Tenuta della contabilità e presentazione dell’istanza di fallimento: la Suprema Corte si esprime sugli obblighi gravanti sull’amministratore di fatto dalla cui violazione discende la penale responsabilità per i fatti di bancarotta contestati

Si segnala ai lettori del blog la sentenza numero 36870.2020, resa dalla V Sezione penale della Corte di Cassazione che, pronunciatasi su un caso di bancarotta fraudolenta documentale e bancarotta semplice, si sofferma sui profili di responsabilità della figura dell’amministratore di fatto, con riferimento alla tenuta delle scritture contabili e alla presentazione dell’istanza di fallimento.

In particolare, la Suprema Corte, con la sentenza in commento, dopo aver preliminarmente espresso il principio di diritto secondo cui sul dominus occulto grava l’intera gamma di doveri che sorgono in capo all’amministratore formale, chiarisce che l’amministratore di fatto non va esente da responsabilità a titolo di bancarotta documentale, laddove abbia affidato le operazioni contabili ad un collaboratore qualificato (quale un commercialista), atteso che l’imprenditore è gravato personalmente dell’obbligo della regolare tenuta della contabilità.

Inoltre, risponde di bancarotta semplice per aggravamento del dissesto, l’amministratore di fatto che, pur non essendo legittimato alla presentazione dell’istanza di fallimento per carenza della qualità soggettiva, non si attivi affinché l’istanza venga presentata dai soggetti legittimati (quali l’amministratore di diritto o il pubblico ministero).

Per una migliore comprensione dell’argomento qui trattato, di seguito al commento della sentenza il lettore troverà:

(i) il testo della fattispecie incriminatrice;

(ii) gli arresti giurisprudenziali citati nella parte motiva della sentenza numero 36870.2020 in commento;

(iii) la rassegna delle più significative e recenti massime riferite alle pronunce di legittimità sul tema degli obblighi e della responsabilità dell’amministratore di fatto, oltre agli approfondimenti sui reati fallimentari che il lettore può trovare nell’area del sito dedicata alla materia.

 

I reati contestati e la doppia conforme di merito

Nel caso di specie, alle imputate tratte a giudizio nella qualità di amministratrici di fatto della società fallita, erano stati  contestati i delitti di bancarotta fraudolenta documentale e bancarotta semplice, unificati in un unico reato di bancarotta fraudolenta aggravato ex art. 219 co.2, n. 2) della legge fallimentare, per aver tenuto le scritture contabili in guisa tale da non consentire la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari della società o per averle distrutte o occultate in modo da non permettere di stabilire il valore delle rimanenze, nonché per aver aggravato il dissesto dell’impresa, protraendone l’attività nonostante il già conclamato stato di crisi.

La Corte di appello di Milano confermava la sentenza con la quale il locale Tribunale aveva condannato le prevenute per i reati loro ascritti.

 

Il ricorso per cassazione, il giudizio di legittimità e il principio di diritto

La difesa delle giudicabili proponeva ricorso per cassazione avverso la decisione di secondo grado, articolando plurimi motivi di impugnazione.

Ai fini del presente commento rivestono maggiore interesse le deduzioni con le quali le ricorrenti lamentavano l’assenza di profili di responsabilità per i contestati fatti di bancarotta, in ragione della relativa qualifica di amministratrici di fatto, come tali non tenute alla regolare tenuta della contabilità (affidata ad un soggetto con competenze tecniche) né alla presentazione dell’istanza di fallimento della società.

La Suprema Corte dichiara inammissibile il ricorso quanto all’impugnazione dei capi o punti della sentenza impingenti il tema del dolo e della ritenuta responsabilità in capo alle imputate perché correttamente motivata la loro responsabilità quali amministratici di fatto, annullando con rinvio la sentenza impugnata, limitatamente al bilanciamento delle circostanze e alla determinazione della durata delle pene accessorie.

Di seguito si riportano i passaggi più significativi tratti dal compendio motivazionale della pronuncia in commento afferenti la responsabilità dell’amministratore di fatto:

 

(i) Tenuta della contabilità e responsabilità dell’amministratore di fatto per la bancarotta documentale.

“Quanto, poi, all’osservazione che le due ricorrenti confidavano nella tenuta della contabilità da parte del commercialista e dell’amministratore di diritto, […] In tema di reati fallimentari, l’amministratore di fatto della società fallita è da ritenere gravato dell’intera gamma dei doveri cui è soggetto l’amministratore di diritto, per cui, ove concorrano le altre condizioni di ordine oggettivo e soggettivo, egli assume la penale responsabilità per tutti i comportamenti penalmente rilevanti a lui addebitabili (Sez. 5, n. 39593 del 20/05/2011). Quanto all’affidamento della tenuta della contabilità al commercialista, il motivo è manifestamente infondato, atteso che secondo la giurisprudenza di questa Corte di cassazione, a norma degli artt. 2214 e 2241 cod. civ., l’imprenditore che esercita un’attività commerciale è obbligato, personalmente, alla regolare tenuta dei libri e delle scritture contabili nella propria azienda. Egli può avvalersi dell’opera di un tecnico, sia esso un proprio dipendente o un libero professionista, ma resta sempre responsabile per l’attività da essi svolta nell’ambito dell’impresa. In caso di fallimento, quindi, risponde penalmente dell’attività e delle omissioni delle persone da lui incaricate che non hanno tenuto, in assoluto, o non hanno tenuto regolarmente i libri e le scritture contabili prescritte dalla legge. Il principio opera nel caso di inquadrabilità della condotta sia in reati punibili per dolo o colpa (bancarotta semplice), sia in delitti punibili soltanto a titolo di dolo (bancarotta fraudolenta documentale). In tale ultima ipotesi, l’imprenditore non va esente da responsabilità per aver affidato a un collaboratore le operazioni contabili, dovendosi presumere che i dati siano stati trascritti secondo le indicazioni e i documenti forniti dall’imprenditore medesimo. Trattasi, peraltro, di una presunzione iuris tantum, che può essere vinta da rigorosa prova contraria (Sez. 5, n. 2812 del 17/10/2013 – dep. 2014; Sez. 5, n. 11931 del 27/01/2005; Sez. 5, n. 709 del 01/10/1998 – dep. 1999; Sez. 5, n. 2055 del 15/12/1993 – dep. 1994), che, dalle due sentenze di merito, non risulta essere stata fornita”.

 

(ii) Il dovere di sollecitare la presentazione dell’istanza di fallimento i caso di dissesto della società.

“Il decimo motivo di ricorso, con il quale si deduce che le due imputate non erano legittimate a presentare istanza di fallimento, in quanto mere socie, è inammissibile per manifesta infondatezza. Deve richiamarsi quanto sopra esposto in ordine ai doveri di cui è destinatario l’amministratore di fatto. Egli, in base alla disciplina dettata dall’art. 2639 cod. civ., è da ritenere gravato dell’intera gamma dei doveri cui è soggetto l’amministratore di diritto, per cui, ove concorrano le altre condizioni di ordine oggettivo e soggettivo, assume la penale responsabilità per tutti i comportamenti penalmente rilevanti a lui addebitabili, anche nel caso di colpevole e consapevole inerzia a fronte di tali comportamenti, in applicazione della regola dettata dall’art. 40, comma secondo, cod. pen. (Sez. 5, n. 7203 del 11/01/2008).

L’amministratore di fatto, quindi, può rispondere per il reato di cui agli artt. 224 e 217, primo comma, n. 4, r.d. n. 267 del 1942 nell’ipotesi in cui, pur non essendo legittimato a presentare istanza di fallimento per la società da lui amministrata solo di fatto, non si attivi perché detta istanza venga presentata dall’amministratore di diritto munito di legittimazione o comunque non si attivi affinché essa venga presentata dal pubblico ministero, anch’egli legittimato ai sensi dell’art. 6 del citato r.d.”.

 

L fattispecie incriminatrici:

Art. 216 legge fallimentare – Bancarotta fraudolenta

È punito con la reclusione da tre a dieci anni, se è dichiarato fallito, l’imprenditore, che:

1) ha distratto, occultato, dissimulato, distrutto o dissipato in tutto o in parte i suoi beni ovvero, allo scopo di recare pregiudizio ai creditori, ha esposto o riconosciuto passività inesistenti;

2) ha sottratto, distrutto o falsificato, in tutto o in parte, con lo scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizi ai creditori, i libri o le altre scritture contabili o li ha tenuti in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari.

La stessa pena si applica all’imprenditore, dichiarato fallito, che, durante la procedura fallimentare, commette alcuno dei fatti preveduti dal n. 1 del comma precedente ovvero sottrae, distrugge o falsifica i libri o le altre scritture contabili.

È punito con la reclusione da uno a cinque anni il fallito, che, prima o durante la procedura fallimentare, a scopo di favorire, a danno dei creditori, taluno di essi, esegue pagamenti o simula titoli di prelazione.

Salve le altre pene accessorie, di cui al capo III, titolo II, libro I del codice penale, la condanna per uno dei fatti previsti nel presente articolo importa per la durata di dieci anni l’inabilitazione all’esercizio di una impresa commerciale e l’incapacità per la stessa durata ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa.

 

Art. 217 legge fallimentare – Bancarotta semplice

È punito con la reclusione da sei mesi a due anni, se è dichiarato fallito, l’imprenditore, che, fuori dai casi preveduti nell’articolo precedente:

1) ha fatto spese personali o per la famiglia eccessive rispetto alla sua condizione economica;

2) ha consumato una notevole parte del suo patrimonio in operazioni di pura sorte o manifestamente imprudenti;

3) ha compiuto operazioni di grave imprudenza per ritardare il fallimento;

4) ha aggravato il proprio dissesto, astenendosi dal richiedere la dichiarazione del proprio fallimento o con altra grave colpa;

5) non ha soddisfatto le obbligazioni assunte in un precedente concordato preventivo o fallimentare.

La stessa pena si applica al fallito che, durante i tre anni antecedenti alla dichiarazione di fallimento ovvero dall’inizio dell’impresa, se questa ha avuto una minore durata, non ha tenuto i libri e le altre scritture contabili prescritti dalla legge o li ha tenuti in maniera irregolare o incompleta.

Salve le altre pene accessorie di cui al capo III, titolo II, libro I del codice penale, la condanna importa l’inabilitazione all’esercizio di un’impresa commerciale e l’incapacità ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa fino a due anni.

 

Le pronunce citate nella sentenza in commento:

Cassazione penale sez. V, 17/10/2013, n.2812

In tema di bancarotta fraudolenta documentale, l’imprenditore non è esente da responsabilità nel caso in cui affidi la contabilità dell’impresa a soggetti forniti di specifiche cognizioni tecniche in quanto, non essendo egli esonerato dall’obbligo di vigilare e controllare le attività svolte dai delegati, sussiste una presunzione semplice, superabile solo con una rigorosa prova contraria, che i dati siano trascritti secondo le indicazioni fornite dal titolare dell’impresa.

 

Cassazione penale sez. V, 20/05/2011, n.39593

In tema di reati fallimentari, l’amministratore “di fatto” della società fallita è da ritenere gravato dell’intera gamma dei doveri cui è soggetto l’amministratore “di diritto”, per cui, ove concorrano le altre condizioni di ordine oggettivo e soggettivo, egli assume la penale responsabilità per tutti i comportamenti penalmente rilevanti a lui addebitabili. (Fattispecie in tema di bancarotta fraudolenta documentale).

 

Cassazione penale sez. V, 11/01/2008, n.7203

L’amministratore “di fatto”, in base alla disciplina dettata dal novellato art. 2639 c.c., è da ritenere gravato dell’intera gamma dei doveri cui è soggetto l’amministratore “di diritto”, per cui, ove concorrano le altre condizioni di ordine oggettivo e soggettivo, egli assume la penale responsabilità per tutti i comportamenti penalmente rilevanti a lui addebitabili, anche nel caso di colpevole e consapevole inerzia a fronte di tali comportamenti, in applicazione della regola dettata dall’art. 40, comma 2, c.p. (principio affermato, nella specie, con riguardo ad ipotesi di bancarotta per distrazione).

 

Cassazione penale sez. V, 27/01/2005, n.11931

In tema di bancarotta fraudolenta documentale l’imprenditore non va esente da responsabilità per il fatto che la contabilità sia stata affidata ad un soggetto fornito di specifiche cognizioni tecniche, posto che la qualifica rivestita non esime dall’obbligo di vigilare e controllare la attività svolta dal delegato.

 

Cassazione penale sez. V, 01/10/1998, n.709

A norma degli art. 2214 e 2241 c.c., l’imprenditore che esercita un’attività commerciale è obbligato, personalmente, alla regolare tenuta dei libri e delle scritture contabili nella propria azienda. Egli può avvalersi dell’opera di un tecnico, sia esso un proprio dipendente o un libero professionista, ma resta sempre responsabile per l’attività da essi svolta nell’ambito dell’impresa. In caso di fallimento, quindi, risponde penalmente dell’attività e delle omissioni delle persone da lui incaricate che non hanno tenuto, in assoluto, o non hanno tenuto regolarmente i libri e le scritture contabili prescritte dalla legge. Il principio opera nel caso di inquadrabilità della condotta sia in reati punibili per dolo o colpa (bancarotta semplice), sia in delitti punibili soltanto a titolo di dolo (bancarotta fraudolenta documentale). In tale ultima ipotesi, l’imprenditore non va esente da responsabilità per aver affidato a un collaboratore le operazioni contabili, dovendosi presumere che i dati siano stati trascritti secondo le indicazioni e i documenti forniti dall’imprenditore medesimo. Trattasi, peraltro, di una presunzione “iuris tantum”, che può essere vinta da rigorosa prova contraria.

 

La rassegna delle più recenti massime in tema di amministratore di fatto:

Cassazione penale sez. V, 24/09/2020, n.32413

In tema di reati fallimentari, è sufficiente ad integrare il dolo, in forma diretta o eventuale, dell’amministratore formale la generica consapevolezza, pur non riferita alle singole operazioni, delle attività illecite compiute dalla società per il tramite dell’amministratore di fatto. (Fattispecie relativa ai reati di bancarotta fraudolenta documentale e di fallimento per effetto di operazioni dolose di una società “cartiera”, in cui la prova del dolo dell’amministratore di diritto è stata desunta dalla dichiarata conoscenza della indisponibilità di un magazzino a fronte di un elevato fatturato).

 

Cassazione penale sez. III, 22/09/2020, n.35158

In materia di reati propri dell’amministratore della società, quando l’amministratore legale è una “testa di legno”, il vero soggetto qualificato (e responsabile) non è il prestanome ma colui il quale effettivamente gestisce la società perché solo lui è in grado di compiere l’azione dovuta mentre l’estraneo è il prestanome. A quest’ultimo una corresponsabilità può essere imputata solo in base alla posizione di garanzia di cui all’art. 2392 c.c., in forza della quale l’amministratore deve conservare il patrimonio sociale ed impedire che si verifichino danni per la società e per i terzi.

 

Cassazione penale sez. V, 21/09/2020, n.28848

In tema di bancarotta semplice, i sindaci di una società dichiarata fallita rispondono del reato di cui agli artt. 217, comma 1, n. 4, e 224 l. fall., per aver omesso di attivarsi per rimediare all’inerzia dell’amministratore che non abbia chiesto il fallimento in proprio della società, così aggravandone il dissesto, solo quando la situazione di insolvenza sia rilevabile dagli atti posti a loro disposizione, dovendo il giudice di merito verificare, mediante un giudizio controfattuale, se, qualora fossero state poste in essere le attività di impulso e controllo omesse, si sarebbe comunque realizzato l’aggravamento del dissesto.

 

 Cassazione penale sez. V, 10/07/2020, n.27264

In tema di bancarotta fraudolenta, i destinatari delle norme di cui agli artt. 216 e 223 l. fall. vanno individuati sulla base delle concrete funzioni esercitate, non già rapportandosi alle mere qualifiche formali ovvero alla rilevanza degli atti posti in essere in adempimento della qualifica ricoperta. (In motivazione la Corte ha ritenuto corretta l’individuazione dell’imputato – già consulente e creditore della società fallita – quale amministratore di fatto, sulla base di indici sintomatici espressivi dell’inserimento organico, con funzioni direttive, nella sequenza produttiva, organizzativa o commerciale dell’attività sociale, in posizione assolutamente preminente rispetto all’amministratore di diritto, privo di esperienze specifiche nel settore di operatività dell’ente).

 

Cassazione penale sez. V, 19/11/2019, n.2714

La ricostruzione del profilo di amministratore di fatto deve essere effettuata sulla scorta delle concrete attività dispiegate in riferimento alla società oggetto di analisi, riconducibili, secondo validate massime di esperienza, ad indici sintomatici quali la diretta partecipazione alla gestione della vita societaria, la generalizzata identificazione nelle funzioni amministrative da parte dei dipendenti e dei terzi, l’intervento nella declinazione delle strategie di impresa e nelle fasi nevralgiche dell’ente economico.

 

Cassazione penale sez. V, 30/04/2019, n.36155

Non integra violazione del principio di correlazione tra il reato contestato e quello ritenuto in sentenza (art. 521 cod. proc. pen.), la decisione con la quale un soggetto venga condannato per bancarotta fraudolenta nella qualità di socio amministratore di fatto,anziché quale amministratore unico di diritto, qualora rimanga immutata l’azione distrattiva ascrittagli. 

 

Cassazione penale sez. V, 11/03/2019, n.15988

In caso di avvicendamento nella gestione di una società, l’amministratore cessato rimane responsabile per l’effettiva e regolare tenuta della contabilità nel periodo in cui ha ricoperto la carica, rispondendo altresì dell’eventuale occultamento della stessa, in tutto o in parte, al momento del passaggio delle consegne al nuovo amministratore, fermo restando l’autonomo obbligo di quest’ultimo di ripristinare i libri e documenti contabili eventualmente mancati e regolarizzare le scritture di cui rilevi l’erroneità, lacunosità o falsità. Quello di bancarotta documentale impropria rimane comunque reato proprio dell’amministratore, il quale non può, in ragione della qualifica ricoperta in un periodo precedente, rispondere anche della tenuta della contabilità in quello successivo alla dismissione della carica, a meno che non venga provato che egli abbia continuato ad ingerirsi di fatto nell’amministrazione della società ovvero, quale extraneus, sia in qualche modo concorso nelle condotte illecite di cui deve rispondere il nuovo amministratore. Il ruolo di amministratore di fatto va attribuito a chi svolge con continuità atti di gestione della società, ma può rilevare anche un unico atto particolarmente significativo e tale può essere anche la decisione, cui l’amministratore formale si sottometta, di interrompere l’attività imprenditoriale e sospendere qualsiasi annotazione contabile.

 

Cassazione penale sez. V, 01/03/2019, n.34112

In tema di bancarotta fraudolenta documentale, per poter fondare la responsabilità del soggetto investito solo formalmente dell’amministrazione dell’impresa fallita (cosiddetta “testa di legno”), alla violazione dei doveri di vigilanza e di controllo che derivano dalla accettazione della carica deve essere aggiunta la dimostrazione non solo astratta e presunta, bensì effettiva e concreta, della consapevolezza dello stato delle scritture, tale da impedire la ricostruzione del movimento degli affari o, per le ipotesi con dolo specifico, di farne emergere la strumentalità verso fini di pregiudizio in danno dei creditori: ciò che è imposto dal rispetto del principio costituzionale di colpevolezza. Infatti, se non è revocabile in dubbio che la carica di amministratore di diritto di una società conferisca alla persona che la ricopre doveri di vigilanza e controllo (sintetizzabili nella posizione di garanzia ex articolo 2392 del codice civile), la cui violazione comporta responsabilità penale a titolo di dolo generico, è pur vero che l’addebito di consapevole mancanza di condotta impeditiva del fatto illecito può muoversi soltanto quando la condotta omissiva sia stata accompagnata dalla rappresentazione della situazione anti-doverosa, onde legittimare la prefigurazione dei consequenziali eventi tipici del reato, o, nella prospettazione del dolo eventuale, l’accettazione del rischio del loro accadimento. Riconoscendo, invece, tout court la responsabilità dell’amministratore di diritto, per i fatti di dolosa manipolazione delle scritture o di volontaria, scorretta tenuta del compendio contabile commessi dall’amministratore di fatto si correrebbe il rischio di attentare al principio di personalità della responsabilità penale, ovvero traslare il dolo della bancarotta fraudolenta in un addebito a sfondo meramente colposo.

 

Cassazione penale sez. V, 08/11/2018, n.9856

L’accettazione della carica di amministratore, in ambito societario, non può costituire di per se, fonte di responsabilità, ben potendo presentarsi situazioni in cui l’amministratore di diritto resti estraneo alle condotte fraudolente poste in essere dall’amministratore di fatto. Affinché si possa affermare una responsabilità dell’amministratore di diritto per concorso, ex art. 40 c.p., è necessaria la consapevolezza che altri pongano in essere le condotte descritte dalla fattispecie incriminatrice, senza che consapevolezza e va essere necessariamente ricondotta ai singoli episodi delittuosi, potendosi configurare l’elemento soggettivo sia come dolo diretto, che come dolo eventuale.

 

Cassazione penale sez. V, 26/09/2018, n.54490

In tema di bancarotta fraudolenta, mentre con riguardo a quella documentale per sottrazione o per omessa tenuta in frode ai creditori delle scritture contabili, ben può ritenersi la responsabilità del soggetto investito solo formalmente dell’amministrazione dell’impresa fallita (cosiddetto “testa di legno”), atteso il diretto e personale obbligo dell’amministratore di diritto di tenere e conservare le suddette scritture, non altrettanto può dirsi con riguardo all’ipotesi della distrazione, relativamente alla quale non può, nei confronti dell’amministratore apparente, trovare automatica applicazione il principio secondo il quale, una volta accertata la presenza di determinati beni nella disponibilità dell’imprenditore fallito, il loro mancato reperimento, in assenza di adeguata giustificazione della destinazione ad essi data, legittima la presunzione della dolosa sottrazione, dal momento che la pur consapevole accettazione del ruolo di amministratore apparente non necessariamente implica la consapevolezza di disegni criminosi nutriti dall’amministratore di fatto.

 

Cassazione penale sez. V, 03/11/2017, n.54692

La presenza di un amministratore di fatto non salva l’amministratore di diritto dal reato di concorso in bancarotta fraudolenta per distrazione. Quest’ultimo è, infatti, tenuto al controllo sulla corretta tenuta della scritture contabili. Lo precisa la Cassazione che respinge il ricorso dell’amministratore unico di una Srl fallita, che riteneva di aver ricoperto un ruolo di semplice amministratore di diritto, privo di qualunque capacità gestionale.

 

Cassazione penale sez. V, 05/12/2016, n.547

Ai fini della responsabilità per bancarotta fraudolenta distrattiva, per la configurabilità della veste di amministratore di fatto in capo ad un soggetto occorre l’esercizio, continuativo e non occasionale, di funzioni riservate alla competenza tipica degli amministratori di diritto e il godimento di un’autonomia decisionale. La prova della qualifica di amministratore di fatto può essere ricavata dal conferimento di una procura generale ad negotia (nel caso di specie, si è fatto riferimento a una procura speciale, in difetto di motivazione circa se, quando e come, la stessa sia stata concretamente usata dall’imputato).

 

Cassazione penale sez. V, 17/06/2016, n.41793

In tema di bancarotta fraudolenta, i destinatari delle norme di cui agli artt. 216 e 223 l. fall. vanno individuati sulla base delle concrete funzioni esercitate, non già rapportandosi alle mere qualifiche formali ovvero alla rilevanza degli atti posti in essere in adempimento della qualifica ricoperta. (In motivazione, la S.C. ha ritenuto corretta l’individuazione dell’imputato quale amministratore di fatto, in quanto effettuata sulla base di indici sintomatici quali: il conferimento di deleghe in suo favore in fondamentali settori dell’attività di impresa, la diretta partecipazione alla gestione della vita societaria, la costante assenza dell’amministratore di diritto e la mancata conoscenza di quest’ultimo da parte dei dipendenti).

 

Cassazione penale sez. V, 04/05/2016, n.39681

L’amministratore di fatto di una società risponde del reato di bancarotta documentale per la semplice omissione dei doveri discendenti da tale ruolo, non essendo invece necessaria la prova di un suo contributo effettivo alla consumazione dell’illecito penale, richiesta solamente per affermare la responsabilità di un concorrente extraneus. A tal fine, amministratore di fatto è colui che esercitata un’apprezzabile attività gestoria, svolta in modo non occasionale.

By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA