Reati fallimentari e gestione collegiale della società: la responsabilità penale del componente del CDA non discende automaticamente dall’assunzione della carica.

Si segnala ai lettori del blog la sentenza numero 37645.2020, resa dalla V Sezione penale della Corte di Cassazione che, pronunciatasi su un caso di bancarotta fraudolenta documentale, si sofferma sul tema della responsabilità ascrivibile ai componenti dell’organo gestorio della società.

In particolare, la Suprema Corte, dopo aver preliminarmente chiarito che nell’ipotesi di gestione collegiale della società tutti i componenti del CDA possono rispondere dei fatti di bancarotta, esprime il principio di diritto secondo cui la responsabilità penale non discende automaticamente dal dato formale della carica societaria, bensì occorre accertare le violazioni da parte dei singoli amministratori degli obblighi di tenuta della contabilità, di vigilanza sull’operato degli altri amministratori e di esercizio dei poteri impeditivi della consumazione di illeciti.

Per una migliore comprensione dell’argomento qui trattato, di seguito al commento della sentenza il lettore troverà:

(i) il testo della fattispecie incriminatrice;

(ii) la rassegna delle più recenti massime riferite alle pronunce di legittimità in materia di responsabilità a titolo di bancarotta degli amministratori della fallita, oltre agli approfondimenti sui reati fallimentari che il lettore può trovare nell’area del sito dedicata al diritto penale fallimentare.

 

Il reato contestato e il doppio giudizio di merito

Nel caso di specie agli imputati, tratti a giudizio nella qualità di componenti del CDA della società fallita, erano stati originariamente contestati i delitti di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale e bancarotta semplice per aggravamento del dissesto.

La Corte di appello di Bologna, in parziale riforma della sentenza di primo grado, assolveva i prevenuti dal delitto di bancarotta patrimoniale e confermava la condanna per i reati di bancarotta documentale e semplice.

 

Il ricorso per cassazione, il giudizio di legittimità e il principio di diritto

I difensori dei giudicabili proponevano ricorso per cassazione avverso la decisione della Corte territoriale.

In particolare, uno dei due ricorrenti, deduceva il vizio di motivazione in ordine all’affermazione della responsabilità penale, basata esclusivamente sulla carica societaria ricoperta senza indagare sulla esecuzione dell’effettivo ruolo gestorio svolto

La Suprema Corte ha annullato senza rinvio la sentenza impugnata con riferimento al reato di bancarotta semplice perché  estinto per intervenuta prescrizione e annulla con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte distrettuale relativamente al reato di bancarotta fraudolenta documentale ascritta al componente del CDA che era rimasto estraneo all’attività gestoria dell’impresa collettiva.

Di seguito si riportano i passaggi più significativi tratti dalla parte motiva della pronuncia in commento:

“Non è in dubbio che, nell’ipotesi di gestione collegiale di una società, tutti i componenti del consiglio di amministrazione rivestano la qualifica soggettiva richiesta dall’art. 223 legge fall., rispondendo conseguentemente, in caso di fallimento, dei fatti di bancarotta realizzati mentre ricoprivano la carica.

Né è di per sé dirimente che eventualmente questa sia stata assunta solo formalmente, mentre la società risulti essere stata gestita solo da alcuni degli amministratori o addirittura da soggetti terzi estranei al ceto gestorio ufficiale, come sembrerebbe aver ipotizzato la sentenza impugnata in riferimento al caso concreto, peraltro in via del tutto incidentale e senza aver effettivamente approfondito il tema.

Ciò non toglie che l’affermazione della responsabilità del componente del collegio gestorio non discende automaticamente dalla carica ricoperta, ma richiede la prova della effettiva rimproverabilità della condotta addebitatagli secondo i parametri di imputazione soggettiva relativi alla fattispecie contestata e, prima ancora, sul piano dell’elemento oggettivo, la definizione dell’effettiva condotta attribuita e cioè se il singolo amministratore debba rispondere di una condotta commissiva od omissiva, per aver violato gli obblighi gravanti indistintamente su tutti gli amministratori in merito alla tenuta e conservazione della contabilità, nonché quelli relativi alla vigilanza sull’operato degli altri membri del consiglio di amministrazione ed all’impedimento della consumazione degli eventuali illeciti da questi commessi di cui abbia avuto cognizione.

La sentenza impugnata sul punto è rimasta silente, sostanzialmente omettendo il doveroso accertamento su dolo del reato, profilo sul quale la Corte ha abbozzato una motivazione soltanto con riguardo alla posizione dei coimputati dello [omissis], in riferimento al quale in definitiva la responsabilità è stata affermata soltanto e per l’appunto in forza della sua formale posizione nell’organigramma societario”.

 

La rassegna dei più recenti arresti giurisprudenziali in materia di responsabilità degli amministratori della fallita:

Cassazione penale sez. V, 24/09/2020, n.32431

Ove l’imputato, amministratore formale di una società, dimostri di avere contezza – sia pure non nei dettagli – delle attività illecite compiute tramite l’amministratore di fatto dalla società da lui gestita, rivelando al curatore, come nella fattispecie, notizie all’uopo significative, deve ritenersi integrato il dolo generico necessario per la configurabilità dei reati fallimentari di bancarotta.

 

Cassazione penale sez. V, 19/12/2019, n.11311

In tema di bancarotta semplice, la convocazione dell’assemblea dei soci, ex art. 2482-bis, c.c., in presenza di una diminuzione del capitale sociale di oltre un terzo per perdite, rientra tra gli “obblighi imposti dalla legge” la cui inosservanza può dar luogo a responsabilità penale dell’amministratore, ai sensi dell’art. 224, comma 1, n. 2, l. fall., quando costituisca causa o concausa del dissesto ovvero del suo aggravamento.

 

Cassazione penale sez. V, 16/10/2019, n.12455

Al fine di pervenire all’affermazione della penale responsabilità dell’amministratore formale di una società per il reato bancarotta fraudolenta documentale, sub specie di occultamento o sottrazione delle scritture contabili in frode ai creditori, è necessaria la dimostrazione della sussistenza del dolo specifico in capo allo stesso, non essendo sufficiente valorizzare unicamente il suo ruolo di prestanome “professionale”.

 

Cassazione penale sez. V, 14/10/2019, n.4710

In tema di concorso nel delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione, il dolo del concorrente extraneus nel reato proprio dell’amministratore consiste nella volontarietà della propria condotta di apporto a quella dell’intraneus, con la consapevolezza che essa determina un depauperamento del patrimonio sociale ai danni dei creditori, non essendo, invece, richiesta la specifica conoscenza del dissesto della società che può rilevare sul piano probatorio quale indice significativo della rappresentazione della pericolosità della condotta per gli interessi dei creditori.

 

Cassazione penale sez. V, 02/04/2019, n.37848

In materia fallimentare, in ogni caso di bancarotta fraudolenta si è in presenza di una responsabilità dell’amministratore di diritto, anche in presenza di una modificazione illegittima delle scritture contabili. La Cassazione ha respinto il ricorso di una imputata condannata nei gradi di merito, la quale riteneva che mancasse uno dei presupposti per la configurazione del reato, ovvero la condotta prevista dalla normativa per la configurazione del reato di bancarotta fraudolenta, non potendosi a ogni modo inferire in via automatica una responsabilità penale dalla semplice posizione di amministratore di diritto dell’impresa fallita. Per i giudici di legittimità, tuttavia, dalla semplice posizione di amministratore di diritto di un’impresa derivano conseguenza giuridiche ben precise in ordine a eventuali responsabilità penali.

 

Cassazione penale sez. V, 11/03/2019, n.15988

In caso di avvicendamento nella gestione di una società, l’amministratore cessato rimane responsabile per l’effettiva e regolare tenuta della contabilità nel periodo in cui ha ricoperto la carica, rispondendo altresì dell’eventuale occultamento della stessa, in tutto o in parte, al momento del passaggio delle consegne al nuovo amministratore, fermo restando l’autonomo obbligo di quest’ultimo di ripristinare i libri e documenti contabili eventualmente mancati e regolarizzare le scritture di cui rilevi l’erroneità, lacunosità o falsità. Quello di bancarotta documentale impropria rimane comunque reato proprio dell’amministratore, il quale non può, in ragione della qualifica ricoperta in un periodo precedente, rispondere anche della tenuta della contabilità in quello successivo alla dismissione della carica, a meno che non venga provato che egli abbia continuato ad ingerirsi di fatto nell’amministrazione della società ovvero, quale extraneus, sia in qualche modo concorso nelle condotte illecite di cui deve rispondere il nuovo amministratore. Il ruolo di amministratore di fatto va attribuito a chi svolge con continuità atti di gestione della società, ma può rilevare anche un unico atto particolarmente significativo e tale può essere anche la decisione, cui l’amministratore formale si sottometta, di interrompere l’attività imprenditoriale e sospendere qualsiasi annotazione contabile.

 

Cassazione penale sez. V, 01/03/2019, n.34112

In tema di bancarotta fraudolenta documentale, per poter fondare la responsabilità del soggetto investito solo formalmente dell’amministrazione dell’impresa fallita (cosiddetta “testa di legno”), alla violazione dei doveri di vigilanza e di controllo che derivano dalla accettazione della carica deve essere aggiunta la dimostrazione non solo astratta e presunta, bensì effettiva e concreta, della consapevolezza dello stato delle scritture, tale da impedire la ricostruzione del movimento degli affari o, per le ipotesi con dolo specifico, di farne emergere la strumentalità verso fini di pregiudizio in danno dei creditori: ciò che è imposto dal rispetto del principio costituzionale di colpevolezza. Infatti, se non è revocabile in dubbio che la carica di amministratore di diritto di una società conferisca alla persona che la ricopre doveri di vigilanza e controllo (sintetizzabili nella posizione di garanzia ex articolo 2392 del codice civile), la cui violazione comporta responsabilità penale a titolo di dolo generico, è pur vero che l’addebito di consapevole mancanza di condotta impeditiva del fatto illecito può muoversi soltanto quando la condotta omissiva sia stata accompagnata dalla rappresentazione della situazione anti-doverosa, onde legittimare la prefigurazione dei consequenziali eventi tipici del reato, o, nella prospettazione del dolo eventuale, l’accettazione del rischio del loro accadimento. Riconoscendo, invece, tout court la responsabilità dell’amministratore di diritto, per i fatti di dolosa manipolazione delle scritture o di volontaria, scorretta tenuta del compendio contabile commessi dall’amministratore di fatto si correrebbe il rischio di attentare al principio di personalità della responsabilità penale, ovvero traslare il dolo della bancarotta fraudolenta in un addebito a sfondo meramente colposo.

 

Cassazione penale sez. V, 08/11/2018, n.9856

L’accettazione della carica di amministratore, in ambito societario, non può costituire di per se, fonte di responsabilità, ben potendo presentarsi situazioni in cui l’amministratore di diritto resti estraneo alle condotte fraudolente poste in essere dall’amministratore di fatto. Affinché si possa ffermare una responsabilità dell’amministratore di diritto per concorso, ex art. 40 c.p., è necessaria la consapevolezza che altri pongano in essere le condotte descritte dalla fattispecie incriminatrice, senza che consapevolezza e va essere necessariamente ricondotta ai singoli episodi delittuosi, potendosi configurare l’elemento soggettivo sia come dolo diretto, che come dolo eventuale.

 

Cassazione penale sez. V, 08/10/2018, n.54511

In caso di fusione societaria l’amministratore subentrato non è imputabile del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale quando non si rinvengano a suo carico prove di alienazioni e manchi ogni indizio che conduca al compimento del richiamato reato.

 

Cassazione penale sez. V, 26/09/2018, n.54490

In tema di bancarotta fraudolenta, mentre con riguardo a quella documentale per sottrazione o per omessa tenuta in frode ai creditori delle scritture contabili, ben può ritenersi la responsabilità del soggetto investito solo formalmente dell’amministrazione dell’impresa fallita (cosiddetto “testa di legno”), atteso il diretto e personale obbligo dell’amministratore di diritto di tenere e conservare le suddette scritture, non altrettanto può dirsi con riguardo all’ipotesi della distrazione, relativamente alla quale non può, nei confronti dell’amministratore apparente, trovare automatica applicazione il principio secondo il quale, una volta accertata la presenza di determinati beni nella disponibilità dell’imprenditore fallito, il loro mancato reperimento, in assenza di adeguata giustificazione della destinazione ad essi data, legittima la presunzione della dolosa sottrazione, dal momento che la pur consapevole accettazione del ruolo di amministratore apparente non necessariamente implica la consapevolezza di disegni criminosi nutriti dall’amministratore di fatto.

By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA