Per superare la presunzione di pari responsabilità con il chirurgo che ha eseguito l’intervento errato la struttura deve provare la colpa esclusiva del medico e la derivazione del danno da una sua condotta esclusiva dissonante rispetto al piano dell’ordinaria prestazione connessa al contratto di spedalità
Si segnala ai lettori del blog l’ordinanza numero 24688.2020, resa dalla III Sezione civile della Corte di Cassazione che, pronunciatasi su un caso di malpractice medica, si sofferma sul tema della responsabilità contrattuale della struttura sanitaria per il fatto imputabile al professionista sanitario della quale essa si è avvalso ed i criteri di riparto dell’obbligazione risarcitoria che spetta al danneggiato.
In particolare, la Suprema Corte, con l’ordinanza in commento, esprime il principio di diritto secondo cui la struttura sanitaria che si avvale della collaborazione di ausiliari risponde dei pregiudizi da questi cagionati, in ragione del rischio connaturato nell’utilizzazione di terzi per l’adempimento dell’obbligazione con il paziente.
Per vincere la presunzione della pari contribuzione dei condebitori – struttura sanitaria e medico – alla causazione del danno, in capo alla struttura sanitaria sorge l’onere di provare la colpa esclusiva del professionista e la derivazione causale dell’evento dannoso da una condotta esorbitante rispetto alle ordinarie prestazioni previste dai servizi di spedalità.
Per una migliore comprensione dell’argomento qui trattato, di seguito al commento della sentenza il lettore troverà:
(i) gli arresti giurisprudenziali citati nella parte motiva dell’ordinanza numero 24688.2020;
(ii) la rassegna delle più recenti massime riferite alle pronunce di legittimità in materia di responsabilità della struttura sanitaria, oltre agli approfondimenti sul tema che il lettore può trovare nell’area del sito dedicata alla trattazione degli aspetti civili e penale della responsabilità del medico e della struttura.
Il caso clinico, la domanda di risarcimento del danno e la doppia conforme di merito
Nel caso di specie, l’attore conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Milano, la struttura sanitaria ed il medico, al fine di ottenere il risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale cagionato dalla cattiva esecuzione di un intervento chirurgico.
I convenuti si costituivano in giudizio chiedendo il rigetto della domanda di risarcimento dopo aver esteso il contraddittorio alla compagnia assicuratrice chiamata in manleva dalla struttura sanitaria.
La Corte di appello di Milano, rigettando gli appelli, confermava la sentenza con la quale il locale Tribunale aveva accolto la domanda attorea e condannato in solido i convenuti al risarcimento dei danni.
Il ricorso per cassazione, il giudizio di legittimità e il principio di diritto
La difesa della struttura sanitaria soccombente nel doppio grado di giudizio proponeva ricorso per cassazione avverso la sentenza di secondo grado, deducendo, con un unico motivo di ricorso, la violazione dell’art. 1298 c.c., con riferimento al contratto di spedalità, contestando la presunzione di parità dell’obbligazione risarcitoria intercorrente nei rapporti interni tra i debitori ravvisata dalla Corte territoriale.
Resistevano con controricorso le altre parti del giudizio.
La Suprema Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso.
Di seguito si riportano i passaggi più significativi tratti dalla parte motiva della pronuncia in commento:
“La Corte d’Appello senza incorrere in alcun errore ha fatto corretta applicazione della normativa di riferimento e della giurisprudenza in materia, posto che la responsabilità della struttura sanitaria è una responsabilità definita a doppio binario, giacché essa origina da due fatti distinti: quella derivante dall’inadempimento di quegli obblighi che presiedono per legge all’erogazione del servizio sanitario (i quali, ad esempio, danno luogo a responsabilità per infezioni nosocomiali, per difetto di organizzazione e per carenze tecniche, per mancata sorveglianza); quella derivante dall’attività illecita, trovante occasione nell’erogazione del servizio sanitario, imputabile a coloro della cui attività il nosocomio si sia avvalso, ex art. 1228 cod.civ.
Applicando la giurisprudenza di questa Corte, deve ritenersi che, avendo [omissis] operato nel contesto dei servizi resi dalla ricorrente, la sua condotta negligente non potesse essere “isolata” dal più ampio complesso delle scelte organizzative, di politica sanitaria e di razionalizzazione dei propri servizi operate dalla struttura, di cui il medico stesso era parte integrante, vieppiù considerando che il già citato art. 1228 cod.civ. fonda, a sua volta, l’imputazione al debitore degli illeciti commessi dai suoi ausiliari sulla libertà del titolare dell’obbligazione di decidere come provvedere all’adempimento, accettando il rischio connesso alle modalità prescelte, secondo la struttura di responsabilità da rischio d’impresa (cuius commoda eius et incommoda) ovvero, descrittivamente, secondo la responsabilità organizzativa nell’esecuzione di prestazioni complesse: così Cass. 11/11/2019, n. 28987, in motivazione.
Ne consegue che, essendosi la ricorrente avvalsa della “collaborazione” di [omissis] era tenuta a rispondere dei pregiudizi da costui cagionati (danno): precisando che “la responsabilità di chi si avvale dell’esplicazione dell’attività del terzo per l’adempimento della propria obbligazione contrattuale trova radice non già in una colpa “in eligendo” degli ausiliari o “in vigilando” circa il loro operato, bensì nel rischio connaturato all’utilizzazione dei terzi nell’adempimento dell’obbligazione (Cass., 27/03/2015, n. 6243), realizzandosi, e non potendo obliterarsi, l’avvalimento dell’attività altrui per l’adempimento della propria obbligazione, comportante l’assunzione del rischio per i danni che al creditore ne derivino (cfr. Cass., 06/06/ 2014, n. 12833)” (Cass. n. 28987/2019, cit.). […]
In linea astratta, va sottolineato che spettava alla clinica vincere la presunzione di responsabilità di pari contribuzione al danno da parte dei condebitori in solido, provando la diversa misura delle colpe e della derivazione causale del sinistro: non bastando ad escludere la sua corresponsabilità la mera affermazione che l’inadempimento fosse ascrivibile alla condotta del medico, ma occorrendo considerare il duplice titolo in ragione del quale la struttura era stata chiamata a rispondere del proprio operato, sicché sarebbe stato suo onere dimostrare non soltanto la colpa esclusiva del medico, ma la derivazione causale dell’evento dannoso da una condotta del tutto dissonante rispetto al piano dell’ordinaria prestazione dei servizi di spedalità, in un’ottica di ragionevole bilanciamento del peso delle rispettive responsabilità sul piano dei rapporti interni.
L’accertamento del fatto di inadempimento imputato al sanitario, come in questo caso, non fa venire meno i presupposti né della responsabilità della struttura ai sensi dell’art. 1228 cod.civ. (posto che l’illecito dell’ausiliario è requisito costitutivo della responsabilità del debitore), né della responsabilità della stessa struttura ai sensi dell’art. 1218 cod.civ., spettando alla struttura l’onere di dimostrare l’avvenuto esatto adempimento, “onere che va tenuto fermo anche in relazione ai rapporti interni tra condebitori solidali proprio al fine di verificare se la presunzione pro quota paritaria possa dirsi superata” (Cass. 05/07/2017, n. 16488); in assenza di prova (il cui onere grava sulla struttura sanitaria adempiente) in ordine all’assorbente responsabilità del medico intesa come grave, ma anche straordinaria, soggettivamente imprevedibile e oggettivamente improbabile “malpractice”, deve ritenersi che correttamente si applichi il principio presuntivo di cui è espressione l’art. 1298 cod.civ., comma”.
Le pronunce citate nell’ordinanza in commento:
Cassazione civile sez. III, 11/11/2019, n.28987
La responsabilità della struttura che si avvale della “collaborazione” dei sanitari persone fisiche per l’adempimento della propria obbligazione contrattuale, trova radice non già in una colpa “in eligendo” degli ausiliari o “in vigilando” circa il loro operato, bensì nel rischio connaturato all’utilizzazione dei terzi nell’adempimento della propria obbligazione, e ciò con la conseguenza che quest’ultima si trova, del pari al sanitario, a dover rispondere ex art. 1228 c.c. dei pregiudizi da costoro eventualmente cagionati.
Cassazione civile sez. III, 05/07/2017, n.16488
In tema di responsabilità sanitaria, la responsabilità della struttura (casa di cura o ente ospedaliero) nei confronti del paziente ha natura contrattuale che può dirsi “diretta” ex art. 1218 c.c., in relazione a propri fatti d’inadempimento, ed “indiretta” ex art. 1228 c.c., perché derivante dall’inadempimento della prestazione medico-professionale svolta direttamente dal sanitario, quale ausiliario necessario dell’ente pur in assenza di un rapporto di lavoro subordinato. Di conseguenza l’accertamento dell’inadempimento imputato al sanitario non fa venir meno i presupposti di responsabilità della struttura e, nei rapporti interni, permane a carico di ciascun debitore l’onere di dimostrare il proprio esatto adempimento al fine anche del superamento della presunzione di riparto dell’obbligazione risarcitoria solidale in parti uguali.
Cassazione civile sez. III, 27/03/2015, n.6243
L’Asl è responsabile ex art. 1228 c.c. del fatto illecito commesso dal medico generico, con essa convenzionato, nell’esecuzione di prestazioni curative che siano comprese tra quelle assicurate e garantite dal S.s.n. in base ai livelli stabiliti dalla legge.
Cassazione civile sez. III, 06/06/2014, n.12833
La responsabilità di chi si avvale di terzi per l’adempimento della propria obbligazione contrattuale trova fondamento nel rischio connaturato alla loro utilizzazione sicchè, nell’ipotesi di minore affidato ad un centro estivo comunale, il Comune è direttamente responsabile qualora l’evento dannoso patito dal minore sia da ascriversi alla condotta colposa del terzo (nella specie alla condotta negligente della vigilatrice), della cui attività l’ente territoriale si era avvalso per l’adempimento delle prestazioni ricreative oggetto del contratto stipulato con i genitori del minore.
Le più recenti massime in materia di responsabilità della struttura sanitaria:
Cassazione civile sez. III, 09/07/2020, n.14615
Il rapporto contrattuale tra il paziente e la struttura sanitaria o il medico esplica i suoi effetti tra le sole parti del contratto, sicché l’inadempimento della struttura o del professionista genera responsabilità contrattuale esclusivamente nei confronti dell’assistito, che può essere fatta valere dai suoi congiunti “iure hereditario”, senza che questi ultimi, invece, possano agire a titolo contrattuale “iure proprio” per i danni da loro patiti. In particolare, non è configurabile, in linea generale, in favore di detti congiunti, un contratto con effetti protettivi del terzo, ipotesi che va circoscritta al contratto concluso dalla gestante con riferimento alle prestazioni sanitarie afferenti alla procreazione che, per la peculiarità dell’oggetto, è idoneo ad incidere in modo diretto sulla posizione del nascituro e del padre, sì da farne scaturire una tutela estesa a tali soggetti. (Nella specie, la S.C. ha escluso la spettanza dell’azione contrattuale “iure proprio” agli eredi di un soggetto ammalatosi e poi deceduto a causa di infezione da HCV contratta a seguito di emotrasfusioni eseguite presso un ospedale, precisando che essi avrebbero potuto eventualmente beneficiare della tutela aquiliana per i danni da loro stessi subiti).
Cassazione civile sez. III, 08/07/2020, n.14258
In tema di richiesta di risarcimento danni avanzata dagli stretti congiunti di un paziente con problemi psichici ricoverato presso una struttura sanitaria, qualora essi facciano valere il danno patito “iure proprio” da perdita del rapporto parentale, in particolare nel caso in cui l’iniziativa autolesionistica del malato si risolva in un atto suicidario portato a compimento a causa dell’omessa vigilanza, deve escludersi che l’azione esercitata sia riconducibile alla previsione dell’art. 1218 c.c., poiché il rapporto contrattuale è intercorso solo tra la menzionata struttura ed il ricoverato; ne consegue che l’ambito risarcitorio nel quale la domanda deve essere inquadrata è necessariamente di natura extracontrattuale, atteso che questi ultimi non possono essere nella specie qualificati “terzi protetti dal contratto”, potendo postularsi l’efficacia protettiva verso terzi del contratto concluso tra il nosocomio ed il paziente esclusivamente ove l’interesse del quale tali terzi siano portatori risulti anch’esso strettamente connesso a quello regolato già sul piano della programmazione negoziale.
Cassazione civile sez. III, 26/02/2020, n.5128
In tema di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria e di responsabilità professionale da contatto sociale del medico, ai fini del riparto dell’onere probatorio l’attore, il paziente danneggiato, deve limitarsi a provare l’esistenza del contratto (o il contatto sociale) e l’insorgenza o l’aggravamento della patologia ed allegare l’inadempimento del debitore, astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato, rimanendo a carico del debitore dimostrare che tale inadempimento non vi è stato ovvero che, pur esistendo, esso non è stato eziologicamente rilevante (nella specie, una paziente di un centro odontoiatrico aveva agito nei confronti dello stesso nonché del direttore sanitario lamentando che le cure ricevute si erano rivelate errate al punto da peggiorare, anziché risolvere, i problemi).
Cassazione civile sez. I, 13/02/2020, n.3660
In tema di trattamento sanitario obbligatorio, sebbene il sistema di tutela giurisdizionale contro il provvedimento che lo dispone non contempli la partecipazione necessaria dell’azienda sanitaria, non si può escludere l’interesse di colui che è sottoposto alla procedura, e di chiunque abbia interesse ad impugnare, di convenire in giudizio anche l’azienda per accertare eventuali profili di responsabilità connessi all’attività compiuta dai medici della struttura sanitaria pubblica nel promovimento, nel compimento e nella conclusione della procedura, sussistendo in queste ipotesi anche l’interesse qualificato dell’azienda a partecipare al giudizio per difendere il proprio operato.
Cassazione civile sez. III, 08/01/2020, n.122
In materia di responsabilità medica, ai fini della responsabilità della struttura sanitaria, il ritardo nell’esecuzione del taglio cesareo può essere considerato causa esclusiva dei danni subiti dalla partoriente, soltanto all’esito di una valutazione complessiva delle condizioni della paziente all’ingresso nella struttura.
Cassazione civile sez. VI, 02/09/2019, n.21939
In tema di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria, incombe sul paziente che agisce per il risarcimento del danno l’onere di provare – secondo il criterio del “più probabile che non” – l’esistenza del nesso causale tra l’azione o l’omissione dei sanitari e l’evento di danno (aggravamento della patologia esistente o insorgenza di una nuova malattia).
Cassazione civile sez. III, 23/10/2018, n.26700
In tema di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria, incombe sul paziente che agisce per il risarcimento del danno l’onere di provare il nesso di causalità tra l’aggravamento della patologia (o l’insorgenza di una nuova malattia) e l’azione o l’omissione dei sanitari, mentre, ove il danneggiato abbia assolto a tale onere, spetta alla struttura dimostrare l’impossibilità della prestazione derivante da causa non imputabile, provando che l’inesatto adempimento è stato determinato da un impedimento imprevedibile ed inevitabile con l’ordinaria diligenza. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva rigettato la domanda di risarcimento del danno proposta dalla paziente e dai suoi stretti congiunti, in relazione a un ictus cerebrale che aveva colpito la prima a seguito di un esame angiografico, sul rilievo che era mancata la prova, da parte degli attori, della riconducibilità eziologica della patologia insorta alla condotta dei sanitari, ed anzi la CTU espletata aveva evidenziato l’esistenza di diversi fattori, indipendenti dalla suddetta condotta, che avevano verosimilmente favorito l’evento lesivo).
Cassazione civile sez. III, 13/07/2018, n.18567
In tema di responsabilità sanitaria, il principio della vicinanza della prova, fondato sull’obbligo di regolare e completa tenuta della cartella clinica, le cui carenze e omissioni non possono andare a danno del paziente, non può operare in pregiudizio del medico per la successiva fase di conservazione: dal momento in cui l’obbligo di conservazione si trasferisce sulla struttura sanitaria, l’omessa conservazione è imputabile esclusivamente a essa. La violazione dell’obbligo di conservazione non può riverberarsi direttamente sul medico determinando un’inversione dell’onere probatorio.
Cassazione civile sez. III, 21/06/2018, n.16324
In tema di responsabilità sanitaria la dimostrazione dell’assolvimento dell’obbligo (di avere posto il paziente nelle condizioni) di prestare il consenso informato, che si qualifica quale obbligo contrattuale ex articolo 1218 del codice civile grava sulla struttura ospedaliera. La violazione di tale obbligo ha potenzialmente rilievo a prescindere dall’esito favorevole o meno della prestazione medica, in quanto in grado di incidere sulla capacità di autodeterminazione del paziente. La dimostrazione – invece – di un nesso causale tra la lesione del diritto di autodeterminazione e danno effettivamente subito, spetta al paziente, rientrando tale elemento tra gli oneri in capo all’attore qui dicet.
Cassazione civile sez. III, 31/05/2018, n.13752
In tema di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria, incombe sul paziente che agisce per il risarcimento del danno l’onere di provare il nesso di causalità tra l’aggravamento della patologia (o l’insorgenza di una nuova malattia) e l’azione o l’omissione dei sanitari.
Cassazione civile sez. III, 29/01/2018, n.2061
La responsabilità per attività medico chirurgica deve essere ricondotta al paradigma di cui all’articolo 1218. Deriva da quanto precede, pertanto, che il paziente creditore (e, per esso i suoi congiunti, in caso di malpractice medica che abbia comportato il decesso del primo) ha il mero onere di provare il contratto (o il contatto sociale) intercorso con la struttura e/o con il sanitario, nonché quello soltanto di allegare il relativo inadempimento o inesatto adempimento, e cioè la difformità della prestazione ricevuta rispetto al modello normalmente realizzato da una condotta improntata alla dovuta diligenza, non essendo invece tenuto a provare la colpa del medico e/o della struttura sanitaria, nonché la relativa gravità. Nei giudizi risarcitori, in particolare, si delinea un duplice ciclo causale, l’uno relativo all’evento dannoso, a monte, l’altro relativo all’impossibilità di adempiere, a valle. Il primo, quello relativo all’evento dannoso, deve essere provato dal creditore/danneggiato, il secondo, relativo alla possibilità di adempiere, deve essere provato dal debitore/danneggiante. Mentre il creditore deve provare il nesso di causalità fra l’insorgenza (o l’aggravamento) della patologia e la condotta del sanitario (fatto costitutivo del diritto), il debitore deve provare che una causa imprevedibile e inevitabile ha reso impossibile la prestazione (fatto estintivo del diritto).
Cassazione civile sez. III, 13/10/2017, n.24073
In tema di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria e di responsabilità professionale da contatto sociale del medico, ai fini del riparto dell’onere probatorio l’attore, paziente danneggiato, deve limitarsi a provare l’esistenza del contratto (o il contatto sociale) e l’insorgenza o l’aggravamento della patologia ed allegare l’inadempimento del debitore, astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato, rimanendo invece a carico del debitore dimostrare o che tale inadempimento non vi è stato, ovvero che, pur esistendo, esso non è stato eziologicamente rilevante.
Cassazione civile sez. III, 26/07/2017, n.18392
In tema di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria per l’inesatto adempimento della prestazione assistenziale, l’onere di provare l’impossibilità sopravvenuta della prestazione per causa imprevedibile, inevitabile e non imputabile alla stessa sorge solo ove il danneggiato abbia provato la sussistenza del nesso causale tra la condotta attiva od omissiva dei sanitari e il danno sofferto.
Cassazione civile sez. III, 06/05/2015, n.8995
In materia di responsabilità contrattuale (nella specie, per attività medico-chirurgica), una volta accertato il nesso causale tra l’inadempimento e il danno lamentato, l’incertezza circa l’eventuale efficacia concausale di un fattore naturale non rende ammissibile, sul piano giuridico, l’operatività di un ragionamento probatorio “semplificato” che conduca ad un frazionamento della responsabilità, con conseguente ridimensionamento del “quantum” risarcitorio secondo criteri equitativi. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la decisione con cui il giudice di merito, in relazione al danno celebrale patito da un neonato, aveva posto l’obbligo risarcitorio interamente a carico della struttura sanitaria in cui egli era stato ricoverato immediatamente dopo il parto – avvenuto in altra struttura – e presso la quale aveva contratto un’infezione polmonare, e ciò sebbene le risultanze della consulenza tecnica d’ufficio non avessero escluso la possibilità che un contributo concausale al pregiudizio lamentato fosse derivato da una patologia sviluppata in occasione della nascita).
Cassazione civile sez. III, 12/09/2013, n.20904
Allorquando la responsabilità medica venga invocata a titolo contrattuale, cioè sul presupposto che fra il paziente ed il medico e/o la struttura sanitaria sia intercorso un rapporto contrattuale (o da “contatto”), la distribuzione, “inter partes”, dell’onere probatorio riguardo al nesso causale deve tenere conto della circostanza che la responsabilità è invocata in forza di un rapporto obbligatorio corrente fra le parti ed è dunque finalizzata a far valere un inadempimento oggettivo. Ne consegue che, per il paziente/danneggiato, l’onere probatorio in ordine alla ricorrenza del nesso di causalità materiale – quando l’impegno curativo sia stato assunto senza particolari limitazioni circa la sua funzionalizzazione a risolvere il problema che egli presentava – si sostanzia nella prova che l’esecuzione della prestazione si è inserita nella serie causale che ha condotto all’evento di danno, rappresentato o dalla persistenza della patologia per cui era stata richiesta la prestazione, o dal suo aggravamento, fino ad esiti finali costituiti dall’insorgenza di una nuova patologia o dal decesso del paziente.
By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA