportamento doveroso omesso dal datore di lavoro.

Per una migliore comprensione dell’argomento qui trattato, di seguito al commento della sentenza il lettore troverà:

(i) il testo della fattispecie incriminatrice;

(ii) gli arresti giurisprudenziali citati nella parte motiva della sentenza numero 36778.2020;

(iii) la rassegna delle più significative e recenti massime riferite alle pronunce di legittimità in materia di posizione di garanzia del datore di lavoro, oltre agli approfondimenti sul tema che il lettore può trovare nell’area del sito.

 

L’infortunio sul lavoro, il reato contestato e il doppio giudizio di merito

Nel caso di specie, il lavoratore, impegnato al quadro comandi del macchinario per la cesoiatura e punzonatura di fogli metallici, in seguito all’inceppamento del meccanismo, si introduceva in un’area pericolosa attraverso un cancelletto realizzato abusivamente al fine di sbloccare la macchina, anziché accedervi tramite l’apposito varco protetto, munito di fotocellule che avrebbero bloccato il funzionamento della macchina.

Nel frattempo il carrello di alimentazione ripartiva, travolgendo il lavoratore con conseguente decesso.

All’imputato tratto a giudizio nella qualità di legale rappresentate della società e datore di lavoro, era stato  contestato il delitto di omicidio colposo, per aver disposto la realizzazione del cancelletto abusivo.

Alla società era contestato l’illecito amministrativo ex art. 25 septies D.lgs. 231/2001, connesso alla realizzazione del reato presupposto di omicidio colposo, commesso nell’interesse e a vantaggio dell’ente.

La Corte di appello di Bologna in accoglimento dell’appello del PM  riformava la sentenza con la quale il Tribunale di Rimini aveva assolto la persona fisica e l’ente, condannandoli rispettivamente per il reato contro la persona e l’illecito amministrativo loro ascritti.

In particolare, la Corte territoriale, ravvisava in capo al garante della sicurezza una culpa in vigilando, per aver omesso di vigilare in ordine alla realizzazione e utilizzo del cancelletto, la cui presenza era nota all’interno della fabbrica.

Il ricorso per cassazione, il giudizio di legittimità e il principio di diritto

La difesa del giudicabile e della persona giuridica condannata per l’illecito amministrativo proponeva ricorso per cassazione avverso la decisione di secondo grado, articolando plurimi motivi di impugnazione.

La Corte di Cassazione annulla la sentenza impugnata con rinvio per un nuovo esame ad altra sezione della Corte distrettuale atteso il vizio di motivazione in ordine alla conoscenza da parte del datore di lavoro dell’utilizzo della prassi incauta seguita dal lavoratore vittima dell’infortunio mortale.

Di seguito si riportano i passaggi più significativi tratti dalla parte motiva della pronuncia in commento:

“E’, allora, del tutto pertinente il richiamo del ricorrente all’arresto giurisprudenziale in base al quale non può essere ascritta al datore di lavoro la responsabilità di un evento lesivo o letale per culpa in vigilando qualora non venga raggiunta la certezza della conoscenza o della conoscibilità, da parte sua, di prassi incaute, neppure sul piano inferenziale (ossia sulla base di una finalizzazione di tali prassi a una maggiore produttività), dalle quali sia scaturito l’evento (Sez. 4, n. 20833 del 15/05/2019).

Del resto in termini affatto analoghi si é espressa la giurisprudenza di legittimità in altro, recente arresto, in base al quale, in tema di infortuni sul lavoro, in presenza di una prassi dei lavoratori elusiva delle prescrizioni volte alla tutela della sicurezza, non é ravvisabile la colpa del datore di lavoro, sotto il profilo dell’esigibilità del comportamento dovuto omesso, ove non vi sia prova della sua conoscenza, o della sua colpevole ignoranza, di tale prassi (Sez. 4, n. 32507 del 16/04/2019).

Nel caso di specie, si ripete, neppure é stata argomentata nella sentenza impugnata la prova dell’esistenza di una prassi in tal senso; ma, quand’anche tale prova fosse emersa in giudizio, sarebbe stato comunque necessario accertare ulteriormente – quanto meno in via logica, e non certo sulla sola base dell’astratta posizione di garanzia – che il datore di lavoro fosse, o dovesse necessariamente essere, a conoscenza della prassi incauta”.

 

La fattispecie incriminatrice:

Art. 589 c.p. – Omicidio colposo

Chiunque cagiona per colpa [43] la morte di una persona è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni [586].

Se il fatto è commesso con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro la pena è della reclusione da due a sette anni.

Se il fatto e’ commesso nell’esercizio abusivo di una professione per la quale e’ richiesta una speciale abilitazione dello Stato o di un’arte sanitaria, la pena e’ della reclusione da tre a dieci anni.

Nel caso di morte di più persone, ovvero di morte di una o più persone e di lesioni di una o più persone [590], si applica la pena che dovrebbe infliggersi per la più grave delle violazioni commesse aumentata fino al triplo, ma la pena non può superare gli anni quindici.

Le pronunce citate nella sentenza in commento:

Cassazione penale sez. IV, 03/04/2019, n.20833

In tema di infortuni sul lavoro, il datore di lavoro è responsabile del mancato intervento finalizzato ad assicurare l’utilizzo in sicurezza di macchinari e apparecchiature provvisti di dispositivi di protezione e, in tal senso, del fatto di esigere che tali dispositivi non vengano rimossi. Peraltro, in caso di infortuni derivanti dalla rimozione delle protezioni a corredo dei macchinari, anche laddove tale rimozione si innesti in prassi aziendali diffuse e ricorrenti, non si può ascrivere tale condotta omissiva al datore di lavoro laddove non si abbia la certezza che egli fosse a conoscenza di tali prassi o che le avesse colposamente ignorate. In effetti, tale certezza può, in alcuni casi inferirsi sul piano logico (ad esempio, qualora la rimozione dei dispositivi di protezione sia univocamente frutto di una precisa scelta aziendale chiaramente finalizzata ad una maggiore produttività). Ma quando non vi siano elementi di natura logica per dedurre la conoscenza o la certa conoscibilità di prassi aziendali incaute da parte del titolare della posizione di garanzia datoriale, è necessaria l’acquisizione di elementi probatori certi e oggettivi che attestino tale conoscenza/conoscibilità: diversamente opinando, infatti, si porrebbe in capo al datore di lavoro una responsabilità penale “di posizione” tale da eludere l’accertamento della prevedibilità dell’evento e da sconfinare, in modo inaccettabile, nella responsabilità oggettiva (nella specie, è stata annullata con rinvio la sentenza di condanna perché motivata in modo carente sulla conoscenza da parte del datore di lavoro della prassi aziendale irregolare che aveva determinato l’incidente, non risultando approfondita la circostanza che gli addetti alla vigilanza avessero effettivamente informato di tale prassi il datore di lavoro, anche in ragione della dimensione dell’azienda).

 

Cassazione penale sez. IV, 16/04/2019, n.32507

In tema di infortuni sul lavoro, in presenza di una prassi dei lavoratori elusiva delle prescrizioni volte alla tutela della sicurezza, non è ravvisabile la colpa del datore di lavoro, sotto il profilo dell’esigibilità del comportamento dovuto omesso, ove non vi sia prova della sua conoscenza, o della sua colpevole ignoranza, di tale prassi. (In applicazione di tale principio la Corte ha annullato senza rinvio, “perché il fatto non costituisce reato”, la sentenza di condanna del legale rappresentante di una società di raccolta rifiuti per l’omicidio colposo di un lavoratore deceduto perché, dopo aver ritirato l’ultimo sacchetto di rifiuti, anziché salire nella cabina del camion, si era aggrappato dietro allo stesso, rilevando che la vigilanza che i veicoli venissero utilizzati in maniera conforme alle prescrizioni contenute nel documento di valutazione dei rischi era stata delegata ai capisquadra presenti sui mezzi, e che era impossibile una diuturna vigilanza su mezzi circolanti ininterrottamente).

 

La rassegna delle più recenti massime in materia di posizione di garanzia del datore di lavoro:

Cassazione penale sez. IV, 18/09/2020, n.26618

In tema di sicurezza sul lavoro e normativa antinfortunistica, la condotta colposa del lavoratore può considerarsi abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l’evento lesivo laddove abbia attivato un rischio eccentrico o esorbitante la sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia.

 

Cassazione penale sez. IV, 15/01/2020, n.10123

In tema di prevenzione di infortuni sul lavoro, il datore di lavoro deve vigilare per impedire l’instaurazione di prassi “contra legem” foriere di pericoli per i lavoratori, con la conseguenza che, in caso di infortunio del dipendente, la condotta del datore di lavoro che abbia omesso ogni forma di sorveglianza circa la pericolosa prassi operativa instauratasi, integra il reato di omicidio colposo aggravato dalla violazione delle norme antinfortunistiche. (Nella fattispecie, relativa al decesso di un lavoratore colpito da una macchina escavatrice perché, in violazione dell’art. 12, comma 3, d.P.R. 7 gennaio 1956, n. 164, si trovava nel campo di azione di tale mezzo, la Corte ha annullato con rinvio la sentenza di assoluzione del datore di lavoro che aveva escluso l’obbligo giuridico del datore di lavoro di impedire la presenza dei lavoratori nello scavo, secondo la prassi instauratasi in contrasto con la legge).

 

Cassazione penale sez. IV, 08/05/2019, n.27787

In tema di prevenzione di infortuni sul lavoro, il datore di lavoro deve non solo predisporre le idonee misure di sicurezza ed impartire le direttive da seguire a tale scopo, ma anche, e soprattutto, controllarne costantemente il rispetto da parte dei lavoratori, di guisa che sia evitata la superficiale tentazione di trascurarle.(Fattispecie relativa a responsabilità del datore di lavoro, che aveva colposamente cagionato la morte di un lavoratore impiegato in attività di taglio di piante in assenza di adeguata formazione, nonostante l’inesperienza e la carenza di conoscenze tecniche del lavoratore nel settore di riferimento).

 

Cassazione penale sez. IV, 16/04/2019, n.32507

In tema di infortuni sul lavoro, nel caso di morte di un lavoratore addetto alla raccolta dei rifiuti, a seguito di caduta in terra per essere salito in piedi sul retro del veicolo in movimento nonostante la mancanza delle apposite pedane esterne e delle relative maniglie, non è configurabile la responsabilità del datore di lavoro per avere omesso la formazione e informazione circa il corretto uso del mezzo, difettando, in tal caso, il necessario requisito della causalità della colpa ovvero la riconducibilità dell’evento alla violazione della norma cautelare, a fronte di manovra pericolosa immediatamente percepibile da chiunque senza necessità di formazione alcuna.

 

Cassazione penale sez. IV, 03/04/2019, n.20833

In tema di infortuni sul lavoro, il datore di lavoro è responsabile del mancato intervento finalizzato ad assicurare l’utilizzo in sicurezza di macchinari e apparecchiature provvisti di dispositivi di protezione e, in tal senso, del fatto di esigere che tali dispositivi non vengano rimossi. Peraltro, in caso di infortuni derivanti dalla rimozione delle protezioni a corredo dei macchinari, anche laddove tale rimozione si innesti in prassi aziendali diffuse e ricorrenti, non si può ascrivere tale condotta omissiva al datore di lavoro laddove non si abbia la certezza che egli fosse a conoscenza di tali prassi o che le avesse colposamente ignorate. In effetti, tale certezza può, in alcuni casi inferirsi sul piano logico (ad esempio, qualora la rimozione dei dispositivi di protezione sia univocamente frutto di una precisa scelta aziendale chiaramente finalizzata ad una maggiore produttività). Ma quando non vi siano elementi di natura logica per dedurre la conoscenza o la certa conoscibilità di prassi aziendali incaute da parte del titolare della posizione di garanzia datoriale, è necessaria l’acquisizione di elementi probatori certi e oggettivi che attestino tale conoscenza/conoscibilità: diversamente opinando, infatti, si porrebbe in capo al datore di lavoro una responsabilità penale “di posizione” tale da eludere l’accertamento della prevedibilità dell’evento e da sconfinare, in modo inaccettabile, nella responsabilità oggettiva (nella specie, è stata annullata con rinvio la sentenza di condanna perché motivata in modo carente sulla conoscenza da parte del datore di lavoro della prassi aziendale irregolare che aveva determinato l’incidente, non risultando approfondita la circostanza che gli addetti alla vigilanza avessero effettivamente informato di tale prassi il datore di lavoro, anche in ragione della dimensione dell’azienda).

 

Cassazione penale sez. IV, 20/03/2019, n.27871

In tema di infortuni sul lavoro, perché possa ritenersi che il comportamento negligente, imprudente e imperito del lavoratore, pur tenuto in esplicazione delle mansioni allo stesso affidate, costituisca concretizzazione di un “rischio eccentrico”, con esclusione della responsabilità del garante, è necessario che questi abbia posto in essere anche le cautele che sono finalizzate proprio alla disciplina e governo del rischio di comportamento imprudente, così che, solo in questo caso, l’evento verificatosi potrà essere ricondotto alla negligenza del lavoratore, piuttosto che al comportamento del garante. (Fattispecie in tema di omicidio colposo, in cui la Corte ha ritenuto esente da censure la sentenza che aveva affermato la responsabilità del datore di lavoro in quanto la mancata attuazione delle prescrizioni contenute nel Pos e la mancata informazione del lavoratore avevano determinato l’assenza delle cautele volte a governare anche il rischio di imprudente esecuzione dei compiti assegnati al lavoratore infortunato).

 

Cassazione penale sez. IV, 20/06/2018, n.29514

Qualora sia riscontrabile una forte criticità nel sistema di sicurezza approntato dal datore di lavoro, non si può invocare l’interruzione del nesso di causalità facendo riferimento a condotte del lavoratore solo perché queste risultino ‘eccentriche’ o ‘non corrette’ rispetto alle mansioni tipiche. Ciò in quanto le disposizioni antinfortunistiche perseguono il fine di tutelare il lavoratore anche dagli infortuni derivanti da sua colpa, onde l’area del rischio da gestire include il rispetto della normativa prevenzionale che si impone ai lavoratori, dovendo il datore di lavoro dominare ed evitare l’instaurarsi, da parte degli stessi destinatari delle direttive di sicurezza, di prassi di lavoro non corrette e per tale ragione foriere di pericoli.

 

Cassazione penale sez. III, 09/11/2017, n.28492

I titolari e i responsabili di enti ed imprese rispondono del reato di abbandono incontrollato di rifiuti non solo a titolo commissivo, ma anche sotto il profilo della omessa vigilanza sull’operato dei dipendenti che abbiano posto in essere la condotta di abbandono; per attribuire l’esclusiva responsabilità al dipendente è necessario che la condotta incriminata sia frutto di una autonoma iniziativa del lavoratore contro le direttive ed all’insaputa del datore di lavoro, specie quando la condotta sia posta in essere, come nel caso di specie, dall’autista della società, di cui l’imputata era la legale rappresentante, nel mentre si trovava da solo alla guida del mezzo sul quale erano caricati i rifiuti.

By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA