Non risponde di violazione del segreto professionale il medico che rilasci un certificato di sterilità alla parte convenuta nel giudizio civile per il disconoscimento della paternità.

Si segnala ai lettori del blog la sentenza numero 318.2021, resa dalla V Sezione penale della Corte di Cassazione che, pronunciatasi su un caso di rivelazione del segreto professionale da parte del medico, si sofferma sui concetti giuridici di “rivelazione del segreto” e di “giusta causa”.

In particolare, la Suprema Corte, con la sentenza in commento, in riferimento al reato previsto e punito dall’art. 622 cod. pen, ha enunciato i principi di diritto:

(i) non ricorre l’elemento costitutivo della rivelazione del segreto professionale in caso di comunicazione di una notizia che già si conosceva;

(ii) quanto alla nozione di giusta causa, che nel nostro sistema penale è utilizzata dal legislatore come “valvola di sicurezza” del meccanismo repressivo, essa ricomprende – oltre alle cause di giustificazione codificate – anche le altre cause suscettibili di escludere l’illiceità della rivelazione, in ragione del bilanciamento di interessi o dell’adeguatezza del mezzo rispetto al conseguimento di uno scopo lecito altrimenti non realizzabile; circostanze che spetta all’organo giudicante valutare di volta in volta, ai fini dell’accertamento della responsabilità penale.   

Per una migliore comprensione dell’argomento qui trattato, di seguito al commento della sentenza il lettore troverà:

(i) il testo della fattispecie incriminatrice;

(ii) la rassegna delle più significative massime riferite alle pronunce di legittimità in materia di rivelazione di segreto professionale.

 

Il reato contestato ed i gradi di merito

Nel caso di specie, il processo penale pendente anche per il reato contro l’inviolabilità dei segreti, prendeva le mosse dal rilascio da parte del medico ginecologo di un certificato di sterilità riferito al marito di una sua paziente che aveva partorito a seguito di fecondazione assistita eterologa e che era stata evocata in giudizio per il disconoscimento della figlia.

All’imputato, nella qualità di medico ginecologo, psicoterapeuta e sessuologo, era stato contestato il delitto di rivelazione di segreto professionale ex art. 622 c.p., per aver rilasciato un certificato medico con il quale aveva rivelato – senza giusta causa – circostanze riservate inerenti alla sfera sessuale e procreativa del marito della paziente.

Tale certificato era stato prodotto nell’ambito della causa civile intrapresa dall’uomo per il disconoscimento della figlia.

La Corte di appello di Torino, in parziale riforma della sentenza di condanna resa dal locale Tribunale, proscioglieva l’imputato dal delitto di rivelazione di segreto professionale, nonché da quello di diffamazione aggravata parimenti contestato, per estinzione dei reati dovuta a prescrizione e confermava le statuizioni civili ritenendo, quindi, anche solo ai fini della conferma delle statuizioni civili confermati i fatti addebitati nell’editto accusatorio.

 

 

Il ricorso per cassazione, il giudizio di legittimità e il principio di diritto

La difesa del prevenuto proponeva ricorso per cassazione articolando due motivi di impugnazione.

Per quanto concerne il delitto di rivelazione del segreto professionale, di maggiore interesse ai fini del presente commento, il ricorrente deduceva la violazione di legge e il vizio di motivazione in ordine alla ritenuta responsabilità penale.

La Suprema Corte, in accoglimento del motivo di ricorso e rilevata la carenza di motivazione, ha  annullato la sentenza impugnata limitatamente agli effetti civili, con rinvio per un nuovo giudizio al giudice civile.

Di seguito si riportano i passaggi più significativi tratti dalla parte motiva della pronuncia in commento:

L’art. 622 cod. pen. punisce chiunque, avendo notizia, per ragione del proprio stato o ufficio, o della propria professione o arte, di un segreto, lo rivela, senza giusta causa, ovvero lo impiega a proprio o altrui profitto, se dal fatto può derivare nocumento. […]

Nel presente processo penale, è stato accertato che il rilascio del certificato da parte dell’imputato, su richiesta della propria paziente, era finalizzato alla produzione del predetto giudizio di disconoscimento della paternità.

Il reato di rivelazione del segreto professionale postula tra l’altro la sussistenza di “una rivelazione” del segreto e l’assenza di giusta causa. Dunque non si ha rivelazione, e quindi violazione del segreto, nel caso di comunicazione della notizia a chi già la conosceva.

Sul tema della “giusta causa”, occorre ricordare che secondo quanto indicato dalla Corte Costituzionale (sentenza n. 5 del 2004), la formula “senza giusta causa” e formule ad essa equivalenti od omologhe […] compaiono con particolare frequenza nel corpo di norme incriminatrici, ubicate all’interno dei codici e delle leggi speciali. <Dette clausole sono destinate in linea di massima a fungere da “valvola di sicurezza” del meccanismo repressivo, evitando che la sanzione penale scatti allorché – anche al di fuori della presenza di vere e proprie cause di giustificazione – l’osservanza del precetto appaia concretamente “inesigibile” in ragione, a seconda dei casi, di situazioni ostative a carattere soggettivo od oggettivo, di obblighi di segno contrario, ovvero della necessità di tutelare interessi confliggenti, con rango pari o superiore rispetto a quello protetto dalla norma incriminatrice, in un ragionevole bilanciamento di valori>. […]

La Corte di cassazione ha ritenuto che la nozione di “giusta causa” vada affidata al concetto generico di giustizia, che la locuzione stessa presuppone, e che il giudice sia tenuto a determinare di volta in volta con riguardo alla liceità – sotto il profilo etico e sociale – dei motivi che determinano il soggetto ad un certo atto o comportamento (si veda in tema di reato ex art. 616 cod. pen. Sez. 5, n. 52075 del 29/10/2014 e Sez. 5, n. 8838 del 10/07/1997).

Secondo la dottrina, con l’espressione “senza giusta causa”, il legislatore ha inteso riferirsi, oltre che alle cause di giustificazione previste dagli artt. 50 e seguenti del codice penale, anche a tutte le altre cause suscettibili di escludere illiceità della rivelazione in base ai principi del bilanciamento degli interessi o dell’adeguatezza del mezzo rispetto ad uno scopo lecito non altrimenti realizzabile. In tal modo l’ordinamento penale recepisce più vasti apprezzamenti etico-sociali alla cui stregua la rivelazione del segreto, se pur non avvenuta iure, è tuttavia da considerare come “giusta””.

 

La fattispecie incriminatrice:

Art. 622 c.p. – Rivelazione di segreto professionale

Chiunque, avendo notizia, per ragione del proprio stato o ufficio, o della propria professione o arte, di un segreto [200 c.p.p.], lo rivela, senza giusta causa, ovvero lo impiega a proprio o altrui profitto, è punito, se dal fatto può derivare nocumento, con la reclusione fino a un anno o con la multa da 30 euro a 516 euro [326].

La pena è aggravata se il fatto è commesso da amministratori, direttori generali, dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, sindaci o liquidatori o se è commesso da chi svolge la revisione contabile della società.

Il delitto è punibile a querela della persona offesa.

 

La rassegna delle più significative massime in materia di rivelazione del segreto professionale:

Cassazione penale sez. V, 07/03/2016, n.34913

Ai fini dell’integrazione del reato di rivelazione di segreto professionale è necessario che ne possa derivare un pregiudizio apprezzabile per il titolare del diritto alla segretezza, considerato quale condizione obiettiva di punibilità, e la cui desumibilità deve derivare da elementi di fatto significativi della produzione di un pregiudizio giuridicamente apprezzabile, di natura patrimoniale o non patrimoniale, o, quanto meno, dalla presenza di un pericolo concreto di un pregiudizio con tali caratteristiche. (Nella specie la Corte ha annullato con rinvio la sentenza che aveva ritenuto in re ipsa il pericolo di pregiudizio in ragione della semplice comunicazione delle informazioni riservate senza dar conto dei significativi elementi viceversa richiesti).

 

Cassazione penale sez. III, 20/04/2011, n.35296

Il reato di rivelazione di dati sensibili, attinenti la sfera della salute, realizzato da un medico non concorre, ma assorbe per il principio di specialità, il reato di rivelazione di segreto professionale.

 

Cassazione penale sez. II, 06/03/2009, n.17674

Integra il reato di rivelazione del segreto professionale la condotta del professionista che divulga, facendola diventare notoria, una notizia appresa in ragione della propria attività, atteso che la ratio della norma incriminatrice dell’art. 622 c.p. consiste nella tutela della libertà e della sicurezza del singolo, nel senso che il professionista che, in ragione del suo status, viene a conoscenza dei segreti del cliente, è tenuto ad assicurarne la riservatezza (nella specie, la Corte ha confermato la condanna inflitta ad un commercialista che, al fine di trattenere un cliente, aveva comunicato alla Agenzia delle Entrate e alla Guardia di Finanza delle irregolarità nelle scritture contabili, consistite in una tardiva variazione di dati; a detta della Corte, tali notizie dovevano ritenersi segrete, perché non erano conoscibili dal quisque de populo ma solo dal professionista che, dotato di una specifica competenza, poteva avere accesso a quelle determinate scritture).

By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA